Sul filo della Memoria

Sul filo della Memoria Sul filo della Memoria SAN PAOLO Caro prof. Caballo, quanta storia e quante delusioni nel nostro borgo Ili NA lunga, intensa lettera di Ugo Giovine, torinese del Borgo San Paolo. «Il professor Caballo è. un personaggio affascinante: un corpo immobile ed un cervello vivissimo. Classe 1910, giornalista e critico d'arte alla Gazzetta del Popolo, ha conosciuto GioUtti passando per De Gasperi ed Einaudi fino ai nostri giorni berlusconiani. Una miniera di ricordi segnati dal rimpianto di essere stato disarcionato troppo presto ed una gran voglia di discutere di tutto e di tutti. Cuneese trapiantato a Torino ascolta un San Paolino come me con molto interesse. Parlo della lancia, la mitica fabbrica di via Caraglio, di quella straordinaria visione ed emozione che mi suscitava l'entrata e l'uscita degli operai; orario 7,45-17,15, uno sciame di bici (gli operai) con ai lati impiegati camminatori, una pittura che per riviverla oggi bisognerebbe andare a Pechino o Shanghai. Lui di rimando mi porta in corso Valdocco dove i cronisti della «Gazzetta» e dell'Unità lavoravano gomito a gomito e alla sera nel viale non era raro vedere Lajolo, Pavese o Calvino passeggiare silenziosi con pipe innescate o mezzi toscani masticati. Ame viene in mente l'Oratorio Salesiano di via Luserna, una fonderia di sovversivi che trent'anni dopo guiderà la città. I pettegolezzi di quel borgo operaio, un po'prevenuto che sui preti salesiani inventava spesso episodi boccacceschi. Una sera uscendo dal cinema Barge (era chiamato «al cine di pui» per la sporcizia) con mia madre incontrai davanti alla chiesa una folla inferocita che urlava insulti anticlericali: la ragione di tanta rabbia pare fosse dovuta ad un vecchio prete, don Provera, sorpreso sul campanile con la perpetua: ero certo ci fosse molta fantasia in quella folla ma nello stesso tempo testimoniava bene l'umore dell'epoca. Tempi sanguigni dove i «rossi» immaginavano preti sui campanili ed i preti dai loro pulpiti domenicali evocavano l'arrivo dei cosacchi e dei comunisti che mangiavano i bambini. Per confermare le tesi degli uni e degli altri si concedeva all'avversario l'onore dell'eccezione: don Villa infatti era per la gente un prete comunista, un infiltrato che aiutava tutti senza discriminazioni ideologiche; per contro Dante Di Nanni un eroe senza tessera mitizzato anche dai clerica]i. Cosa possa unire due persone come il Professore e me non è chiaro, certo abbiamo camminato su alcune strade comuni seppure segnate da trent'anni di distanza. Quando nascevo nel '39 lui era già uomo e girava il mondo ad intervistare artisti e uomini famosi. Forse provengo da una radice diversa, mia madre operaia e poi caporeparto di uno scatolificio di Borgata Parella, mio padre il più vecchio calzolaio di Borgo San Paolo, uno zio operaio Fiat licenziato per motivi politici nel '52: ricordo scontri epici, io con le mie certezze dell'Azione Cattolica, lui con i suoi sogni leninisti, eppure fu lui a formarmi e danni personalità. A nove anni, nel '48, partecipai alla più straordinaria campagna elettorale, facevo il galoppino per il Fronte Popolare: si ricorda, Professore, il faccione di Garibaldi segnato su tutti i muri della città? La faziosità si toccava con mano, la violenza e l'intolleranza caratterizzavano quasi tutti i discorsi. Come si schierò allora, Professore? Penso che lei fosse liberale o democristiano, io ero piccolo e non votavo, però facevo il tifo per il Fronte e la delusione fu tremenda. Ci sono voluti cinquantanni per conoscere certe verità che passavano sopra la nostra testa, in un campo o nell'altro c'erano buona fede e passione, non immaginavamo certamente che ci fosse Gladio, un esercito clandestino che si muoveva con uomini e strutture per orientare l'opinione pubblica in una certa direzione. Pensi Professore quanti cambiamenti sono avvenuti, magari oggi ci troviamo entrambi sotto l'Ulivo, ma quanta strada per arrivare, e quante incomprensioni. Lei adesso è lì, inerme, con un mare di saggezza addosso che non sa come spendere; quella donna che la protegge, e che lei cerca come l'acqua, un tempo doveva essere molto bella, vi immagino al Caffè S. Carlo giovanissimi, molto eleganti e un po' formali mentre sorseggiate il «bicerin ad Cavour». Mi sarebbe piaciuto girare il mondo come lei, Professore, registrare gli umori e le passioni della gente, invece mi è toccato dirigere treni ed occuparmi di dogane e traffici di containers; capitava raramente di potermi sfogare con la penna come quando mettevo in imbarazzo la Direzione Centrale delle Ferrovie trasformando noiosissi- me dispute burocratiche con gustose ed ironiche risposte, ma tutto finiva lì. Erano momenti, poi il grigiore statale riprendeva quota e sommergeva tutto. Se non ho capito male nel nostro brevissimo incontro, c'è un luogo che in qualche modo ci accomuna: lo sferisterio di via Napione; lei ha sicuramente ricordi diversi dai miei, il gioco, fare la cronaca di quel luogo vagamente scandaloso erano le ragioni della sua frequentazione, io, adolescente, vivevo quel luogo con terrore, sapevo che la domenica sera mio padre sarebbe tornato un po' alterato per le troppe bevute e che sarebbero scoppiati litigi con mia madre con scenate che mi gettavano nello sconforto tutta la settimana. Mio Eadre mi voleva eno ma era un libertino impenitente, ricordo i bombardamenti del '42, mia madre che mi trascinava quasi di peso verso il rifugio della Lancia e mio padre che si «nascondeva» in casa dell'amante; sono cresciuto in fretta a colpi di sesso e situazioni erotiche che si toccavano con mano, nel retrobottega del negozio ho appreso quasi tutto, ho catalogato per classi sociali i clienti, ho letto Flaubert, Balzac, Vittorini e Pasolini, ho imparalo a conoscere la gen¬ te dalla voce elaborando una mia personale lotta di classe, la contessa del palazzo di fronte e la tenutaria della casa di tollerai)za di via Sestriere, le scarpe «serie» da quelle con le piume rosa delle prostitute; in quello spazio infinitamente piccolo mi sono costruito una corazza che mi ha difeso tutta la vita. Mio padre non si interessava di politica eppure rischiò di morire nel '40 per una lettera anonima che lo accusava di avere armi e contatti con ambienti antifascisti. Chissà quante cose avrà lei da raccontare di quel periodo, ora in un clima rappacificato e meno fazioso avremo tutti da imparare qualcosa: senza dimenticare chi lottava per la libertà e chi invece la voleva togliere, potremo riscrivere la storia con più serenità e rigore. La vita è caratterizzata da incontri, ne basta uno sbagliato per segnarti duramente: non sono fatalista, ma accanto a qualità e fragilità presenti nella nostra macchina genetica ci sono elementi al di fuori di noi, imprevedibili che giocano ruoli importanti. Non so quali siano stati gli incontri che hanno segnato la sua vita ma le parlerò di uno che ha marcato in positivo la mia: l'incontro con Luciana. Se non fosse nata in una famiglia povera e costretta giovanissima a lavorare, se avesse potuto darsi un'istruzione di base, con le caratteristiche naturali in suo possesso sarebbe diventata importante... Di coraggio si può dire ne avesse ancor prima di nascere, quando nella pancia della madre fuggiva nei campi del Modenese braccata dai tedeschi, il padre comandante partigiano fu tra i fondatori della Repubblica di Montefiorino. Aveva ereditato coraggio e determinazione, incubati per molti anni in quel paesino del Carpigiano dove la quasi totalità della gente s'era trasformata da bracciante a lavorante a domicilio di maglieria. Vi fu il tempo delle armi e il tempo della ricostruzione: Luciana e la sua famiglia avevano ingegno e progettazione e diedero luogo ad una attività commerciale nel settore laniero. Ci sono persone che costruiscono ed altre che si limitano a distruggere, essere imprenditori e nello stesso tempo comunisti negli Anni 50 era una contraddizione difficile da sostenere. E infatti Luciana e la sua famiglia non la sopportarono, subirono la guerra di alcuni notabili «rossi» del paese che li accusavano di sfruttare i dipendenti: furono costretti a svendere quel poco e a trasferirsi a Torino dove da alcuni anni Luciana viveva con me. La storia di questa famiglia sarebbe ancora lunga, raccontarla m'è servita per disegnare la personalità della mia dolcissima compagna, cordiale e paziente ma anche tenacissima lottatrice. P.S. Questo scritto è rimasto nel cassetto molti mesi, nel frattempo purtroppo la mia compagna non c'è più, se n'è andata il 3 ottobre dello scorso anno dopo avermi stretto la mano per otto mesi perchè la salvassi. Lei non sa, Professore, quanto ho amato quella donna e quanto l'ho umiliata con anni di trascuratezza ed insensibilità. Ora la sto cercando disperatamente e so che prima o poi la ritroverò e le parlerò dei giorni vissuti senza di lei». Qui sopra piazza Adriano più o meno nel 1960, quando c'era ancora la Birrerìa lioringliìerì, abbattuta poco tem/x) dopo Sotto, il crìtico Ernesto Caballo in una foto degli Anni 70 Per una imperdonabile distrazione il pezzo di apertura di due numeri fa di questa rubrìca, dal titolo: «Mestieri di strada», era privo del nome dell'autrice, la torinese Angela Lanzilao, alla quale chiediamo scusa. a cura di Renato Scagliola

Luoghi citati: Borgo San Paolo, Montefiorino, Pechino, San Paolo, Shanghai, Torino