Chiara Muti e la follia che c'è in noi di Simonetta Robiony
Chiara Muti e la follia che c'è in noi L'attrice è protagonista in «Il guardiano» di Eronico, presto nelle sale Chiara Muti e la follia che c'è in noi «Per recitare la schizofrenia ho cercato dentro di me» Simonetta Robiony ROMA No, Chiara Muti non ha avuto esitazioni a scegliere, per il suo primo film da protagonista, il ruolo di una schizofrenica, una parte ad alto contenuto espressivo che però può restare addosso e condizionare una carriera. «Ho letto la sceneggiatura de "11 guardiano" e m'è piaciuta subito moltissimo. Poi ho parlato con il regista Egidio Eronico e ho capito che potevo farcela, anche se era un grosso sforzo». In che senso? «Volevo uscire dai modelli classici della malattia mentale. Far capire che il confine tra chi ha un comportamento nella norma e chi no, ò labile e incerto. Per ottenere questo ho corcato dentro di me: la solitudine provata, a volte, da bambina, certe manie come toccarmi i capelli per vincere l'imbarazzo. E ho esaltato questi aspetti». L'assenza di suo padre Riccardo Muti, por il mondo a far concerti, l'ha fatta soffrire? «Sì, ma anche padri che fanno lavori meno esaltami spesso mancano da casa. Almeno io condivi devo con mio padre la stessa passione». Perché un film sulla follia? «E' un racconto estremo, questo, ma parla di tutti noi. L'essere umano filtra il reale attraverso la propria sensibilità». Scritto da Nicola Moli¬ no con Eronico, un architetto passato al cinema, autore, 10 anni fa, dell'assai premiato «Stesso sangue», «Il guardiano», in uscita a fine agosto, è la storia di un padre anziano e d'una figlia disturbata: per entrare in contatto con lei l'uomo si finge un sequestratore che la tiene prigioniera in attesa che un altro padre, fantasticato come buono, versi i soldi del riscatto. Eronico, che confessa di far cinema solo sui legami familiari, sta preparando un nuovo film sul tema: «Papà, Ruu Alguemme 5555» con Maximiliam Schell, l'incontro in Brasile tra un padre che fu nazista e un figlio che non ha mai conosciuto. Chiara Muti, faccia intensa di bellezza mediterranea, sorprendendo chi s'aspettava si sarebbe dedicata alla musica, a 18 anni ha scelto di fare l'attrice. «Non è strano. 1 miei due fratelli fanno architettura e legge. E' vero, ho studiato canto e pianoforte, da bambina, ma presto mi sono accorta di averlo fatto perché mi incantava Mozart e di Mozart mi interessava soprattutto l'attenzione alla drammaturgia». Il teatro partendo da Mozart? «Direi di sì. Anche se non ò stato subito chiaro cosa volessi fare. Disegnavo costumi: pensavo mi sarebbe piaciuto fare la costumista o la scenografa. Poi ho capito che quei costumi li disegnavo per me e che mi avrebbe dato fastidio vederli indosso a un'altra». Cresciuta a Ravenna dove il maestro ha la sua residenza, trasferitasi a Milano per studiare teatro, ha debuttato prestissimo, nel '91, a neanche vent'anni, con «Il girotondo» di Schnitzler e, da allora, ha lavorato in palcoscenico ininterrottamente. «Il cinema lo faccio da poco. Mi affascina perché usa una recitazione interiore, per sottrazione». Dopo «Il guardiano», Avati l'ha voluta per «La via degli angeli», affidandole ancora una parte di donna instabile. «E'un caso: non sono io che cerco questi ruoli. Lavorare con Avati mi ha lusingato perché la storia di queste due cognate diviso dall'odio l'ha scritta dopo aver incontrato me e Eliana Miglio, adattandola a noi». Comunque, per evitare identificazioni, Chiara Muti, nel frattempo, ha girato «La bomba» di Giulio Base, commedia paradossale con Gassman padre e figlio, e a settembre farà, a fianco di Stefania Rocca, con la regia di Treves, la versione cinematografica di «L'attesa» di Hinosi. «E finalmente indosserò abiti del 700, il mio secolo preferito, quello di Casanova, di Da Ponte, della sventurata regina Maria Antonietta e naturalmente di Mozart., il mio idolo. E, per una volta, il cerchio si chiude». Chiara Muti ha incominciato a recitare a 18 anni, a sorpresa. Dice: «Ho studiato canto e pianoforte, da bambina, ma presto mi sono accorta di averlo fatto perché mi incantava Mozart e di Mozart mi interessava soprattutto l'attenzione alla drammaturgia»
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