Business da 180 mila miliardi di Ugo Bertone

Business da 180 mila miliardi IL GRANDE AFFARE DEL DOPOGUERRA Business da 180 mila miliardi Aziende italiane in corsa per ricostruire analisi Ugo Bertone J9HHH IL primo assegno versato da Bill Clinton, 700 milioni di dollari (circa 1.200 miliardi di lire), è imponente. L'Unione Europea non è da meno: oltre ai quattrini già versati o stanziati per gli aiuti umanitari al Kosovo (poco meno di 300 milioni di euro, ovvero 570 miliardi di lire circa) ci sono i 145 milioni d'euro già accantonati per la ricostruzione che prenderanno la via dei Balcani all'inizio dell'autunno e i 500 milioni (poco meno di mille miliardi) d'Euro già stanziati per l'anno 2000. Eppure, queste cifre tendono a impallidire di fronte alle ambizioni della sfida lanciata ieri allo stadio Zetra di Sarajevo: avviare un processo di sviluppo che consenta ai Balcani, arca povera d'Europa, di mettersi al passo del Continente. Quanto ci vorrà? L'impegno è cosi vasto che, per ora, ogni ipotesi è lecita: si va dai 45 mila miliardi per i prossimi 5 anni (calcelo della Bei) per riavviare l'economia balcanica, ai 100 miliardi di dollari (circa 180 mila miliardi di lire) da investire nei prossimi 15 anni, stimati da più di un istituto di ricerca. Facile capire come la corsa all'appalto da parte dei colossi d'Europa e d'America sia già cominciata, seppur con discrezione. Anche l'Italia, ovviamente, intende esser della partita: Fiat, Eni, Telecom vantano rapporti consolidati con l'area balcanica. Prima della guerra i dossier d'affari con i Paesi della regione (anche con la Serbia di cui l'Italia era il primo partner commerciale) erano più che numero¬ si. Basti citare l'intenzione di Telecom, socia al 49% della società telefonica serba, di acquistare la maggioranza. Oppure il progetto dell'Enel di rilevare l'Eps, la società elettrica (la maggior parte degli impianti è in Kosovo) che riforniva Belgrado ma anche la Macedonia. Ora questi progetti, in attesa che si sciolga il rebus serbo, possono ripartire su basi allargate, anche se la concorrenza (francese e tedesca, soprattutto) si annuncia terribile. La ripresa, si sa, non è però solo questione di grandi opere. Le prime spese semmai riguarderanno l'edilizia spicciola (porte, finestre, piastrelle, rubinetterie) in cui il «made in Italy», Nord Est in testa, non teme confronto. «Vero - ammette il presidente degli artigiano di Mestre, Giuseppe Bortolussi - e i nostri amici alpini che tornano da Kukes ci confermano che 1) manca tutto. Ma se non pagano? Un artigiano non può lavorare senza garanzie bancarie o far causa all'estero per poche decine di milioni». La soluzione potrebbe essere quella di mettersi in contatto al più presto tramite l'Ice di Bruxelles con l'Agenzia europea per la ricostruzione che in autunno subentrerà alla task force e che, in un primo momento, si dedicherà proprio ai lavori più immediati per consentire il ritorno dei profughi. Altro consiglio prezioso per le imprese: registrarsi al più presto presso le agenzie dell'Onu che nanno stanziato, per il '99, 353 milioni di dollari per acquistare case prefabbricate, attrezzature idriche d'emer¬ genza, bollitori, cucine, materiali per ufficio e computer oltre a 226 milioni tli dollari per approvvigionamenti alimentari. Ma nei Balcani non mancano solo quattrini e cibo. Quel che conta, commenta James Lyon, analista Usa che opera nel gruppo di crisi della Casa Bianca, «è capire che la causa delle guerre della regione non è il nazionalismo ma l'incapacità dell'economia e della società jugoslava di garantire sviluppo, benessere e libertà d'espressione». Bisogna, ad esempio, che i bosniaci capiscano che non è possibile attirare investimenti privati in un Paese dove a ogni occupato corrisponde un pensionato. In Kosovo, la terra più povera d'Europa, con un reddito prò capite prima della guerra di 350 dollari (meno dell'Albania), tutto è ancora più complicato. Certo, come sottolinea Horst Koehler, presidente della Berd, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la situazioone è meno drammatica del previsto: le piccole imprese sono già ripartite, gli agricoltori hanno ripreso il lavoro, i 700 mila esuli già rientrati stanno risistemando le abitazioni (anche se 65 mila famiglie non hanno ancora un tetto). Ma non esistono più, dopo la fuga dei serbi, anagrafe, sistema fiscale, sanità, scuola, polizia o raccolta dei rifiuti. E l'unica moneta in circolazione è il marco tedesco. Bisogna ripartire da zero: può essere un vantaggio, purché, ammonisce Herr Koehler, «si segua la linea politica più efficace: aiutare chi si aiuta da sé...». Un'immagine di macerie in Kosovo, Paese da ricostruire

Persone citate: Bill Clinton, Giuseppe Bortolussi, Herr Koehler, Horst Koehler, James Lyon, Kukes