Usa, nasce la «Dottrina Clinton» di Andrea Di Robilant

Usa, nasce la «Dottrina Clinton» Due condizioni: minaccia agli interessi nazionali e possibilità di inviare truppe Usa, nasce la «Dottrina Clinton» Interventi militari ovunque contro i genocidi Andrea di Robilant corrispondente da WASHINGTON Nasce la Dottrina Clinton. D'ora in avanti gli Stati Uniti si riservano il diritto di intervenire contro «qualsiasi Paese o governo che tenti di eliminare un popolo attraverso un genocidio od un quasi-genocidio», non solo in Europa ma nel rosto del mondo. Ad enunciare in maniera articolata la nuova posizione americana emersa dopo la guerra del Kosovo è Sandy Berger, consigliere per la sicurezza nazionale, in un discorso al National Press Club. Ma devono verificarsi altre due condizioni, ha aggiunto: «Il nostro interesse nazionale dove essere minacciato e dobbiamo avere a disposizione i mezzi per agire». E' la prima volta che la posizio¬ ne americana viene illustrata in maniera cosi esplicita. «Ci è sembrato importante enunciare i principi dietro a questa nuova dottrina», ci ha spiegato il portavoce per la sicurezza nazionale, David Leavy. «Per cominciare a fissare uno standard per la comunità mondiale». Le condizioni di un intervento rimangono sufficientemente vaghe da non chiarire del tutto le circostanze di un intervento americano. Lo stesso Leavy ha aggiunto: «Non è detto che ogni intervento debba per forza essere di natura militare». In Kosovo, ha spiegato Berger, l'interesse degli Stati Uniti era a rischio «per via di ciò che sarebbe accaduto in Europa se non avessimo messo fine a tutto questo». E attraverso la Nato, gli Stati Uniti avevano chiaramente la capacità d'intervenire. Ma se una situazione simile dovesse verificarsi in Africa, in Asia o comunque fuori dall'area europea, gli Stati Uniti davvero sarebbero motivati ad agire? S), ha risposto Berger, è possibile immaginare un intervento americano «anche in altri luoghi». Berger: «A mio modo di vedere, da quando siamo andati in Kosovo, vige ormai un principio secondo il quale gli Stati Uniti non rimarranno 11 a guardare di fronte al tentativo sistematico di eliminare un popolo». A spingere l'Amministrazione verso questa nuova dottrina, dicono fonti del governo, è stato non solo il successo riportato dalla Nato in Kosovo ma il ricordo del mancato intervento in Rwanda che ancora pesa su questo Presidente. Ma oggi gli Stati Uniti davvero interverrebbero per fermare il genocidio del 1994 m Rwanda, dov'è francamente più difficile individuare con chiarezza un interesse nazionale americano e dove sareb¬ be quasi impossibile trascinare gli alleati della Nato? SI, ma probabilmente non con un intervento militare diretto. «In Africa stiamo lavorando per costruire forze indigene capaci di intervenire in situazioni come quella verificatasi in Rwanda», ha spiegato Berger. «Stiamo addestrando una forza, siamo a circa 4000 effettivi. Già questo dovrebbe permettere una maggiore capacità d'intervento. Abbiamo notato in alcuni conflitti recenti, come in Sierra Leone o nel Congo, una maggior disponibilità, una maggior prontezza da parte dei Paesi africani ad assumere un ruolo-guida in operazioni del genere». Insomma, un intervento degli Stati Uniti in regioni extra-Europa è una possibilità, non una certezza automatica. «Dipenderà dalle circostanze particolari», conclude Berger, lasciando nell'aria un po' di quell'ambiguità che è uno dei tratti più salienti della presidenza Clinton. Il consigliere di Clinton per la sicurezza nazionale, Sandy Berger