Una dinastia americana alla conquista del Graal di Barbara Spinelli

Una dinastia americana alla conquista del Graal UN DRAMMA PRIVATO E IL PESO DELLA POLITICA Una dinastia americana alla conquista del Graal dalla prima Barbara Spinelli Ilignaggi aristocratici sono difficilmente compatibili con la democrazia dell'eguaglianza, della conformità. Ma almeno qualche esemplare resta: venerabile soprattutto nell'attimo della sua morte, beatilicabile solo se muore prima del tempo. Almeno resta la folle disastrosa ricerca del Graal, che diventa una maledizione ma è pur sempre Cerca divina che sembra accomunare i protagonisti delle grandi famiglie. Almeno resta - come in tutte le vicende congegnate dal Fato antico e moderno - quella che de Santillana chiama: «L'immensa tristezza dell'impresa mancata». E' questa tristezza la stoffa del mito Kennedy. Vite intense, ceneri ineffabili disperse nell'Oceano. Di questa tristezza è intessuta l'icona postmoderna che John junior incarna agli occhi di tanti cittadini, e sotto gli occhi di tanti avidi cronisti. Si può fantasticare su questa avidità. Sembra esserci qualcosa di bello, in questo sangue cronicamente e fatalmente versato. Oualcosa di arcaico, irragionevole, comunque fascinoso. Le stesse parole sangue e destino di morte ricorrono non senza voluttà, nei necrologi e nelle ricostruzioni di quest'ultimo disastro familiare. Così come ricorre voluttuosamente l'accenno alla colpa collettiva dei Kennedy: l'ambizione, il sesso, lo spirito di casta, la politica. Il rito del lutto, come spiega assai bene Durkheim, si mescola e si confonde con il rito della gioia, dell'esuberanza, del raccolto felice. Ambedue intensificano i sentimenti umani, e la loro espressione collettiva. Ambedue permettono l'espandersi della comunione, la vitalità sociale, l'abbraccio fra congiunti e fra sconosciuti. Ambedue si riaccendono nei loro aspetti panici - di tristezza o voluttà quando un gruppo sociale tende a indebolirsi. Accadde in Inghilterra dopo la morte di Lady D. Accade in misura meno dirompente, e apparentemente meno politica, in questi giorni. Dopo una guerra a zero morti sui cieli della Serbia, ecco finalmente un morto, nell'universo americano e occidentale che insegue il mito dell'immortalità, della vita completamente pastorizzata, vaccinata. Scompaiono nelle ombre dell'Ade e della smemoratezza i corpi torturati dei kosovari albanesi, le fughe disperate di zingari malmenati e senza tetto, le salme di studenti iraniani uccisi dagli ayatollah: orrori che l'uomo fabbrica con le proprie mani, in piena libertà, e che ci invitano non solo al rimpianto ma all'azione. Un poster gigante oblitera tutte queste scene, cancella per un attimo perfino l'icona bugiarda ma tenace di Che Guevara, e ci si accampa davanti con la sua figura sorridente: la figura dell'ultimo dei Kennedy. Bello, Ricco, Capitalista, Innocente, e purtuttavia necessariamente Maledetto. E' qui la sorprendente bellezza di questa arcaica scena di sacrificio. Non l'abbiamo fabbricata con le nostre mani, ma è il Fato che ha architettato ogni cosa. Un giornale ha scritto addirittura: «Meravigliosa maledizione!». Ha elencato le colpe che i Kennedy si sono meritati, e poi: «Solo la morte ti libera dall'ergastolo del nome». Il sacrificato è rimpianto ma più ancora adorato. Adorato perché rimpianto, e perché vittima espiatoria d'un Genio Vendicatore che ha una primitiva sua giustizia da amministrare. Stiamo assistendo - in questa settimana - a una diffusa, planetaria, estatica adorazione del capro. Non è precisamente una scena tragica classica. Non si apprende quasi nulla, qui, dal dolore. Assistiamo piuttosto alla premessa delle grandi tragedie, che in genere non si concludono con l'adorazione del capro espiatorio ma con la Maledizione che infine si spezza. La stirpe degli Atridi era maledetta, nella trilogia di Eschilo. Avevano immersi, i propri colli, nel collare della necessità. Si aggiravano «come chi corre perennemente fuori strada», in una selva di mali. Oreste, l'ultimo della stirpe, è costretto dal Fato e da Apollo a uccidere la madre CUtennestra, e la Maledizione da allora lo perseguita assumendo le forme delle Erinni. Eccola, la Maledizione personificata: le cagne bevitrici di sangue, le emissarìe di Alastor il Demone Vendicatore. Inflessibili, atroci custodi dell'unica cosa che conti, nel mondo arcaico che precede l'istituzione della giustizia cittadina, della libertà individuale dal fato, delle istituzioni greche. Nulla è permesso all'individuo, nessuna redenzione né solitaria presa di coscienza: perché le Erinni sono alle sue calcagna, soffiano senza tregua sulla sua nuca, avide di sangue e di intere stirpi vendicate. La tragedia di Eschilo trova la sua soluzione - la sua purificazione - solo quando il vincolo del sangue si romperà, quando la pòlis prenderà il posto del ghènos, quando gli Atridi non saranno più colpevoli del primo ancestrale delitto (Atreo uccide i figli del fratello Tiestc e glieli porge in banchetto), e nasceranno l'Areopago, la responsabilità solitaria della persona, e una nuova generazione di dèi che vinceranno la forza della genealogia, del ghènos, dopo aver trasformato le Erinni in Eumenidi: dèe protettrici del diritto del sangue, ma ormai benevole. Anche il battesimo cristiano spezzerà, in seguito, la forza terribile delle genealogie. Questa coscienza della pòlis e della società responsabile deve essersi disgregata non poco, se d'un tratto abbiamo bisogno di simili icone maledette, che annunciano il ritorno vittorioso del ghènos e delle Erinni, di Fobia e di Vendetta. Sui poster scorgiamo personaggi non eroici, non coraggiosi cittadini o intrepidi politici: ma persone umane un po' spaurite, intimidite dal Fato e da alberi genealogici. L'Occidente non ha più i Churchill, i De Gaulle, ma esempi più mediocri o normali, virtuali o figli dell'immagine plastificata. Figli non si sa bene se di un dagherrotipo, o di esistenze personali autentiche. Non era un uomo senza paura John Kennedy Junior, con la sua fuga dalla politica e dalle orme del padre e dello zio Robert. Un giorno avrebbe forse perduto questo intimo terrore, e avrebbe rischiato anche lui il governo della Città: governo che è già di per sé accettazione della mortalità vera o metaforica, nel campo di battaglia o al tribunale delle urne. Per ora il suo sogno era una vita immortale, igienica, connine, al riparo dal rischio. Una vita senza grandi gesta, come la desiderano tanti, se si esclude il rischio inutile, inane, del volo notturno sui Piper Saratoga. Nel cielo la morte lo ha preso: morte fatta con le sue mani, per sua disattenzione, incuria. Se continuiamo a credere che ogni morte nasca da un magico sortilegio, non cesserà mai la ricerca, e poi l'adorazione arcaica o postmoderna - del capro espiatorio. E' uno dei sogni più segreti, torbidi, non sempre innocui, dell'umanità quando di giorno ha una vita normale più o meno sfortunata, noiosa, libera, o funesta, e di notte immagina meravigliose maledizioni che senza fine si abbattono su lontane famiglie, esotiche stirpi, e lignaggi reali pronti a esser prima adulati, poi ammoniti moralisticamente, poi imbalsamati, infine beatificati in riti collettivi di lutto e di tripudio. L'Occidente non ha più Churchill, De Gaulle ma esempi più mediocri o normali, figli della immagine plastificata. John Junior sognava una vita senza grandi gesta, come tanti In alto a destra e qui accanto l'ultimo, commosso saluto di due partecipanti alla cerimonia In basso a destra, l'arrivo dell'ex campione dei pesi massimi Mohammad Ali alla chiesa di San Tommaso Moro

Luoghi citati: Inghilterra, Serbia