Il Giappone ritrova inno e bandiera
Il Giappone ritrova inno e bandiera Ma non si fermano le polemiche: sono legati al militarismo nipponico Il Giappone ritrova inno e bandiera Dopo 50 anni sì del Parlamento ai simboli imperiali Fernando Mesetti TOKYO Dopo oltre mezzo secolo dalla sconfitta, il Giappone riconsacra il vessilo del Sol Levante come bandiera e l'inno all'imperatore quale inno nazionale. Superando a maggioranza schiacciante le polemiche giornalistiche e intellettuali, la Camera bassa ha approvato ieri infatti una legge che consacra quale simboli nazionali bandiera e inno: solo 86 voti contrari, 403 voti a favore, moltissimi di più della coalizione governativa. Manca ancora il voto della Camera alta, ma sarà una mera formalità. L'inno, «Kimigayo» in giapponese, e la bandiera, «hinomaru», dal '45 in poi non erano stati messi in soffitta, ma erano stati tenuti finora sottotono, e con uno status indefinito: l'uno, per esempio, suonato in occasione di vittorie di atleti giapponesi in competizioni internazionali, o in cerimonie nelle scuole e nelle accademie miltari; l'altra, il sole su campo bianco, issata su edifici non solo pubblici. Venivano usati per consuetudine, ma senza enfasi, essendo entrambi identificati nella memoria collettiva col passato militaristico del Paese. Ogni tanto si avevano polemiche sull'una e sull'altro, come quando alcuni anni fa fu deciso che la bandiera dovesse essere issata nei cortili delle scuole e l'inno cantato con maggior frequenza dalle scolaresche. La decisione di consacrarli quali simboli nazionali è stata preceduta da grandi cautele, piccoli passi e avvertenze, per non urtare sentimenti e memorie dei Paesi della regione occu¬ pati dal Giappone durante la guerra. Ciò benché le parole dell'inno non abbiano, in sé, carattere militaristico. Una traduzione approssimativa del difficile e arcaico testo potrebbe essere: «Mille e mille anni di felice regno sia il tuo. Regna, o Signore, fino a che ciò che ora sono ciotoli si uniscano uniti in rocce durissime e inattaccabili, sui cui venerabili lati si allinei tenero muschio». Il testo affonda le sue radici in secoli lontani, e linguisti e glottologi si accapigliano sul significato delle parole dell'inno «Kimigayo». Kimi potrebbe significare Voi, perciò, nel contesto, Vostra Maestà; Yo potrebbe stare per era; quindi «Era di Vostra Maestà». E infatti mesi fa il ministero degli Esteri aveva pubblicato una traduzione dell inno sotto il titolo «Il Regno del nostro imperatore», ritiran¬ dola però subito dopo: il portavoce del governo la sconfessò subito. Erano infatti esplose polemiche giornalistiche sul ruolo dell'imperatore, dalla Costituzione definito solo come simbolo del popolo. «Se kimi vuol dire imperatore - aveva tuonato l'Asahi Shimbun, mentre i comunisti protestavano ancor più duramente - allora ciò è incompatibile col princi¬ pio di sovranità del popolo sancita dalla Costituzione». Il primo ministro Obuchi si era affrettato a dare una versione governativa del significato testuale: Kimi riferito all'imperatore come simbolo del popolo, e Yo come Nazione. Ne verrebbe fuori una traduzione complessa: «Il regno del nostro imperatore, ma solo come simbolo del popolo e della Nazio- ne». Il governo con un comunicato aveva precisato che l'inno «è una preghiera per la prosperità e la pace di un Giappone che considera l'imperatore come simbolo dell'unità del popolo e del Paese». I comunisti avevano obiettato che se Kimi vuol dire imperatore e Yo nazione, allora l'inno vuol dire «La nazione dell'imperatore»: nozione inaccettabile. Polemiche altamente politiche, quindi, non linguistiche. Che la Dieta ha largamente ignorato, con un voto quasi all'unanimità. Riconoscendo, con ciò, una situazione di fatto: cioè che inno e bandiera sono da anni l'uno suonato, l'altra issata in varie circostanze in casa e all'estero; ma conferendo ad entrambi la sacralità di simboli nazionali. Un altro passo di recupero del passato, ma anche di superamento di esso. Soldati sull'attenti davanti alla bandiera giapponese. Dopo oltre mezzo secolo II Paese del Sol Levante riconsacra il vessillo e l'inno come simboli nazionali. Per tutti questi anni sono stati utilizzati ma senza una sanzione ufficiale della Costituzione
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