Serata d'onore con il candidato Hillary di Maurizio Molinari

Serata d'onore con il candidato Hillary ALLA FONDAZIONE DEGÙ EBRES DEMQCRATKt INIZIA LA CORSA PER SEDURRE NEW YORK Serata d'onore con il candidato Hillary La First Lady, raccoglierò l'eredità politica di Bill reportage Maurizio Molinari invialo a WASHINGTON Scarpe nere di una misura troppo strette, pantaloni neri classici e camicia elegante sempre nera Hillary Clinton e arrivata all'hotel Mayflower con il ritardo necessario per far defluire i finanziatori del partito democratico e le loro famiglie che avevano fatto la fila per oltre un'ora per accoglierla alla serata d'onore organizzata dal «National Jewish Democrats Council» (Consiglio nazionale degli ebrei democratici, Njdc) per sostenere la candidatura della First Lady al seggio del Senato dello Stato di New York, che contenderà al repubblicano Rudolph Giuliani nel novembre del 2000. Il primo abbraccio, sulla soglia dell'hotel, è stato per l'amico del cuore: Marc Grossman, già presidente del partito democratico ora alla guida del «Njdc», e sua moglie Barbara. «Grazie di essere qui, questa è la tua serata» le ha detto Grossman accogliendola. Hillay sorride, gli si affianca e ricordando con lui il brindisi alla Casa Bianca durante la recente visita del premier israeliano, Ehud Barak, attraversa la hall fra le gioiose urla di decine di giovani ebrei giunti per l'occasione dalle Università della costa orientale, dalla Columbia di New York alla Cornell di Ithaca. Hillary sorride, si ferma, stringe qualche mano, poi tira dritto. L'attende la sala con un buffet rigorosamente «kosher». Lei si avvicina, assaggia una tartina e si rivolge ai pochi leader ebrei democratici che le si stringono attorno. «Sono contenta di essere qui, fra voi che siete sempre stati miei amici, faremo insieme molta strada ancora» dice Hillary. «Vinceremo First Lady - le risponde Monte Friedman una delle vecchie glorie dell'ebraismo democratico qui a Washington - e non solo a New York perchè le prometto che i nostri 250 mila attivisti si impegneranno per portare ai democratici dieci milioni di voti». «Sono qui per parlare ai giovani dei giovani, del loro futuro, di come possiamo costruire per loro un'America migliore» dice Hillary a Barbara Grossman (con la quale condivide pettinatura e tono di colore dei capelli). Si vede che Hillary è a proprio agio con i suoi «vecchi amici». «Di politica parlerò fra un attimo» rassicura chi fra i presenti accenna qualche domanda sullo scontro fra Sigstu«Ci difen Casa Bianca e Congresso sulla riduzione delle tasse. E la promessa è mantenuta. Hillary conosce la lingua della «sua gente» come chiama i presenti a più riprese: «Bisogna usare il surplus del budget non per tagliare le tasse ma per investire a favore dell'educazione, dell'aiuto ai meno abbienti, della lotta al crimine, di una maggiore sicurezza sociale per tutti». Ma è quando difende il diritto di ogni donna ad abortire «d'intesa solo con il suo dottore ma senza che la questione debba interessare a deputati e senatori del Congresso» che il pubblico in abito da sera diventa da stadio. Il messaggio liberal è forte, schierato, più esplicito ed aggressivo di quello del vice-presidente Al Gore e scuote i presenti. Signore anziane che hanno bisogno del bastone e giovani studentesse alzano le mani in segno di gioa, gridano per approvare. Rachel L., venuta da New York, arrossisce e le scappa una lacrima: «Con lei saremo protette dai conservatori». Hillary cita spesso il marito per sottolineare la continuità di idee e programmi ripetendo più volte «noi due». Traspare quasi l'idea di una staffetta prossima ventura fra coniugi alla leadership del partito democratico se le elezioni nello Stato di New York saranno un'indiscussa vittoria. «Con mio marito l'America è diventata un posto più prospero - dice Hillary - e molti lo dimenticano, lo accusano ingiustamente ma l'unica promessa che non ha mantenuto è quella degli otto milioni di posti di lavoro perché ne ha creati 19 milioni». Per vincere nello Stato di New York la partita elettorale che può portarla al Senato e proiettarla nel ruolo di leader del dopo-Clinton il voto ebraico è indispensabile. Hillary sa che il rivale Giuliani è molto vicino alle comunità ebraiche più ortodosse della città di New York, quindi la scommessa è conquistare il voto degli ebrei laici e liberal che nell'intero collegio senatoriale (che va ben oltre la città) sono la maggio- ranza. Da qui i due messaggi: l'eredità dei Kennedy e il legame con Israele. Il richiamo a John Fitzgerald Kennedy arriva con il ricordo di un fatto concreto e semplice che colpisce al cuore i presenti, fotografa il ruolo che gli ebrei hanno recitato dal dopoguerra in poi nel partito democratico: «I genitori di Marc Grossman erono fra quelli che votarono la nomination democratica di Jfk che poi lo portò alla Casa Bianca». Solo alla fine Hillary parla dei rapporti con Israele. Il legame con gli ebrei nasce infatti sono guro Israele» non dalle vicende del Medio Oriente ma, innanzitutto, dal loro impegno politico quotidiano per i Democratici, dalla loro mobilitazione anche negli angoli più sperduti dell'America sulle «questioni sociali» (cioè i valori) che hanno distinto la presidenza di Bill Clinton e prima di lui i suoi predecessori. «Ringrazio Dio di avermi dato la possibilità di contribuire alla politica dei democratici» dice Barbara Grossman dando voce al sentimento dei più. Hillary parla di Israele quasi come di un argomento di politica interna. Ehud Barak è il «primo ministro mio amico». Lo cita senza fine, gli augura ogni bene possibile - a cominciare dalla pace con i vicini racconta gli incontri alla Casa Bianca con lui (ed anche con alcuni dei presenti in sala) dicendo che «abbiamo passato assieme momenti stupenti». Dà per scontato la scelta di fondo per «la sicurezza di Israele», non ripete neanche la richiesta di spostare l'ambasciata Usa a Gerusalemme ma tiene a specificare che si sente a fianco di «voi tutti qui presenti che avete fatto e fate così tanto nella vostra vita per Israele» nell'auspicio di una «pace stabile e prospera». Come dire: il legame con Israele è una parte dell'identità democratica che ci unisce tutti. Hillary in effetti per una serata è stata testimone e protagonista di un fenomeno tutto americano quale è la massiccia partecipazione degli ebrei alla vita pubblica degli Stati Uniti. Ovunque presenti nel paese gli ebrei fanno politica (por i democratici cosi come per i repubblicani), amano la politica e, soprattutto, vanno a votare in una percentuale altissima rispetto alla scarsa media nazionale. Onesto impegno è la cartina tornasole della loro forte identità nazionale americana. E' un fenomeno che non ha eguali in Occidente non per una questione di numeri (gli ebrei in Usa sono circa 6 milioni mentre in tutta Europa non superano il milione). 11 punto è che nel Vecchio Continente la tragedia dell'Olocausto ha fatto rincominciare da zero il processo di emancipazione e integrazione ebraica iniziato con la rivoluzione napoleonica, causando nel secondo dopoguerra un brusco ed emotivo allontanamento dalla vita pubblica che in alcuni paesi ha avuto dimensioni maggiori (Italia e Germania) e in altri minori (Francia e Gran Bretagna). L'America questa ferita non ce l'ha e quindi per Hillary Rodham Clinton la serata al «Mayflower» è stata solo una come tante altre. «Barak è mio amico, sono al suo fianco e gli auguro pace e sicurezza per Israele» Signore anziane e giovani studentesse applaudono «Ci difenderà dai conservatori» «Ogni donna ha «Grazie a mio marito diritto di abortire» l'America è più ricca Il pubblico in abito molti lo dimenticano da sera si scatena e lo accusano» Hillarycon la presidentessa delle sioniste Usa al ricevimento di Washington In alto con il marito A fianco il suo rivale per il seggio di New York Rudolph Giuliani Il primo ministro israeliano Barak John Kennedy