L'instabilità minaccia i grandi globalizzatori

L'instabilità minaccia i grandi globalizzatori OLTRE LAURA L'instabilità minaccia i grandi globalizzatori CON la ripresa dei prezzi del petrolio e delle materie prime si vanno rivelando non poche incongruenze nel sistema creato dalla finanziarizzazione globale di tutte le principali economie. La ripresa di questi prezzi è un evento positivo perché indica il superamento delle crisi che hanno travagliato il mondo l'anno passato. Il Sud Est asiatico, in particolare, sta mostrando capacità di recupero delle quali nessuno gli aveva fatto credito. Poiché la fiacca congiunturale dell'Europa era stata imputata per buona parte proprio a quelle crisi, il fatto che ora appaiano in via di superamento dovrebbe essere considerato, appunto, un fatto positivo del quale il prezzo del petrolio è una conferma. E invece, apriti cielo! Le borse di tutto il mondo ora vedono nero. Il motivo è che l'aumento di quei prezzi si sta già riversando sul livello medio dei prezzi nei Paesi industrializzati, generando una inflazione che prima o poi potrebbe tradursi in un aumento dei tassi. Le perplessità di fronte a questa logica sono almeno di due ordini. Il primo è che solo in una ottica esasperatamente monetarista si può scontare che una inflazione di origine chiaramente esterna possa essere affrontata con una politica monetaria restrittiva. Facciamo il caso dell'Italia per capirci meglio: una restrizione monetaria volta a fronteggiare una inflazione dovuta essenzialmente al prezzo della benzina non determinerebbe certo una riduzione di questo prezzo. Determinerebbe, al più, una compensazione di questo rincaro comprimendo la domanda di altri beni e servizi i cui prezzi possano conseguentemente diminuire. Una stretta bell'e buona, insomma, la quale non farebbe altro che strozzare nella culla la ripresa che l'Italia e il resto dell'Europa stanno agognando da anni. Un aumento dei tassi di interesse in queste condizioni, dunque, sarebbe sostanzialmente inutile sotto il profilo moetario e certamente deleterio per le attività produttive e per l'occupazione. Se, però, i mercati lo vanno scontando una ragione ci sarà; ed è questa che alimenta il secondo ordine di perplessità. La ragione è che la globalizzazione sta producendo una dissociazione sempre più evidente dei mercati finanziari dalla realtà dei rispettivi sistemi economici. Quando Wn.ll Street saliva perché l'economia americana continuava a tirare, le borse europee restavano al palo E:hé i nostri sistemi econocontinuavano a ristagna¬ re. Giusto. Ora che l'economia americana rallenta e quelle europee sembrano accelerare, però, quel discorso non vale più: siccome flette Wall Street, flettono anche le borse di tutta l'Europa. E' un evidente caso di prevalenza della ratio finanziaria su quella dell'economia reale. Da un punto di vista finanziario, infatti, il mercato sconta un rallentamento dell'economia americana determinato da una politica monetaria più restrittiva imposta da tensioni inflazioniste; sconta così un aumento dei tassi anche sui titoli obbligazionari in dollari. Sconta, in definitiva, che il dollaro possa rafforzarsi ulteriormente fino a spineere la Bce, già predisposta dall'aumento dell'inflazione che abbiamo detto, ad alzar a sua volta i tassi e così a frerare la crescita economica degli Undici. Anche se da noi, in Europa, da frenare non c'è proprio niente. Il pasticcio di questi paradossi lo hanno fatto i mercati. Che i mercati non sbaglino è un luogo comune di comodo che sopravvive a dispetto di una realtà che più volteha già dimostrato come non possano essere proposti come i dapositari di ogni verità. Cccorre dire, però, che anche le autorità monetarie ci mettoio del loro. Se Greenspan ha }utti i motivi per preparare il mercato ad una correzione in senso restrittivo della politica Monetaria - e ciò nondimeno lo sta facendo con estrema cirepspezione - non altrettanto a può dire dei vertici della Bce. Prima Duisenberg ha lasciato intendere che si tiene pronto ad alzare i tassi. Dopo pochi giorni, viste le ovvie reazioni determinate sui titoli azionari europei e sulle obbligazioni espresse in euro, un membro del board della stessa Banca ha corretto il tiro dicendo chi non vi sono ragioni per ritmere imminente un munente dei tassi ufficiali. Nessuno comunque, ha detto l'unica cosa che ci sarebbe da dire, e cioè che non vi sono ragioni ogjettive per scontare una così rgida sintonizzazione degli oritntamenti di politica monearia dell'Europa su quelli dellapolitica monetaria americani. La globalizzazione impone vncou e determina paradossi ma forse qualcosa si può fai per non aiutarla in questa direzione in fondo alla quale digobale si vede solo una ecumetica e devastante instabilità. ica e

Persone citate: Duisenberg, Greenspan

Luoghi citati: Europa, Italia