«Ho visto ammazzare mio padre» di Fabio Poletti

«Ho visto ammazzare mio padre» «Ho visto ammazzare mio padre» «Prima di morire mi ha chiesto aiuto» Fabio Poletti Inviato a TOSCOLANO A sedici anni aveva deciso. A scuola non sarebbe andato più, sarebbe diventato gioielliere come suo padre. Lo avrebbe seguito dietro al banco del negozio che adesso ha la saracinesca abbassata e davanti ci sono tanti mazzi di roso, gladioli, iris, margherite gialle per salutare suo padre, ucciso da due balordi che non sono nemmeno riusciti a compiere la rapina. Por Paolo, suo padre Domenico era tutto. Solo sei mesi la, una sentenza del Tribunale di Brescia aveva stabilito che dopo il divorzio, sarebbe stato allidal.o a lui. Abitavano in un condominio a pochi chilometri da questo paesone sul lago, ma la vita vera ora qui, nel negozio in piazza San Marco, dietro al bancone, nello sgabuzzino dove con la radio accesa Paolo Felicini imparava a sistemare le prime catenine, ad aggiustare i primi orologi, a mettere le mani in quell'oro che quei due giovanissimi, arrivati da chissà dove con la moto e una pistola, volevano rubare. «Hanno ammazzato mio padre, hanno ammazzato mio padre», dico bianco come un lenzuolo questo ragazzone alto con i capelli corti e gli occhi chiari che non riosco nemmeno a piangere!. «Ero di la, c'era la radio accesa, ho sentito dei nimoii, mi e sembrato anche uno sparo, sono uscito dallo sgabuzzino. Ilo visto mio padre con la pistola in mano, ho visto quello là con una rote in teista... Ilo capito subito... Quello è scappato, mio padre dietro, ho sentito altri spari e l'ho visto cadere. Mi ha detto solo: 'Chiama un'ambulanza.,.', E poi più niente», racconta il ragazzo, formo por quasi un'ora davanti al cadavere del padre, un lenzuolo a coprire il corpo, una tovaglia portata dal barbiere a cercare inutilmente di tamponare la forila, di formalo il sangue che gli usciva dal collo. «Paolo ora bianco in viso, non parlava, non piangeva, non diceva niente. L'ho dovuto portaro in negozio, dargli uria sedia, toglierlo dall'assalto dei curiosi», racconta Will're Tosolli, il parrucchiere elio ha il negozio li dietro, chiuso por lutto come la gelateria Dolomiti, il salone di bellezza Mita, il fotografo, come tutti. «E' arrivata anche sua madre. Non ha detto una parola, ma basta uno sguardo por capire...», racconta ancora il barbio io, stravolto per l'omicidio di un amico che ora sopravvissuto alla chomio, al cancro, ed è morto per quei colpi ciì pistola che hanno segnato questo cen¬ Lio dello vacanze che d'estate si riempie di tedeschi, di anziani, di gente tranquilla. Erano in pochi a sapere ohe il gioielliere si era comperato una pistola, una Smith & Wesson a tamburo. «Certo non ne parlava. Ma aveva già subito quattro l'urti, gli zingari erano entrati in negozio, doveva ossero esasperato...», racconta don Gianfranco, la canonica a fianco della gioielleria, subito cippo il bar Centrale, quello affollato di turisti anche l'altra sera, durante la rapina. «In pause c'è angoscia, c'è paura. C'è gente che mi ha l'ormato dicendo di stare attento, quando nelle prediche parlo di perdono. Ma cosa rosta, so no? Solo la vendetta, e quella porta altro sangue», spiega il parroco, l'unico ieri a parlare con la signora Sabrina, l'ex moglie dell'orefice adesso nascosta dietro alla tenda bianca della villetta a un piano con il citofono muto e il cane lupo a guardia in giardino. «Fare il gioielliere è un'attività a rischio. La pistola l'aveva comperata per difendere il suo lavoro, forse sapeva che poteva accadere qualcosa...», racconta la donna, parole pietoso per un ex marito con cui aveva combattuto una guerra in carta bollata per l'affidamento di Paolo. Sono in molti, in paese, a diro che Domenico Felicini non era un Rombo, che con quella pistola in mano voleva difendere soprattutto suo figlio, che non sarebbe mai stato capace di usarla. E cos'i dopo aver dato il calcio in testa a uno dei rapinatori l'ha buttala a terra, cercando con le mani di far Scendere il rapinatore dalla moto, non sapendo che c'era un complice dietro a un albero, con una pistola anche lui, senza remore Dell'usarla. «Il nostro ò un lavoro di merda. Non siamo tutelati da nessuno. Le assicurazioni ci oppongono mille cavilli per risarcire i danni delle rapine. Sapevo della pistola e sapevo anche che non l'avrebbe mai usata», spiega con le lacrime agli occhi Franco Buglio, grossista, da venti anni fornitore d'oro della gioielleria Domenici. «Domenico era uno con un cuore grande cosi. Aveva lottato contro il cancro, eia felice di avere a fianco suo figlio Paolo anche in negozio. Onesto nego- zio che è diventato la sua tomba. E io oggi non me la sono sentita proprio, di lavorare...», racconta appena sceso dalla Uno con cui è arrivato da Verona, por mettere cpiel mazzo di roselline bianche davanti alla saracinesca grigia abbassata l'orse per sempre. Dove adesso portano altri fiori, dove c'è chi si fu il segno della croce, dove alla rabbia si mescola la paura. Come quella della signora Cesarina dell'Ho¬ tel San Marco: «Sono dei barbari, siamo senza difese. In giro non si vede mai una divisa. E quando qualcuno lo mettono dentro, il giorno dopo è già fuori». Le uniche divise che si vedono sono quelle degli agenti della scientifica che tra i mazzi di fiori fanno i rilevamenti. Due carabinieri appoggiati all'auto di servizio, guardano i commercianti che alle tre del pomeriggio arrivano davanti alla saracinesca del gioielliere, a portare la loro solidarietà all'amico Domenico come è scritto sui cartelli, sfidando la pioggia che fa già Autunno e le telecamere alla ricerca di qualche lacrima. Come quelle di Francesco Aquila, che si è preso un pugno in faccia dai rapinatori che gli hanno rubato lo scooter per la fuga e adesso tira su col naso, stropicciandosi gli occhiali. «Ringrazio Dio che non mi abbiano sparato. E' stato un attimo ma adesso vorrei averli qui, per strozzarli con le mie mani», ripete senza rabbia, solo con la disperazione di chi ha perso un amico vero per niente. «Neanche per un pugno di soldi», come dice don Gianfranco. «Eranogiovani. Erano italia¬ ni. Uno ora biondino. Riconoscerli, ma...», non si sbilancia Francesco Aquila, canotla blu e braghe corte. «Basta che poi non li lascino andare il giorno dopo, che siamo stufi di piangere morti», dice una signora con il vestito a pallini che non vuole dire il nome. «Sono una di Toscolano, una dei settemila abitanti», si trincera dietro alla massa di questo paese che negli ultimi anni ha visto al massimo qualche furto di autoradio, qualche appartamento depredato e l'ultima rapina tre anni fa, all'ufficio postale. «Non pensavamo di essere come Milano, come Castellamare. Adesso vogliamo più polizia, ma c'è in giro troppa gente che non dovrebbe stare in giro», si arrende all'impotenza il sindaco Paolo Elena. Mentre davanti alle telecamere singhiozza più forte una signora con il vestito blu a fiorellini mentre mostra gli orecchini, appena un ninnolo che settimana scorsa aveva acquistato dal gioielliere. L'unica a dire apertamente che il governo dovrebbe fare qualcosa, che non si può essere sempre in balia dei balordi pronti a sparare e che ci vorrebbe la pena di morte. Il parroco: «Viviamo nella paura, nell'angoscia Ho timore che questa vicenda porti altro sangue voglie di vendette» «Siamo indifesi, in giro non si vede mai un agente» «Ho sentito dei rumori, mio papà impugnava la pistola, quell'uomo aveva la rete in testa Ho capito subito che cosa stava succedendo, ho sentito altri spari e poi l'ho visto cadere in un lago di sangue. Mi ha detto: "Chiama l'ambulanza"» ti cadavere di Domenico Felicini, 47 anni, ucciso a colpi di pistola a Toscolano Maderno. Sotto, un'immagine del gioielliere rimasto vittima di una rapina

Persone citate: Domenici, Domenico Felicini, Francesco Aquila, Franco Buglio, Paolo Elena, Paolo Felicini

Luoghi citati: Brescia, Castellamare, Milano, Toscolano Maderno, Verona