Con Bradley, il campione in corsa per la Casa Bianca

Con Bradley, il campione in corsa per la Casa Bianca IL RIVALE Dt PARTITO PIÙ' TEMUTO DAL VICEPRESIDENTE GORE Con Bradley, il campione in corsa per la Casa Bianca reportage N Andrea di Robllant invialo ;i DES MOÌNES (lowaj ON e come l'itr campagna elettorale a Milano», dice ridendo Bill lìnidley in quel residuo d'italiano che ancora gli rimane dalla sua stagione con il Simmcnthu) all'inizio degli Anni Sessanta, «dui nell'Iowii devi venire a conoscere gli elettori uno per uno altri menti il loro voto non le lo danno. Quest'unno sono già venuto qui tredici volte, ed è solo l'inizio». in questo stillo di agricoltori e assicuratori nascono e muoio no le ambizioni dei candidati presidenziali, l'orche è qui che i partiti tengono, por antica tradizione, il loro primo «cnticus» una primaria informale in cui gli dottori si esprimono a favore di questo o quel candidato per alzata di mano, Bradley è qui a Des Moines, lu capitale, per inaugurare con sua moglie Urnestine il quartior generale della sua campagna elettorale in lowa uno stanzone di periferia dipinto di fresco e schiaccialo Ira un «Godfa I Imi s Pizza» (la ])i/./.a del Padri noi 0 un nego/.io di telefoni cellulari. E' anche il suo compleanno c i volontari hanno preparato una torlii di cioccolata a forma (li lowa La musica di Bruco Springstoen, che è dol New Jersey come Bradley, rimbomba nella stanza. Siamo venuti a trovarlo qui perche la sua candidatura sta avendo un effetto inatteso sulla campagna presidenziale. Pino a pochi mesi fa i giochi sembrava no futti: Al Gore, dicevano, ha la nomination del partito democratico in tasca. Ad uno ud uno lutti gli altri aspiranti del suo partito bamio rinuncialo. CorIo, Bradley era rimasto in pista, ma nessuno gli dava una chance. Si diceva che era troppo noioso. Che aveva una pappagorgia troppo poco telegenica. La consegna di Gore ai suoi uomini ora semplice e spietata: «Ignoratelo». Sono passati i mesi, sono passate le stagioni e Bradley ò sempre 11. li mentre Gore fatica e si agita Bradley corre truuquil lo, senza sudare. Rosicchia un pò di terreno ud ogni giro di campo, li soprutlutto da l'impressione che stiu solo ora tro- vaiulo hi sua andatura. «Sono sereno, faccio la mia corsa. E Oggi mi trovo esattamente dove voglio essere», dice mentre in maniche di camicia stringe mani e baciu bambini. Per tutta la vita Bradley ha sempre preso le cose molto da lontano. Si è fissalo obiettivi ambiziosi, quasi impossibili, e poi li ha raggiunti piano piano, con metodo, inesorabilmente. «Disciplina e lavoro», spiega. E ci racconta un episodio di tanti anni fa che gli cambiò la vita. «Avevo 14 anni ed ero a un raduno di pallacanestro. Il mio allenatore mi disse: "Ricordati, Bill, che se batti la fiacca, se smetti di fare canestri, c'ò sicuramente qualcuno che da qualche parte si allena per batterti". Quelle parole mi fecero impressione. Decisi che nella vita non avrei mai perso per mancanza di allenamento». Bradley non è nato campione. Ma a forza di far canestri in palestra, anche da solo, anche fino a mezzanotte, divenne il più forte giocatore universitario. Nel 1964 guidò la squadra americana alla conquista della medaglia d'oro alle Olimpiadi di Tokyo. Ma non gli bastava. Voleva migliorare ancora. Arrivare alla vetta. Era a Oxford a studiare storia e letteratura e un giorno che toniuva dalla biblioteca pensò che se non si fosse misurato con i grandi cestisti non sarebbe mai stato soddisfatto. Venne reclutato dai Knicks di New York. 11 primo anno fu un disastro. Poi trovò il suo ruolo, il suo ritmo. Divenne il trascinatore della squadra. E guidò i Knicks alla vittoria due volte, nel 1970 enei 1973. Da ragazzo Bradley non era portato per gli studi. Ma si applicò con tenacia. Si laureò con lode a Princeton, una delle università più rigorose d'America, studiando di notte per poter¬ si allenare alla pallacanestro. Vinse la Rhodes scholarship, prestigiosa borsa di studio, e andò ad Oxford. Da allora ha passato la vita «a leggere e studiare, a imparare». Si diceva che quando giocava per i Knicks tutta la squadra prese una pie- ga intellettuale («Leggevano Kierkegaard e Les cahiers du cinema», scrisse il critico Joseph Epstein). Lo stesso Bradley si considera un autore. Ha scritto tre libri autobiografici di successo (e uno sulle tasse, di minor successo). Lasciò il basket nel 1977 e annunciò che si candidava al Senato in New Jersey. Aveva solo 35 anni. I capi del partito gli dissero di aspettare, di fissarsi un obiettivo meno ambizioso alla sua prima uscita in politica. Ma lui tirò dritto. Si rimboccò le maniche e andò di casa in casa a cercare voti. Venne eletto. E rieletto tre volte di fila. Rimase al Senato 18 anni. Due anni fa, a sorpresa, annunciò che se ne andava. «C'è qualcosa di rotto nella politica americana», disse nel suo ultimo discorso in aula. I suoi colleghi applaudirono, poi si guardarono come per dire che il povero Bradley era suonato. Invece aveva già fissato il suo nuovo obiettivo. Negli ultimi due anni ha girato il Paese, tastato il terreno. «Ora sono pronto. Erano dieci anni che ronzavo attorno all'idea di candidarmi alla Casa Bianca. Ho meditato. Ho riflettuto. Adesso sono al meglio della forma. E dico: "Passatemi la palla"». Chiediamo a Bradley perché vuol fare il presidente. E lui risponde con una frase che ripete cóme un mantra: «Viviamo in tempi di grandi cambiamenti, di nuove minacce e nuove sfide. La gente è spesso confusa e disorientata. Voglio diventare presidente per dare agli americani un filo narrativo, una storia nella quale potranno collocarsi, capire dove vanno e dove va il Paese». E poi: «Il senso della vita non può essere soltanto materialista». I pochi cronisti presenti nello stanzone scuotono la testa. Ma la gente ascolta e annuisce. Bradley non viaggia soltanto tra le nuvole. Sa essere concreto e puntuale. Tra la gente venuta ad ascoltarlo ci sono parecchi coltivatori e allevatori in crisi a causa del crollo dei prezzi agricoli. «Il Congresso deve approvare un legge d emergenza altrimenti quest'autunno perderete le vostre fattorie!». Yeah, Yeah, applausi. «E dobbiamo spezzare il monopolio dei produttori di prosciutti sul prezzo dei suinil». Yeah, yeah, applausi. Bradley ha davvero la possibibtà di battere Gore? A soldi è messo bene, e quello è sempre l'indice più significativo in una campagna elettorale americana (a fine giugno aveva raccolto fondi per oltre 11 milioni di dollari, molto più del previsto). E' il beniamino di Wall Street ed ha il sostegno di Hollywood: due elettorati-chiave. Senatori democratici importanti come Bob Kerrey del Nebraska e Paf Moynihan di New York, hanno già voltato le spalle a Gore e si sono schierati con Bradley. Altri dicono che seguiranno presto. Va molto forte negli stati di New York (per via dei Knicks) e California: ì due stati più importanti. E la corsa a due e governata da una logica implacabile: ogni passo indietro di Gore è un passo avanti per Bradley. Ma per poter arrivare fino in tondo, Bradley dovrà cogliere un successo nel caucus che si terrà in lowa il 7 febbraio prossimo. «La battaglia si vince qui. Dobbiamo fare meglio del previsto Battere le aspettative. E le aspettative le create voi giorna listi», dice. Dagli altoparlanti arrivano le note trionfali di «Born in the Usa». Bradley si china per soffiare sulle candeline della torta a forma di lowa e aggiunge sottovoce, sorridendo più a se stesso che itila gente che gli sta attor no: «...Così vediamo quanto fia tomi rimane». «Qui non è come far campagna elettorale a Milano», dice con il poco italiano imparato quando era la stella della Simmenthal «Avevo 14 anni quando il mio manager mi disse: se smetti di far canestri, ricorda, c'è sempre chi si allena per prenderti il posto» Nel 77 lasciò lo sport e si candidò al Senato «Perderai», gli dissero Ma vinse per tre volte Bill Bradley quando era la stella dela squadra di basket milanese della Simmenthal Nella foto grande impegnato nella campagna elettorale per strappare la nomination nel partito democratico Bradley partito tra molti scetticismi rapidamente si è allei malo cone il rivale potenzialmente più pericoloso per il vicepresidente Gore che non riesce a diventare popolare

Persone citate: Al Gore, Bill Bradley, Bob Kerrey, Born, Joseph Epstein, Kierkegaard, Moynihan, Pizza, Rhodes