Soldato e intellettuale tradito dagli «Apache» di Maurizio Molinari

Soldato e intellettuale tradito dagli «Apache» TRA GUERRA E POLITICA Soldato e intellettuale tradito dagli «Apache» analisi Maurizio Molinari inviato a WASHINGTON IL generale che ha piegato _ Slobodan Milosevic in 78 giorni paga gli errori strategici commessi durante la gestione dell'«Operazione Forza/Alleata», i che hanno fatto temere in più occasioni a Washington il deragliamento politico dell'Alleanza e il rischio di non cogliere il pieno successo finale in Kosovo. Wesley K. Clark ha iniziato a sentire aria di sconfitta personale pochi giorni dopo la vittoria conquistata dalla «sua» Nato sul campo in 11 settimane di raid conclusi - come lui aveva promesso - «senza alcuna perdita di vite umane». Il campanello d'allarme suonò quando il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, ammise a chiare lettere che aveva «veramente» creduto che la guerra sarebbe terminata in una settimana o poco più dall'inizio dell'attacco lo scorso 24 marzo. Ovvero: gli era stata fatta una falsa promessa. Quella previsione sbagliata portò il segretario generale della Nato, Javier Solana, ad annunciare «la fine della guerra entro il vertice della Nato a Washington». Ma non fu così e la Casa Bianca dovette lottare contro il tempo per far condividere ai riottosi ed esitanti partner atlantici una strategia da «guerra lunga» che avrebbe poi messo a dura prova la coesione della stessa Nato. Ma quell'errore iniziale di previsione non è stato l'unico di Clark (che anche nelle settimane precedenti alla guerra aveva avuto a che dire con Clinton). Mentre la guerra aerea continuava secondo i piani tesi a sfiancare Milosevic, d generale dell'Arkansas impresse infatti un'accelerazione per ottenere l'impiego di truppe di terra. Prima chiese ed ottenne l'invio degli elicotteri americani «Apache» in Albania, poi si spese personalmente per far accettare alla Casa Bianca l'idea dell'invasione con para e carri armati. 11 risultato fu che gli «Apache» non vennero mai usati mentre l'Alleanza rischiò di spaccarsi - proprio allo storico vertice di Washington - sull'ipotesi dell'invasione terrestre. Fu Clinton in persona ad arginare la crisi dicendosi contrario alle truppe. Gli uomini del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca in più occasioni si sono trovati insomma a dover sanare le ferite politiche causate delle mosse falso strategiche del generale. Inoltre mettendo in discussione la possibilità di successo finale dell'offensiva aerea in quanto tale Clark rivelò di dubitare della capacità del Pentagono di progettare una guerra vincente. La morsa fra avversari politici e militari nelle ultime settimane della guerra era riuscita a metterlo in difficoltà nonostante le sue note doti di diplomazia. Quando la stampa britannica avocò con alcuni dei suoi migliori esperti militari la sua sostituzione nonostante la guerra ancora in corso - divenne evidente che Clark era oramai un uomo scomodo nel quartier generale di Mons. Il ritiro delle truppe di Milosevic da Pristina, il ritorno dei profughi e il record di un successo aereo senza perdite di vite umane faranno entrare Clark nei libri di storia militare ma il suo allontanamento rivela quanto Washington abbia temuto che ('«Operazione Forza Alleata» fi¬ nisse in un disastra politico e militare. E che, in considerazione dello crisi regionali incombenti, l'unica superpotenza rimasta richiede ai propri vertici militari non solo di vincere sul campo ma anche di evitare dubbi e ripensamenti di gestione nel corso delle operazioni, a causa dei forti costi politici che potrebbero avere. Una cosa invece qui a Washington appare fuori discussione: Clark non viene sostituito a causu degli errori delle «bombe inte ligenti». Statistiche e dati del Pentagono documentano che la guerra aerea in sè ha procurato danni collaterali in percentual minori a quelli registrati durante il conflitto nel Golfo Persico. Non sono stati gli errori dei piloti a tradire Clark ma l'insicurezza da lui dimostrata quando temette di non farcela a piegare Milosevic con i soli aerei. Quel dubbio gli è stato fatale, chi è a capo del più poderoso esercito del mondo non può permetterselo. A Joseph W. Ralston il generale Clark lascia un'eredità difficile. Il primo problema da risolvere - evidenziato dalla guerra in Kosovo - è il gap tecnologico-militare che separa l'Europa dagli Stati Uniti. «Fra qualche anno non sarà più possibile far volare i nostri caccia di ultima generazione a fianco degli 1 larrier o degli Amx europei» osservano con grande preoccupazione al Pentagono. E' dunque a rischio l'«interoperabilità» delle forze Nato ovvero la loro capacità di agire seguendo standar comuni. L incubo da scacciare è che un giorno non lontano piloti americani ed europei non riescano a volare più insieme per motivi tecnici e non politici. Da qui il crescente interesse di Washington per l'imminente debutto della difesa comune europea, che Ralston sarà chiamato a rappresentare sin dal primo giorno. Il destino dell'ufficiale segnato quando Clinton ammise: «Ho creduto alle garanzie dei militari su una campagna lampo contro Milosevic» A destra, il generale Wesley Clark durante una visita all'aeroporto di Tirana il maggio scorso. A sinistra, il generale Joseph Ralston chiamato a sostituirlo dal prossimo aprile come comandante delle truppe Nato in Europa