VERGOGNA SENZA RIMEDIO di Lietta Tornabuoni
VERGOGNA SENZA RIMEDIO VERGOGNA SENZA RIMEDIO Lietta Tornabuoni A DESSO i medici s'indignano: «Q avete demonizzato, e una tale criminalizzazione può armare con facilità la mano violenta». Come dire: se il professor Cavallaro è stato ferito, se gli hanno sparato, la colpa è vostra. Vostra, di chi? Dei soliti colpevoli: i giornali e la televisione che raccontano i fatti, i politici che conoscono i disastri e sono incapaci di porvi rimedio. E' strano che alcuni medici (non tutti, è ovvio, e neppure la maggioranza) continuino a confondere responsabilità e calunnia, che seguitino a occuparsi innanzi tutto della propria immagine, che protestino non tanto per le condizioni in cui sono costretti a lavorare quanto per le informazioni su queste condizioni. E' strano non rendersi conto della carica di dolore, mortificazione, rancore, sfiducia e rivolta che può condensarsi nei malati e nelle persone a loro vicine di fronte a maltrattamenti, sopraffazioni, errori fatali, spietatezze burocratiche: sventure nelle quali i pazienti hanno spesso sentito i medici non dalla loro parte, ma dalla parte di istituzioni sanitarie gestite a volte in maniera non soltanto incivile ma vergognosa, scandalosa. Il Policlinico Umberto I di Roma è una di queste istituzioni, anche se varia da reparto a reparto e ci sono settori allarmanti e settori eccellenti. Di più: è diventato nell'immaginazione collettiva un luogo di condanna, il simbolo d'una mostruosità sanitaria italiana. I malati accecati durante operazioni di cataratta, i neonati attaccati e uccisi da virus luridi, gli uccelli in volo in sala operatoria, i topi e la sporcizia dappertutto, ne hanno fatto l'emblema dell'ospedale ammazzamalati, che rappresenta pure tutto il resto in Italia: malati arsi vivi all'interno d'un macchinario salvifico, le truffe infinite delle false analisi e delle false fatture, i furti di materiali, i morti per le trasfusioni di sangue scaduto o inquinato, le partorienti abbandonate. Se sparano a un primario, è tutto questo fiume lutulento che torna alla mente: insieme con la disperazione d'un orrore, riforma dopo riforma, che da anni risulta immodificabile, irrimediato.
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