Usa-Gheddofi: capitolo primo

Usa-Gheddofi: capitolo primo GL! SCENARI DEL MEDITERRANEO CHE CAMBIA Usa-Gheddofi: capitolo primo A Washington si discute una nuova strategia analisi Maurizio Moiinari inviato a WASHINGTON B L Congresso degli Stati Uniti le tornato ad occuparsi dei I rapporti bilaterali con il colonnello Muhammar Gheddafi dopo cinque lunghi anni di black-out. La stanza 2172 del Rayburn Building - l'edificio della Camera dei Rappresentanti a Capitol Hill che ospita la Commissione Relazioni Internazionali - si è trasformata per oltre due ore in un grande pensatoio sulla Libia dove hanno sfilato alti funzionari del governo, specialisti ed accademici, disegnando i contorni di un nuovo approccio alla Libia che affianca le attese per le aperture di Gheddafi ai timori per le sue mire africane, la corsa alle armi di distruzione di massa e le violazioni dei diritti umani. Davanti ai dieci deputati repubblicani e democratici della sotto-commissione Africa, Ronald Neumann, vice-assistente del Segretario di Stato per il Vicino Oriente, ha illustrato la posizione dell'amministrazione Clinton sui rapporti con Gheddafi, per la pnma volta dopo la consegna in aprile all'Olanda dei due agenti sospettati per l'attentato di Lockerbie. «E' da molto tempo che non affrontavamo questo argomento ed è venuto il momento di farlo» ha esordito Ronald Neumann. «La consegna dei due sospetti per Lockerbie è stata un nostro significativo successo diplomatico e prendiamo atto delle recenti dichiarazioni libiche sull'intenzione di voltare pagina nelle relazioni internazionali ma - ha detto Neumann - queste affermazioni non bastano, Tripoli deve com- piere azioni concrete per tornare a pieno titolo nella comunità internazionale». E quando il deputato repubblicano della California Tom Campbell gli ha chiesto «ci spieghi cosa deve fare concretamente Gheddafi», Neumann ha replicato citando la risoluzione dell'Onu sul caso Lockerbie: «Rinunciare ad ogni forma di sostegno al terrorismo, riconoscere la responsabi¬ lità dei suoi agenti, cooperare nelle indagini e pagare adeguati risarcimenti». Insomma, il Dipartimento di Stato riconosce i passi avanti compiuti da Gheddafi ma gli manda un messaggio chiaro: «Le dichiarate intenzioni di svolgere un ruolo costruttivo nella regione devono essere suffragate da azioni significative». Se questo avverrà molte novità sono dietro l'angolo. Le sanzioni Usa alla Libia per ora rimangono ma qualcosa dietro le quinte già si muove, a cominciare dallIntenzione dell'Amministrazione di consentire la vendita - caso per caso - di cibo e medicinali alla Libia (oltre che a Iran e Sudan). «La palla sta nel campo di Gheddafi» sottolinea un membro dello staff della commissione Relazioni Internazionali, rivelando che «l'ex sottosegretario per l'Africa, Herman Cohen, nelle sue recenti missioni a Tripoli ha discusso con i libici dei possibili passi avanti da muovere». L'audizione al Rayburn Building ha messo ben in evidenza cosa ci si aspetta dal colonnello. «La Libia sta per completare con successo lo sviluppo di armi di distruzione di massa chimiche e biologiche e la realizzazione dei vettori balistici per trasportarle» ha spiegato ai deputati Joshua Sinai, consulente dell'Istituto di ricerca per la sicurezza nazionale «Anser» di Arlington. Sono queste le «perle» dell'arsenale di Gheddafi: il laboratorio per armi biologiche «Ibn Hayan» realizzato con gli iracheni; il complesso di Tarhunah, definito dalla Cia «il più grande impianto chimico sotterraneo del mondo», presto in grado di produrre 2500 tonnellate di gas all'anno e dove sono state già accantonate 100 tonnellate di agenti venefici prodotti nell'altro complesso di Rabta; i progetti avanzati per la realizzazione dei missili «Al Fatnh», con gittata fino a 1000 chilometri, e «Al-Fajer al-Jadid» simile agli Scud di Saddam. «Inoltre la Libia avrebbe recentemente ricevuto dalla Corea del Nord la tecnologia necessaria per realizzare il missile No-Dong, con un raggio di 1300 chilometri» ha aggiunto Sinai, indicando il pericolo che «Tripoli divenga un paese-ponte per traffici di armi non convenzionali con altri Stati». Dubita di Gheddafi anche Ray1 Takeyh, del Washington Institute per il Vicino Oriente, secondo cui «le sue recenti iniziative negoziali in Africa non è detto che tendano alla stabilizzazione dell'area, mentre mirano chiaramente a creare un blocco di paesi con Sudan, Zimbabwe, Angola e Congo per uscire dall'isolamento e, in prospettiva, confrontarsi con gli Stati Uniti». La questione dei diritti umani è stata invece sollevata nell'aula 2172 dall'attivista per i diritti umani Omar Turbi che pur avocando la «fine dell'embargo americano» ha detto che questo passo dovrebbe essere condizionato «all'immediato rilascio di tutti i prigionieri politici e di coscienza, ed all'impegno libico in favore di riforme democratiche e della garanzia della libertà di parola». Durante l'audizione è stato infine Mansour El Kikhia, professore dell'Università del Texas a San Antonio, a sostenere apertamente la necessità di un «cambiamento della politica dell'Amministrazione», ricordando gli interessi economici delle grandi compagnie petrolifere à cui le sanzioni «hanno fatto perdere in questi anni miliardi di dollari a vantaggio dei loro diretti concorrenti». Dopo cinque anni vertice al Congresso «La Libia deve bloccare il programma per costruire armi di distruzione di massa»