A Leskovac, capitale della Serbia ribelle

A Leskovac, capitale della Serbia ribelle L'ex roccaforte di Milosevic ha dato il via alla protesta di piazza che sta infiammando il Paese A Leskovac, capitale della Serbia ribelle Giovanni Cerniti Inviato a LESKOVAC (Serbia del Sud) Per primi, alle sette di sera, arrivano i poliziotti in borghese. Uno si mette all'angolo della «Dugmebank» con la macchina fotografica e carica il primo rullino. «Ogni giorno è così, siamo tutti schedati», protesta Debrosav Nesic, il barbuto ingegnere che guida l'Associazione per i Diritti Umani e si è appena fatto un mese di prigione. Ogni giorno è così, ma dal 1° luglio tutti i giorni è una manifestazione di protesta, i comizi spontanei nella piazza, l'altoparlante sul tetto della gioelleria di Dejan. «La nostra è stata la prima città a mobilitarsi - sta dicendo Mirjana -. Ci sono i riservisti dell'esercito che aspettano il pagamento delle loro diarie, ma ci siamo anche noi, i cittadini del distretto di Leskovac. Noi non vogliamo mantenerci con le diarie dei militari. Noi vogliamo lavoro e pace. Vogliamo che Quel Signore che sta Belgrado se ne vada! Mi hanno appena telefonato da Nis, oggi c'è stato un corteo di studenti!». La piazza di Leskovac è come un Hyde Park Corner. Mirjana è sul tetto della gioielleria, Vesna sta sul cassone di un carretto con il megafono e dice: «Ivan sta bene e vi abbraccia tutti!». Ivan Novkovic, il marito, 35 anni, manda i saluti dal carcere di Leskovac. Il tecnico della tv Ivan è già l'eroe del distretto di Leskovac, 150 mila abitanti, Sud della Serbia, a quattro ore di macchina da Belgrado. La sera del 1° luglio, nell'intervallo della partita di basket Jugoslavia-Germania, aveva infilato una sua cassetta al posto della pubblicità. Sette minuti di parole e mai nominato Milosevic, meglio «chi governa questo Paese e ci ha ridotto al sottosviluppo». Sette minuti di verità. «Vediamoci in piazza domani pomeriggio alle sei». Erano in 20 mila e Ivan aveva la voce contenta: «Per il regime è l'inizio della fine», aveva detto. Per Ivan l'inizio di un mese di galera, forse uscirà il 6 agosto. Per Leskovac della protesta. Era la città del peperone rosso piccante e dell'industria tessile, il distretto che aveva sempre votato per Milosevic e signora: 64 deputati su 69. Ora è la provincia con 2 mila occupati e 35 mila disoccupati, stipendi che bastano a pagare la mensa, tutte le fabbriche chiuse tranne la Zdravlje, industria farmaceutica. E' la città dove Zivqjin Stefanovic, un omone con pochi capelli bianchi e robuste sopracciglia nere, il segretario del partito di Milosevic, è anche prefetto. In quattro, la sera del 1° luglio, dopo il comizio di Ivan Novkovic, hanno dato l'assalto alla sua villetta. Se Ivan è l'eroe, il prefetto Stefanovic detto «il Lampeggiante» per un tic agli occhi è il nemico. «Per farsi bello con Milosevic e tentare di diventare ambasciatore a Sofia - accusa l'ingegner Nesic - ha fatto richiamare 40 mila riservisti del distretto. Qui si dice che non era la Serbia in guerra contro la Nato, ma Leskovac contro la Nato! In 70 non sono più tornati». Il lampeggiante prefetto Stefanovic ha chiesto aiuto alla polizia antisommossa di Urosevac, ora due agenti lo scortano anche quando è in in casa. Si è fatto intervistare dalla tv di Leskovac, la stessa dove lavorava Ivan Novkovic: «A manifestare vanno solo i traditori, i disertori, gli ubriachi, i drogati e le quinte colonne del nemico!». Ha dato l'ordine di non pulire la piazza. «Perché - spiega Bojana Ristic, la segretaria dell'«Spo» di Vuk Draskovic - secondo lui è piena di mozziconi di sigarette e lattine di birra estera. Dice che siamo noi a regalarle per far venire la gente ai comizi! Ha anche proibito le manifestazioni spontanee, così ogni giorno siamo noi, partiti dell'opposizione, a chiedere il permesso che non può essere negato». La signora Ristic, laurea in chimica, si mostra preoccupata. Il prefetto è solo, ma il regime fa paura: «La polizia va a casa di chi protesta, e chi ha un lavoro rischia il licenziamento». Sulla terrazza dell'hotel Beograd si ascoltano racconti rabbiosi. Il Signor prefetto che vieta i necrologi per i riservisti morti in guerra, ì corrispondenti dei giornali indipendenti minacciati. Petar Djordjevic, 39 anni, laurea in filosofia antica e bottega da orefice, è il segretario del Partito Democratico. «La storia serba è piena di nemici arrivati da fuori, ma ora li abbiamo tra noi», dice. E anche Petar ammette che a questo punto, qui, lontani da Belgrado, si vive tra rabbia e paura. «Se tento di immaginare i prossimi mesi mi viene la pelle d'oca. La soluzione migliore sarebbero le elezioni, ma conoscendo chi sta a Belgrado temo una guerra civile. Mira Markovic, la moglie di Milosevic, giorni fa ha ricordato che sono saliti al potere con il sangue e se costretti se ne andranno così. Purtroppo tocca a loro scegliere la prossima mossa. Con l'autunno nulla sarà più come prima, ma in meglio o in peggio?». Nella sede dell'Associazione per i Diritti Umani l'ingegner Nesic raccoglie testimonianze disperate. «Ho incontrato un contadino, un riservista dell'esercito: "Da quando c'è Milosevic non mi sono mai tolto il fucile dalla spalla, e non mi sembra finita", ini ha detto». Nel futuro vede solo miseria. «Se Quello rimane al potere moriremo tutti. Siamo spaventati, con l'inverno arriverà il gelo e la maggior parte di noi non può pagare le bollette di luce, gas e telefono. Non ci sono soldi e chi non paga è fottuto». imi Hill «Arriva l'inverno Molti non potranno pagare le bollette della luce e del gas» «Chi governa a Belgrado ci ha portati al sottosviluppo» Uno studente lancia volantini contro Milosevic a Belgrado. A sinistra Zoran Djindic, leader dell'opposizione