Un addio da Kennedy di Gabriele Romagnoli

Un addio da Kennedy Mohammad Ali, Schwarzenegger, Galbraith ma anche una folla commossa dalla tragedia di una famiglia Un addio da Kennedy Clinton e la gente alla messa perJohn Gabriele Romagnoli inviato a NEW YORK Migliaia di persone assiepate dall'alba nelle strade intorno alla chiesa. Gli agenti del servizio segreto che trasportano corone di fiori. Il presidente degli Stati Uniti con la moglie e la figlia venuti da Washington. Le limousine nere che scaricano personaggi famosi, vetuste divinità dello sport (Mohammad Ali), dell'economia (John Galbraith) e della politica (Robert Me Namara). Trecentocinquanta persone invitate dalle famiglie delle vittime già custodite dal mare e, davanti a tutti, Ted Kennedy che si alza, come trent'anni fa al funerale dei fratello e apre lo scrigno della memoria, ne tira fuori diamanti e stracci, carezze e schiaffi del destino, aneddoti lieti e tristi parole di commiato. Tira fuori, soprattutto, l'orgoglio con cui, ancora una volta, un Kennedy seppellisce un Kennedy. Dice: «Quando chiesero a John che cosa avrebbe fatto se fosse entrato in politica e divenuto presidente, rispose: chiamerei zio Ted e ridacchierei». Poi rispolvera l'album di famiglia, ricorda l'immagine di John con il padre sull'elicottero e il fratello che gli diceva: «Tutti vedranno l'amore che ci lega». Mette al centro della scena Jackie, che «lo guidò nel futuro», «che gli procurò un posto nel mondo dove crescere da solo, senza essere schiacciato dal peso della leggenda». La ringrazia per aver creato quell'uomo «che girava per New York in metropolitana e bicicletta, che si presentava a tutti e non dava mai nulla per scontato». Ricorda quando, diretto a Boston per aiutarlo nella campagna elettorale, annunciò: «Ho bisogno di due posti in aereo, ma di una sola stanza in hotel». Lo staff accorse a riceverlo, la stampa già fantasticava sulla nuova compagna di John jr. e lui scese orgoglioso tenendo al guinzaglio un gigantesco cane lupo di nome Sam. Dico Ted: «Suo padre ci intimava di raggiungere la luna e le stelle, lui raggiunse la sua stella quando sposò Carolyn, che tutti amavamo». Conclude: «Aveva appena cominciato. C'erano in lui grandi promesse. Ora è tornato insieme con il padre e la madre, riunito nel loro amore. Quella sera, sull'aereo, si è perduto, ma noi lo aspetteremo per sempre. Il suo tempo è stato tagliato a metà, non cancellato. Come suo padre ha avuto grandi doni e poco tempo per farne uso, ma vivrà con noi nel ricordo, insieme con sua moglie Carolyn. Addio e che Dio vi benedica». Non ha avuto un cedimento nella voce. Dieci minuti di coraggio e affetto estremo per quel ragazzo di cui aveva finito per diventare un padre putativo, molto più di Onassis o di ogni altro compagno della madre. Toccava a Ted accompagnarlo con le parole. Aveva cominciato ringraziando Clinton e la sua famiglia. Il presidente non ha parlato, ma già la sua presenza ha reso la commemorazione un evento pubblico, molto più della cerimonia in mare. Una funzione strana, invisibile alla gente, ma seguita da migliaia di persone sparse per le strade di New York, venute soltanto per essere dove erano i Kennedy. E' diventato, questo, un rito di passaggio, un evento che segna le generazioni: una donna di 51 anni, di nome Kathleen Sheehan, abitante a Philadclphia, era venuta a Manhattan, alla chiesa di Saint Patrick, per la commeorazione di Robert. Ieri ha portato la figlia 24ennc Heather a un isolato dalla chiesa di Sain Thomas per essere vicina all'ultima cerimonia per John jr. Le morti dei Kennedy sono cicatrici sul corpo di un intero popolo e ne segnano gli anni. Questa ferita è paragonabile soltanto a quelle lasciate dal padre e dallo zio, per l'effetto creato. Continuano i cortei spontanei davanti alla sua casa di Tribeca; quattromila persone sono accorse alla messa nella chiesa irlandese di Little Italy; la polizia ha dovuto isolare l'intero quartiere dove si è tenuta la messa di ieri. Hanno visto passare Arnold Schwarzenegger, con sua moglie Maria Shriver, cugina di John jr; Christiane Amanpour con il marito James Rubin del dipartimento di Stato; sono saliti sui tetti, hanno applaudito i Clinton e i Bessette, hanno trepidato per ciascuno dei Kennedy che hanno potuto riconoscere. Hanno visto passare la storia di una famiglia e contato le tacche del dolore che ciascuno dei suoi componenti porta incise. In milioni si sono fermati davanti ai televisori per guardare quel portale ripreso da lontano e sentire gli annunciatori ripetere, a un'ora di distanza, le parole di Ted Kennedy. Hanno ascoltato, come scolaretti, la spiegazione di come funziona e che cosa significa un rito cattoli- co, di dove, dopo la morte, i credenti di questa religione pensano che vada a finire l'anima. Hanno congedato il proprio amore per una persona che non hanno mai conosciuto ma hanno visto crescere, dal giorno in cui mordeva la collana della madre a quello in cui ha preso per mano la moglie e l'ha condotta verso la felicità e il nulla. Hanno ammesso, con lui e con tutta la sua famiglia, il dolore nella propria esperienza personale, accettato la ferocia degli eventi, imparato la lezione di resistenza e si sono idealmente sollevati con Ted, che non era il migliore di tutti, ma è l'ultimo uomo in piedi e ha ereditato la dignità e la forza. Come lui, infine, la gente d'America impara dalle tragedie a essere più forte del lato e andare avanti, continuando a puntare verso la luna e le stelle. Bill Clinton, accompagnato da moglie e figlia, arriva a New York per la messa

Luoghi citati: America, Boston, Manhattan, New York, Stati Uniti, Washington