Caselli: in questi sette anni ho solo intravisto Palermo di Giovanni Bianconi

Caselli: in questi sette anni ho solo intravisto Palermo L'ADDIO DEL MAGISTRATO, TRA NOSTALGIA E RAMMARICO Caselli: in questi sette anni ho solo intravisto Palermo personaggio Giovanni Bianconi inviato a PALERMO La giacca e la cravatta si possono smettere all'ora di pranzo, davanti a un piatto di pasta con le melanzane e ai ragazzi di padre Paolo Turturro, sulla collina tra Baucina e Torrefrati, lungo la strada per Agrigento. Gian Carlo Caselli saluta Palermo da qui, prima che un aereo lo riporti a Roma e dopo gli abbracci coi colleghi e i collaboratori nella Procura che ha diretto per quasi sette anni. «Venire a trovarvi era una promessa che non avevo ancora potuto mantenere, sono contento di farlo oggi», dice ai giovani l'ex-procuratore e nuovo direttore delle carceri italiane, in maniche di camicia, accanto a quel «prete di frontiera» che in questi anni «è sempre stato un punto di riferimento fondamentale». Padre Turturro sorride, ma è triste: «Tu te ne vai e qui riappaiono brutti segnali»; Caselli prova a contraddirlo: «Il nuovo procuratore di Palermo è quanto di meglio potesse avere questa città». E agli oltre cinquanta ragazzi che del centro di accoglienza «Dipingere la pace» - dieci anni fa sono arrivati qui i primi «carusazzi» presi dalle strade di Ciaculli, di Borgo Vecchio e dello Zen, e oggi frequentano all'università - dice: «Voi siete un esempio importantissimo per tutti, perché costruire qualcosa di buono è ciò che di più importante si possa fare in terra di mafia». Nel giorno dell'addio, affiora già la nostalgia. «Sette anni vissuti così intensamente - confida l'ex-procuratore - sono una vita intera dalla quale staccarsi è comunque un trauma, e che resterà in me insieme a tutte le amicizie nate dentro e fuori gli uffici giudiziari». Ma c'è anche il rammarico per un rapporto troppo mediato con una città che l'uomo venuto dal Nord è riuscito soltanto ad annusare tra auto blindate e «angeli custodi» armati fino ai denti: «Vivere sotto scorta mi ha permesso solo di intravedere Palermo, intuire un oggetto del desiderio che rimane tale perché non si riesce ad afferrarlo. Non conosco le sue ricchezze, i suoi colori, la sua autenticità. Mi sono mancate le banalità quotidiane che questa gente e questi luoghi possono dare, come una passeggiata sul lungomare o un bagno a Mondello. Nonostante questo, oggi le mie città sono due: Torino e Palermo». Palermo che Caselli lascia e dove restano tutti i ragazzi che ha incontrato; questi di padre Turturro, quelli che c'erano l'altra sera alla rappresentazione del dramma teatrale «Ultima violenza» del giornalista Pippo Fava ammazzato dalla mafia e messo in scena dai detenuti del carcere Pagliarelli, le migliaia di facce incrociate in anni di incontri nelle scuole: «I giovani sono davvero la prima risoisa di cambiamento per questa città. L'azione della magistratura è solo un aspetto della lotta alla mafia e per la legalità, il più importante resta l'investimento in un futuro che non sia fatto solo di promesse ma di prospettive realizzale, a cominciare dal lavoro». E però Gian Carlo Caselli ha fatto il procuratore della Repubblica, e il momento dell'addio diventa l'occasione per tirare un bilancio di sette anni di lavoro. Nella cerimonia di insediamento di Piero Grasso, Caselli ha ricordato le 2.000 richieste di rinvio a giudizio per fatti di mafia, i 10.000 miliardi di beni confiscati, i molli latitanti cat- turati, le inchieste «extra-mafia» nel settore bancario, della malasanità, di Tangentopoli: «Chi non vede, o è cieco o è bugiardo. Abbiamo cercato di realizzare, impegnandoci al massimo e sapendo che erano esempi comunque inarrivabili, ciò che a Falcone e Borsellino fu impedito di fare». Dei processi in corso, da Andreotti in giù, l'ex-procuratore non vuole parlare. Ricorda invece i momenti più belli e più brutti di questa «indimenticabile» esperienza giudiziaria. «Dal punto di vista professionale racconta - la soddisfazione forse più grande arrivò la notte nella quale Santino Di Matteo, che avevo già incontrato inutilmente due volte, decise di collaborare e si mise ad elencare autori e ruoli della strage di Capaci. Lì feci solo da carta assorbente, perché i colleghi di Caltanissetta avevano già lavorato benissimo e continuarono a farlo dopo, ma fu comunque un momento di grande emozione». L'amarezza più grande, invece, è l'altra faccia della stessa medaglia: «Il sequestro e l'omicidio del figlio di Di Matteo, per vendetta contro suo padre. Fu una sconfitta terribile, che mi ha fatto rivivere il tragico film visto ai tempi del terrorismo con il pentimento di Patrizio Peci e la feroce reazione delle Br che gli uccisero il fratello Patrizio». Santino Di Matteo oggi è di nuovo in carcere, perché da pentito stava tentando di ricostituire una sua cosca; una brutta storia «smascherata proprio per merito dei colleghi della Procura - dice Caselli -, un episodio sul quale riflettere per arrivare a una tempestiva revisione della legge sui pentiti», Sull'uso dei pentiti le polemiche si sono sprecale, «ma si tratta degli stessi discorsi che servivano per attaccare Falcone e Borsellino; che almeno ci si ricordi dei guasti prodotti in passato». E in sette anni non sono mancati i «veleni», ricorrenti soprattutto nelle torride estate palermitane. Per esempio l'anno scorso, con la tragedia del suicidio del giudice Lombardia dopo un interrogatorio al quale aveva partecipato anche Caselli. «Agli insulti e alle calunnie - ricorda il magistrato -, che niente hanno a che fare con le legittime critiche per errori sempre possibili, s'è aggiunta allora una vera e propria campagna; esiste un'intercettazione telefonica nella quale due soggetti dicono che quel dramma doveva considerarsi un 'evento fortunato', perché avrebbe consentito di dare il colpo definitivo alla Procura di Palermo». Ma da Palermo. Gian Carlo Caselli può portare via anche tanti ricordi certamente migliori. Come il biglietto che gli ha consegnato l'altra sera, in un ristorante, un padre di famiglia mai visto prima con scritto «Grazie per essere diventato uno di noi», e come i volti allegri dei ragazzi di padre Turturro che lo salutano mentre risale sull'auto blindata che lo porterà a Punta Raisi. L'aereo per Roma ha già acceso i motori. «Vivere sotto scorta mi ha tolto il piacere di una passeggiata sul lungomare o il bagno a Mondello» «Chi non vede il lavoro che abbiamo fatto in questa procura è un cieco o un bugiardo» A sinistra Gian Carlo Caselli: dopo sette anni ha lasciato la Procura di Palermo