Carceri modello, fabbriche di rabbia

Carceri modello, fabbriche di rabbia Usa, aboliti i programmi di rieducazione, negli istituti di pena i criminali si «airano» con l'isolamento Carceri modello, fabbriche di rabbia Sasha Abramsky LA percezione popolare del crimine confonde spesso il confine tra fatto e mito. Il mito è che gli Stati Uniti sono assediati da una classe patologicamente criminale. Il fatto è che questo non è vero. Dopo la spirale di violenza innescata dalle guerre di droga, il tasso di reati, nella metà degli anni Novanta, è cominciato a scendere. In alcune città il numero degli omicidi dell'ultima parte del secolo è inferiore a quello del secolo scorso. Il tasso di reati comuni è in generale più basso oggi negli Stati Uniti che in Gran Bretagna, ed ò paragonabile a quello di molti paesi europei. Tuttavia, alcune storie orrende hanno portato all'allungamento delle pene detentive, all'abolizione del rilascio sulla parola e all'aumento dei trattamenti punitivi dei prigionieri. La politica di effettuare sondaggi tra la popolazione ha di fatto incoraggiato coloro che sono deputati alla correzione dei detenuti a costruire unità d'isolamento, ad aumentare il numero delle carceri di massima sicurezza (in cui i prigionieri sono tenuti in cella circa ventitre ore al giorno), ad abolire le sovvenzioni per i detenuti che intendevano conseguire diplomi o specializzazioni e, in generale, a rendere ia vita carceraria il più miserabile possibile. «Cinquantanni fa la riabilitazione era il primo obiettivo del sistema», dice Marc Mauer, direttore del «Sentencing Projet», un gruppo formato da avvocati difensori con sede a Washington DC. Oggi non è più così. «La situazione in cui ci troviamo adesso è completamente senza precedenti». Secondo un resoconto ufficiale del 1991, nel 1986 175.662 persone sono state condannate a più di dieci anni; cinque anni dopo le stesse pene sono state comminate a 306.006 persone. Gli uomini non sono diventati più antisociali, ma le punizioni alle loro infrazioni si sono fatte più dure. Il crimine, comunque, è una questione complessa, e le risposte che sembrano istintivamente più sensibili, o soltanto più soddisfacenti, possono in realtà rivelarsi controproducenti. Rinchiudere sempre più persone contribuirà, alla lunga, ad aumentare il numero dei Robert Scully tra noi. Robert Scully è cresciuto vicino San Diego, nella cittadina di Ocean Beach. Ha cominciato a far uso di droghe fin da giovanissimo. Dall'eroina è presto passato al furto. Da quando ha ventidue anni, agli inizi degli anni '80, è stato rinchiuso nel carcere di San Quentin. In prigione Scully è degenerato: ha cercato di fuggire dalla sua cella con mezzi di fortuna e ha attaccato un altro detenuto con un coltello da cucina. In quello stesso periodo, la California inaugurò le cosiddette unità di massima sicurezza - ghetti per detenuti con qualche problema. Scully fu spedito in una solitaria prigione di confine chiamata Corcoran. Lì i sorveglianti, come ha rivelato recentemente il Los Angeles Times, amavano organizzare combattimenti tra prigionieri nel cortile del carcere. E talvolta interrompevano la lotta sparando nel gruppo dei detenuti. E Scully fu ferito due volte. Nel 1990, Scully fu trasferito nel maxi-carcere appena aperto di Pelican Bay, a nord-est della cittadina vittoriana di Crescent City. Era stato messo in una cella piccolissima - quasi una bara - dove il cibo gli veniva servito da una fessura nella porta. Vi restò per quattro anni. Quando fu rilasciato, nel 1994, egli aveva speso nove anni della sua vita in un isolamento quasi completo. Un mese dopo fu arrestato di nuovo per essersi fatto trovare con gente che girava armata (era tenuto sotto stretta vigilanza), e fu riportato a Pelican Bay. Ne è riemerso il 24 marzo 1995. Con le caratteristiche di una bomba a orologeria, più che di un uomo. Lo venne a prendere fuori dal carcere Brenda Moore, la ragazza di un suo compagno di cella. Andarono verso sud, direzione San Diego, dove Scully doveva firmare presso il suo custode di riferimento. Non ci sono mai arrivati. Cinque giorni dopo arrivarono a Sebastopol e cominciarono a girare con la macchina intorno a un ristorante, fino a che il proprietario, temendo una rapina, chiamò la polizia. Arrivò lo sceriffo Frank Treyo, un signore di una certa età prossimo alla pensione. Chiese alla ragazza di mostrargli la patente. Scully gli puntò una pistola in faccia e gli sparò in piena fronte. I due cominciarono a correre fra i campi, fecero irruzione in una casa e presero in ostaggio un'intera famiglia. Il pomeriggio successivo, con la casa completamente circondata dalla polizia, Scully finì per arrendersi. Robert Scully era diventato un assassino dopo Pelican Bay. Gli psichiatri e gli specialisti chiamati a difenderlo spiegarono che egli aveva semplicemente perso la capacità di riflettere sulle conseguenze delle sue azioni. Tutti quegli anni di isolamento avevano causato un regresso psicologico impressionante, per cui egli era ridotto a un animale che agiva solo d'istinto, incapace di formulare un qualsiasi progetto. Secondo una stima del direttore di Pelican Bay Joe McGrath, ogni mese trentacinque detenuti escono dall'isolamento e vengono rimandati direttamente nella comunità sociale. Come Scully. Dal 1985 la popolazione carceraria è cresciuta del sei o sette per cento ogni anno e nel 1995 463.284 detenuti sono stati messi in libertà dopo pene scontate in isolamento. Se questi dati resteranno costanti, 600.000 persone saranno rilasciate nel 2000,887.000 nel 2005 e circa 1 milione nel 2010. In tutta l'America, da oggi fino al 2010 circa 3 milioni e mezzo di persone lasceranno la prigione per rientrare nella società civile. Con tutto il loro potenziale di rabbia, che dal carcere si rovescerà sul nostro futuro. William Sabol, ricercatore dell'«Urban Institute» di Washington, ha recentemente cominciato a studiare le statistiche relative al numero di carcerazioni e di rilasci in novanta aree metropolitane d'America. Entro pochi anni sarà in grado di mettere a fuoco la situazione di Baltimora, una delle città con il più alto tasso di carcerazioni, e di indagare gli effetti dei rilasci all'interno della varie comunità. Secondo Sabol, allo stato attuale delle sue analisi, gli effetti più devastanti non riguarderanno tanto le zone più socialmente conflittuali, ma quelle dove vivono operai e rappresentanti del ceto medio nero. Sono queste infatti le aree dove ci fu il maggior numero di arresti durante le guerre di droga del decennio scorso. «Quando tutti quei detenuti verranno rilasciati» spiega Sabol, «quel tessuto sociale, che nel frattempo è mutato, non sarà più in grado di assorbirli». Ma non tutte le conseguenze sono prevedibili. E senza un piano preciso ci avviamo verso una situazione disastrosa, che anziché migliorare col passare del tempo, è destinata a farsi sempre più insostenibile. Copyright The Atlantic Monthly La storia esemplare di Robert Scully dopo anni passati nelle unità di massima sicurezza è diventato un feroce assassino L'ora d'aria nel carcere di San Quentin, California, tirocinio di violenza più che di riabilitazione