Prisco, addio al romanzo con una storia di «altri»

Prisco, addio al romanzo con una storia di «altri» Prisco, addio al romanzo con una storia di «altri» RECENSIONE Sergio Pont APRENDOCI la porta sul suo cinquantennale laboratorio di scrittore, Michele Prisco confessa la fatica degli anni e delle storie, dei luoghi e delle complesse allegorie umane che hanno dato vita ad una coerente' ricerca narrativa ormai uniformata e raccolta in una perfetta antologia di sentimenti, passioni, intrighi e psicologie. Ci dice, anche, che questo sarà il suo ultimo romanzo. Ma aprendosi nelle sue nozze d'oro letterarie agli «altri», Prisco rivela ulteriormente la forza interiore del narratore di razza, che sa ricostruirsi e ripercorrersi con la lenta e appassionata compagnia delle sue creazioni: esse non lo hanno abbandonato, né lasceranno il ricordo di noi lettori attenti all'evolversi compatto delle sue province dell'anima, territorio esclusivo, mai casuale, di una ispirazione condotta sui binari di quiete ma intriganti densità narrative ottocentesche. Ricchezza analitica dei personaggi, trame ben nutrite di suspense psicologica, ambizioni votate al «romanzo romanzesco» portate avanti con determinazione anche in anni di anti-romanzo o di travalicamenti dei confini generazionali. In questo Prisco ha superato indenne mode e correnti, polemiche e funerali della narrativa pura, creando un suo credibile feu¬ do letterario esente dalle tasse degli anni, caratterizzando nella coerenza e nella tenuta stilistica luoghi, ambienti e situazioni: riconoscibili, inconfondibili. «Gli eredi del vento», «Una spirale di nebbia», «I cieli della sera», per citare una nostra personale hit parade dell'autore, sono romanzi tra i più veri e profondamente belli del secondo Novecento. ITisco, con malinconico disincanto, pretenderebbe di lasciarci con una storia recuperata e rimaneggiata dei suoi primi anni narrativi: siamo nel '52, a metà strada tra RECENSerPoMA, FESTEGGIANDO LE SUE NOANCORA LA FORZA INTERIORE DCHE SA RICOSTRUIRSI APPASSIOeredi del vento e figli difficili. Dello intenzioni corali ha salvato solo lo sfondo di una Napoli in fase di ricostruzione, già lontana dalla guerra e subito spintonata dall'abusivisimo cementifero. Alternando i capitoli della vicenda coi ricordi personali - la Napoli a misura di passeggio di quegli anni, il silenzio dei monasteri, la luce irripetibile della giovinezza - l'autore confessa infine il suo rispolverato amore per ONE o t l'insignificante maestra di cucito Amelia Jandoli. E' lei, sola e prossima all'anzianità, l'unica a essere ripescata dalla coralità delle remote intenzioni. E' lei a ricevere la visita di uno sconosciuto che la sollecita al capezzale d'un ragazzo moribondo che l'ha mandata a chiamare. Frastornata, incredula, la donnina raggiunge il luogo della disgrazie quando il malato Felice Caridei - è appena spirato. Nessuno - compreso Sandrino, il fratello del defunto - riesce a immaginare una love story con l'attempata Amelia. Persa in dubbi inarrivabi- ZE D'ORO LETTERARIE, RIVELA EL NARRATORE DI RAZZA NANDOSI ALLE SUE CREAZIONI li, la zitella rientra nel suo mondo di modeste allieve e silenzi conventuali, fino a quando l'incontro casuale tra Sandrino Caridei e Marisa Salvati - fascinosa vicina di casa della Jandoli - non rimette in discussione l'enigma della chiamata al capezzale. Qualcuno ha usato il nome di Amelia per portare a termine un gioco a lei sconosciuto. E qui si aprono le porte allo rivelazioni, che in Prisco, se non gialle, sono sempre perlomeno torbide e inquietanti. «Gli altri» sono entrati a bussare nel mondo solitario e insignificante di una creatura senza storia, che a tratti ci ha ricordato la Luisa del romanzo di Claudio Picrsanti: un'altra generazione rispetto a quella di Prisco, ma la stessa intima analisi dei sentimenti e della solitudine. Ciò che accade in questa vicenda «recuperata» può apparire a tratti datato, riportandoci indietro in situazioni, psicologie e ambienti lontani, comunque meno asfissianti e frenetici. Ma ciò che rimane, al di là di tutto, è la capacità di ricreare tm destino narrativo dal terreno secco della dimenticanza, riedificando un mondo e un'epoca attorno ad una figura per certi veersi squallida e marginale. E chissà perché, non ci è parsa affatto melensa o accomodante la scelta - confessata - di ritagliare uno spiraglio rosa al futuro di Amelia, in un finale di per sé melodrammatico. Ancora una volta, gli «altri» di Michele Prisco diventano protagonisti veri e inattaccabili dallo intemperie delle mode. E se l'avventura umana dei personaggi supera anche le barriere generazionali, allora si può affermare che lo scrittore è destinato a lasciarsi alle spalle il proprio tempo narrativo per crearsi un angolo al sole nella memoria dei posteri. Per questo, quando con senile malinconia Prisco ci confessa il suo addio al romanzo, con tutto il cuore speriamo, ci auguriamo, gli chiediamo che non sia così. MA, FESTEGGIANDO LE SUE NOZZE D'ORO LETTERARIE, RIVELA ANCORA LA FORZA INTERIORE DEL NARRATORE DI RAZZA CHE SA RICOSTRUIRSI APPASSIONANDOSI ALLE SUE CREAZIONI Rovistando tra i suoi primi anni narrativi, confessa l'antico amore per un'insignificante maestra di cucito Michele Prisco: ci «lascia» con una storia della sua giovinezza letteraria che ha per sfondo una Napoli del '52 in piena fase di ricostruzione Michele Prisco, Gli altri Rizzoli, p. 248, L. 29.000 ROMANZO

Persone citate: Marisa Salvati, Michele Prisco, Sandrino, Sandrino Caridei, Sergio Pont

Luoghi citati: Amelia