In cinquemila sulla nuova trincea della Lega

In cinquemila sulla nuova trincea della Lega I fedeUssimi del senatur in piazza per difendere il sindaco Monti: giù le mani dai padani In cinquemila sulla nuova trincea della Lega La manifestazione di Lazzate: e ora il Parlamento al Nord inviato a LAZZATE Sudato, stanco e forse anche sorpreso da questi cinquemila che invocano il suo nome. Ma per Cesarino Monti, sindaco di Lazzate, lo «Spartaco» padano come lo hanno già soprannominato, questo è il gran giorno. «Eccola qui, la mia risposta al Prefetto Sorge», fa così con la mano, guardando al corteo che sfila davanti alla sede della Lega, passa dal «suo» municipio, porte chiuse per lui con decisione prefettizia, e si ferma nella piazza della chiesa. «Quando si toccano i padani, i padani scendono in piazza. Le istituzioni sono avvisate», rilancia la sfida, pronto al commissariamento, a nuove elezioni, a non arretrare di un millimetro dal concorso pubblico che ha aperto le porte al Comune ad una lazzatese, premiata perché residente in questo paesone duecentocinquantasei metri sul livello del mare, diciannove chilometri da Como, venticinque da Milano, come recita la lapide in faccia alla canonica. Alla segretaria della Lega di Lazzate, a Simona Vaninetti, scintillano gli occhi. «Questo è il nostro giorno...», dice mostrando i fax di solidarietà che arrivano dagli altri Comuni, da Cogliate, Besozzo, Cambiago, Campo San Martino, Alme, Rosa che è vicino a Vicenza e Serravalle di Chienti, provincia di Macerata. E va bene che ci sono le bandiere della Lega di mezzo Nord, che da Trento arriva una delegazione con Erminio Boso in testa, che i piemontesi di Costigliole e di Villa Faletto continuano a gridare «secessione», che questo dopo il congresso delle botte di Varese era la prova del fuoco sulla tenuta del Carroccio, ma tra questi cinquemila che sfidano zanzare e afa c'è quasi l'intero paese. «Abbiamo pagato le tasse, vogliamo che i posti di lavoro siano soprattutto per noi. Non vogliamo i terroni che dopo sei mesi tornano al paesello», dice uno con la camicia a quadri appiccicata al petto. «Vogliono sempre decidere quelli di Ro ma? Vogliono che il nostro voto non conti niente?», chiede una signora alla vicina, retorica fin che si vuole ma forte in matematica. «Perché qui a Lazzate abbiamo il 60,4% dei voti. E se c'è da tornare alle urne, siamo tutti con il Cesarino», assicura lei, profondo Nord, prima linea padana che fa sorridere Umberto Bossi, alla sua prima uscita pubblica dopo le mazzate e la ghigliottina piovuta al congresso. «Con Roma, la contrapposizione è irreversibile», dice Bossi mentre gli sfilano a fianco i motociclisti padani, le bionde del paese che tengono lo striscione di apertura e quello che tira due schiaffoni alla troupe della Rai. «Primo: abbiamo centomila militanti pronti a muoversi sul territorio. Secondo: faremo un referendum per cacciare i prefetti. Terzo: vogliamo il parlamento al Nord», snocciola antiche parole d'ordine, mescolate ai nuovi sogni di un partito alla conta, dopo le espulsioni, dopo l'emorragia di quelli che se ne sono andati. E allora tutti qui, unico assente Marco Formentóni, accanto al capo. Da Maroni a Calderoli, da Borghczio a Boso che se la prende con il prefetto Sorge: «Di federalismo ne parlano troppi, ma è alla prova dei fatti che si vede la sostanza. Anche Einaudi aveva detto che l'Italia non sarà mai democratica l'ino a che ci saranno i prefetti». Sarà, ma se dal balcone della cooperativa, dal bar «dei rossi» come dicono tutti a Lazzate, questa sera spuntano le bandiere con il sole celtico, qualcosa vorrà dire sul sentimento che anima questo paese, seimila abitanti, un terzo di immigrati alla seconda generazione, soprattutto artigiani e dipendenti di piccole fabbriche. «Siamo stanchi di vedere negli uffici pubblici le solite facce. Vogliamo che nella pubblica amministrazione vadano soprai lutto i nostri giovani», assicura una signora, mentre dal palco Mario Borghezio dice più o meno le stesse cose, l'ultimo tasto su cui la Lega cerca di recuperare consensi. (f. poi.) Ci sono le bandiere di mezzo Nord «Abbiamo pagato tante tasse e vogliamo che i posti di lavoro restino a noi»