Anche il Montenegro se ne va

Anche il Montenegro se ne va Podgorica chiede moneta, difesa e diplomazia indipendente, se Belgrado dice no si terrà un referendum Anche il Montenegro se ne va «La federazione con Belgrado è finita» Ingrid Badurina ZAGABRIA Dopo quattro ore e mezzo di discussione il governo montenegrino ha adottato ieri un documento politico che propone lo sciogliemento della Federazione jugoslava e la ridefinizione dei rapporti con la Serbia. Lo ha annunciato il primo ministro di Podgorica, Filip Vujanovic, spiegando che il Montenegro vuole un associazione meno vincolante con Belgrado. Una difesa indipendente, una propria moneta e una propria diplomazia sono le tre condizioni principali della proposta che verrà presentata a Belgrado. Se le autorità serbe dovessero respingere il progetto - avranno sei settimane di tempo per rispondere - nel Montenegro verrà indetto un referendum sull'indipendenza. Erano mesi che la piccola Repubblica (620 mila abitanti) che insieme alla Serbia costituisce la Federazione jugoslava annunciava la sua intenzione di riesaminare le relazioni con Belgrado. Ma con l'adozione del documento di ieri il Montenegro ha fatto il più grande passo finora verso la scissione. Critico sin dall'inizio verso il regime di Milosevic, il giovane presidente montenegrino Milo Djukanovic si è definitivamente distanziato dalla politica del presidente jugoslavo durante la crisi del Kosovo. Riformista, filo-occidentale, Djukanovic ha apertamente accusato il leader serbo di aver distrutto la Jugoslavia. Non solo, ma non ha mai riconosciuto il governo federale guidato dal suo rivale ed ex presidente montenegrino Momir Bulatovic. Una situazione del tutto anomala per la Federazione nata dalle ceneri della ex Jugoslavia otto anni fa. Tra i primi cambiamenti previsti dal documento vi è quello del nome della Federazione che in futuro dovrebbe chiamarsi «Stato della Serbia e del Montenegro». Al posto del governo federale, che attualmente conta più di trenta ministeri, verrebbe costituito un «Consiglio dei ministri» con sei membri in tutto. Inoltre ci sarebbe una sola camera legislativa con rappresentanza paritaria per serbi e montenegrini. Non è del tutto chiaro se la futura associazione tra Belgrado e Podgorica dovrebbe ba¬ sarsi sul modello federale o su quello confederale. Ma è più che certo che il Montenegro non vuole più vincoli. Per questo ciascuno dei due Stati avrebbe il suo comando sull'esercito e le reclute montenegrine farebbero il servizio di leva soltanto in Montenegro. L'esercito federale verrebbe controllato alternativamente dai serbi e dai montenegrini due anni per ciascuno. Oltre ai ministeri della Difesa, verrebbero sdoppiati anche il ministero degli Esteri e quello delle Finanze. In sostanza i legami con Belgrado rimarrebbero puramente formali ma di fatto i due Stati sarebbero indipendenti. Non bisogna tuttavia dimenticare che non è stata una decisione facile quella adottata ieri dal governo montenegrino. Mentre la coali- zione al potere guidata dai demo- cratici socialisti di Djukanovic era favorevole al progetto, altri partiti montenegrini considerano il docu- mento troppo radicale. Una buona parte degli abitanti del Montene- grò, tuttora molto legata alla Ser- bia, rifiuta ogni pensiero di scissio¬ ne. Inoltre e soprattutto bisogna tener conto delle reazioni di Belgrado. Milosevic, che già in passato ha minacciato di mandare l'esercito nel Montenegro, certamente non accetterà di buon grado il documento che di fatto istituzionalizza l'indipendenza di Podgorica. E su questo non gli mancherà il sostegno di dieci milioni di serbi. Intanto a Belgrado è fallito il tentativo di un rimpasto del governo federale voluto dallo stesso Milosevic. Il primo ministro jugoslavo Bulatovic ha deciso di consultare i rappresentanti del Parlamento malgrado l'opposizione abbia rifiutato una simile eventualità. Col risultato che l'esponente del partito del rinnovamento serbo che fa capo a Vuk Draskovic ha chiesto le dimissioni dello stesso Bulatovic. «Esigiamo le dimissioni del premier federale e la nomina, al suo posto, di un rappresentante del partito democratico dei socialisti del Montenegro e del presidente Djukanovic». ha detto Milan Komnenic, aggiungendo che questa soluzione «permetterebbe la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Montenegro e il ritorno della Jugoslavia nella comunità intemazionale». Ma il partilo di Djukanovic non si e nemmeno presentato alla riunione del governo federale proprio perché non lo ha mai riconosciuto. «La Serbia deve smetterla di litigare con il mondo. Anziché spingerci verso l'autoisolamento, dovremmo faro il possibile per partecipare al processo di integrazione europea. Dobbiamo parlare il linguaggio che il mondo può comprendere, dobbiamo cercare un compromesso». Solo le parole, a sorpresa, del vicepremier jugoslavo Zoran Lilic. In un'intervista al giornale «Vecemje Novosti» il viceprimo ministro federale, da sempre considerato un fedele di Milosevic, ha auspicato «l'intensificazione del processo democratico». E a proposito dell'incriminazione del tribunale internazionale dell'Aia contro il Presidente jugoslavo, Lilic ha detto: «Se qualcuno dei nostri ha commesso dei crimini, deve essere chiamato a risponderne. E incontrerà in primo luogo la condanna del nostro popolo». Una dichiarazione che, forse, segnala le prime crepe all'interno del regime di Belgrado. A Belgrado fallisce il tentativo di rimpasto di governo Da sinistra il presidente del Montenegro Milo D|ukanovic e il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milosevic