Poesia: e gli strateghi della neoavanguardia decisero democristianamente di sopravvivere di Giorgio Manacorda
Poesia: e gli strateghi della neoavanguardia decisero democristianamente di sopravvivere Poesia: e gli strateghi della neoavanguardia decisero democristianamente di sopravvivere RECENSIONE Mario II,indino CHE rapporto c'è tra la poesia della neo-avanguardia o quella che venne dopo, a partire almeno dall'antologia «La parola innamorata», che è del '78? Il tema può sembrare usurato. Molto se n'è parlato, sottolineando la rottura tra una sperimentazione basata essenzialmente sulle strutture linguistiche (e sintattiche), e il desiderio di reagire al ricatto ideologico. Insomma di far «parlare» di nuovo la poesia, di dare voce alla parola. Decidere se questo sia stato il passaggio al post-moderno nella poesia italiana, come sembra credere Alfonso Berardinelli, non ci RECENMII,in IONE o no sembra così importante, anche se Giorgio Manacorda dedica a questo problema lo pagine di apertura dell'annuario «Poesia '98», da lui curato per Castelvecchi, con interventi appunto di Berardinelli, Renzo Paris, Umberto Fiori, Matteo Marchesini e altri. Gli annuari sono utili, e assolutamente necessari in un campo come la poesia, affidato in gran parte alla buona volontà di piccoli editori, sempre bisognoso di mappe, schede, riassunti. Anche questo lo è, soprattutto per quanto riguarda la parte documentaria, impeccabile. Più discutibile l'impostazione critico-teorica, che verte sulla necessità di riprendere in mano i libri scritti negli Anni Settanta, nella fase cioè di passaggio tra avanguardia e «postmoderno». Quel gruppo di poeti, Dario Bellezza in testa, e poi Eros Alesi, Emilio Isgrò, Patrizia Cavalli, viene presentato come una sorta di «rivoluzione tradita», accantonata ingiustamente. E da che cosa? Per Manacorda, da un complotto: gli «strateghi della neoavanguardia» decisero «democristianamente» , per «sopravvivere e perpetuarsi», di lanciare il loro apparente contrario, ossia la «parola innamorata». E' vero che l'antologia con quel titolo, edita da Feltrinelli, era stato resa possibile da Antonio Porta, ma fare di un poeta e organizzatore generoso una specie di Richelieu o di Andreotti della poesia, beh, sembra un po' tanto. Porta non era un politico. La sua colpa agli occhi di Manacorda, che non ha mai troppo amato la poesia nata nei dintorni della «Parola innamorata», è di aver dato fiato al «birignao di tutte le tradizioni possibili, purché non si dicesse nulla». Prima domanda: siamo proprio sicuri che nel '78 non si stesse «dicendo nulla»? Seconda domanda: ma di quale neoavanguardia stiamo parlando? Quella del gruppo '63, nonostante Porta, ha sempre osteggiato con ardore la nuova poesia italiana, i Conte, i Magrelli, i De Angelis, e tentato questo sì di allevarsi di volta in volta covate di cloni l'ultima in casa Bompiani, e non pare riuscita. Nel senso che i cloni tanto cloni non erano -. Accusarla di presunte colpe che non ha è pura poetica del rancore. Anche perché si perde di vista il punto cruciale, sottolineato nell'Annuario da Berardinelli, quando ripete che dagli Anni 80 la critica si eclissò, finirono i giudizi di valore, e «un piccolo pantheon di poeti occupò il centro della scena» senza che si spiegasse perché. In altre parole si sarebbe imposto un «canone» casuale. Questo è un problema veio: per risolverlo, torniamo a discutere di idee del mondo, di sogni, di poetiche, di eros, di mito, di linguaggio. Insomma, di poesia. poesia Giorgio Manacorda, Poesia '98 Castelvecchi, pp.280, L.20.000 ANNUARIO
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