La CINA e sempre più vicina

La CINA e sempre più vicina Dalla controversia con Taiwan ai conflitti religiosi, così le vicende interne hanno riflessi diretti in tutto il globo La CINA e sempre più vicina uoyan-Shen PECHINO ■w t| I chiedete mai come fa la 1 / televisione a funzionali ri? Per noi è semplice: ■ bista premere un botto! 11*. Dietro ci sono chilometri dijcomplicatissimi circuiti che possiamo bellamente ignorare fiduciosi che in un attimo l'immagine desiderata ci comparirà da vinti agli occhi. Quasi allo stesso modo il miracolo della globalizzazione e della geopolitica fa sì che oggi le complicate vicende cinesi abbiano ripercussioni dirette sull'Italia, e su quello che ci troviamo nel piatto. Oggi, alla vigilia dello storico cinquantenario della presa del potere nel 1949, il partito comunista affronta sfide altrettanto pericolose che mettono a rischio, se non la stabilità del Paese, almeno quella della sua moneta e delle sue riforme. La Cina non ci è mai stata così vicina. E la protesta della setta dei Fair, n Gong (la forza del ciclo del Kharma) e la sua risonanza a livello internazionale va a complicare uno scenario già di per sé molto delicato. Pechino ora è alle prese con importanti trattative incrociate con Taiwan e gli Stati Uniti, con gli uni per cercare di avvicinare l'isola, considerata una provincia ribelle, a una futura riunificazione politica, con gli altri per strappare condizioni favorevoli per l'ingresso del Paese nell'organizzazione del commercio mondiale (Wto). I miracoli della globalizzazione e della politica internazionale fanno si che entrambe le poste in gioco abbiano ripercussioni dirette anche in Italia. È per la complicata vicenda di Taiwan che nel conflitto del Kosovo gli Usa avevano in un primo momento deciso di saltare il ricorso alle Nazioni Unite complicando così le trattative con Belgrado. Infatti l'anno scorso la minuscola ma strategica Macedonia aveva deciso di riconoscere Taiwan e tagliare i rapporti diplomatici con Pechino. A ciò la Cina, membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu, aveva risposto con un veto sulla permanenza di truppe Onu nella ex Repubblica jugoslava. Nel mezzo dei negoziati con la Serbia per il Kosovo, gli Usa decidevano di intervenire sotto la bandiera Nato anche per evitare complesse trattative con la Cina nell'Onu. La Cina, temevano gli americani memori di una simile tattica durante la guerra del Golfo, avrebbe chiesto a Washington maggiore fermezza con Taiwan in cambio del suo appoggio. In questa luce un aumento o una diminuzione della tensione fra Cina e Taiwan ha riverberi globali. Sono 28 oggi i Paesi che riconoscono Taipei e non Pechino, concentrati per lo più in Africa e Centro America. C'è da scommettere che se in qualcuno di questi Stati dovesse sorgere qualche problema, la Cina porrebbe il veto all'intervento dell'Onu rendendo così più complicata una soluzione internazionale. Oltre ai Balcani, sempre effervescenti, dove continua a restare la mina vagante della Macedonia, c'è poi il Centro America, il giardino di casa degli Stati Uniti. Qui alla fine dell'anno scade «l'affitto» Usa del Canale di Panama e società cinesi e taiwanesi (spesso dietro la copertura di società di comodo di Hong Kong) stanno gareggiando per comprare a man bassa nello staterello. Per di più, Panama riconosce Taiwan, non la Cina. Inoltre la controversia con Taiwan, riapertasi la settimana scorsa sulla questione della riunificazione, e le conseguenti minacce di Pechino, più che i pericoli per lo scoppio di una guerra, accrescono la tensione commerciale nell'area. Un aumento di tensione con Taiwan ha un impatto diretto sulle economie giapponese e coreana, che vedono passare intorno all'isola i loro rifornimenti petroliferi. E la Borsa di Tokyo è lontana appena otto ore di fuso orario da quella di Milano. L'economia ci porta quindi al Wto. Qui le trattative tra Usa e Cina sono più complicate ancora a causa di Taiwan. Washington oggi vorrebbe firmare quanto i chiesi avevano offerto loro nei mesi scorsi. Solo che Pechino è tornata sui suoi passi dopo il bombardamento della propria ambasciata a Belgrado da parte degli americani, che come abbiamo detto - avevano usato la Nato e non l'Onu proprio per non trattare con Pechino su Taiwan. La Cina è talmente grossa che se l'organizzazione mondiale la tenesse fuori in qualche modo perderebbe di senso, perché la¬ scerebbe fuori da importanti negoziati commerciali quasi un quarto della popolazione del pianeta. D'altro canto se la Cina fosse ammessa a condizioni troppo speciali, ciò potrebbe sovvertire l'equilibrio delle regole esistenti e far perdere di senso il Wto. L'ingresso o no di Pechino nell'organizzazione del commercio mondiale è questione che interessa tutti da vicino. Se la Cina vi entra potrebbero diven¬ tare insostenibili gli attuali sconti fiscali sulle esportazioni. Quindi per mantenersi competitiva nell'export Pechino dovrebbe considerare più seriamente la possibilità di svalutare la sua moneta. E non è chiarissimo che impatto avrebbe ciò sulle economie mondiali. Infatti la crisi finanziaria del 1997 fu innescata dalla svalutazione del bath thailandese, che al mondo conta certo meno del renminbi cinese. Solo che la Cina, per mantenersi salda a livello internazionale, deve stare attenta all'interno e mandare avanti le sue coraggiose riforme economiche. Queste stanno creando una nuova classe di imprenditori, stanno distruggendo la vecchia industria di Stato e fanno nascere una più moderna industria privata. Ma stanno anche espellendo dalle vecchie fabbriche decine di milioni di operai e spingendo in città centinaia di milioni di contadini senza lavoro in campagna. Non era meglio prima?, molti di costoro si chiedono. Cos'è questa modernizzazione di cui ci riempiamo la bocca, che aumenta le cose che possediamo, ma ci svuota spiritualmente, ci dà ansia per i rischi di licenziamento e di incertezza nel futuro? Qui intervengono i Falun Gong e le decine di altri gruppi che portano centinaia di milioni di persone nei parchi ogni mattina a fare esercizi e cercare di dare un senso alla vita. In più gli americani si sono detti preoccu pati per la repressione oggi in corso in Cina contro il culto, molti fedeli hanno dimostrato a Taipei in solidarietà dei loro confratelli arrestati a Pechino Basta e avanza per pensare che non ce la faranno mai, che Paese si infilerà in una guerra di religione in mezzo a pasticci internazionali sempre più gros si. La maggior parte degli intel lettuali di Pechino sono d'accor do: scuotono la testa davanti al pasticciaccio brutto e sospirano «mei xi», non c'è speranza. Era quello che pensavamo anche dieci anni fa vedendo l'Urss riformatrice e dinamica di Gorbaciov allora ricca di tecnologia e di risorse, e popolata da scienziati fra i migliori del mondo. Tutte cose ben scarse in Cina. Oggi l'Urss non c'è più e la sua erede, la Russia, ha un prodotto interno lordo che è appena un terzo di quello cinese. Non è ben chiaro cosa non ha funzionato nell'Urss dieci anni fa e cosa ha funzionato in Cina. Certo 70 anni fa il partito comunista cinese affrontava la Lunga Marcia. Erano pochi e dovevano combattere nazionalisti, banditi, la diffidenza dei contadini, l'ostilità dei cittadini, mille divisioni interne. Ma vinsero. Come? Beh, ricominciamo da come funziona la televisione. Anche la guerra del Kosovo sì è intrecciata alle tensioni di Pechino con Taipei. E ora la lite sulla riunificazione potrebbe colpire le economie di Giappone e Corea, quindi le Borse mondiali PechiiProibita sPace Celestisetta Fal

Persone citate: Fair, Gorbaciov