«Difendo l'eredità dei Kennedy» di Ugo Magri

«Difendo l'eredità dei Kennedy» LA CONTROVÈRSA ATTUALITÀ' DELLA NUOVA FRONTIERA «Difendo l'eredità dei Kennedy» Veltroni: un intreccio di realismo e idealismo Intervista Ugo Magri ROMA ONOREVOLE Veltroni, non le pare che con la morte di John John Kennedy si stia esagerando? Non abbiamo ecceduto tutti quanti nei biasimi e nelle lodi? «Se ha notato, in questo diluvio di emozioni e dichiarazioni, a parte un commento a caldo io sono stato zitto. Anche per rispetto davanti alla morte di tre persone, tre giovani. E' vero: la vicenda dei Kennedy viene affrontata dai media come una tragedia shakespeariana fatta di assassini, complotti, morti repentine. Una grande saga, su cui aleggia una sorta di maledizione, oppure la condanna morale nei confronti di una famiglia dipinta come irresponsabilmente protesa in una sfida al limite... In questo modo si smarrisce la radice di tutto». Lei da dove partirebbe? «Dalla prima cosa che un Kennedy direbbe, in una vicenda cosi dolorosa: "Stiamo occupando i giornali per la morte di uno di noi, e ci dimentichiamo invece delle migliaia di bambini che muoiono ogni giorno di fame". Può sembrare una banalità...». Diciamo che è un'affermazione alquanto retorica. «Meno, pero, di quanto sembri. Altrimenti non ci spiegheremmo come mai, 36 anni dopo l'assassinio di Dallas, il mondo parli ancora di quella famiglia. Non riusciremmo a capire perché faccia notizia un sito Internet dove c'è una videocamera puntata sul luogo da dove Lee Oswald sparò aJFK...». In effetti, non si può dire che nei suoi tre anni alla Casa Bianca Kennedy abbia fatto cose tali da giustificare questo mito... «Sbaglia. Sono tre anni in cui l'America conosce un cambia- mento incredibile. Si rimette in movimento. Ritrova la sua spinta. Un esempio per tutti: l'integrazione razziale. Se John Kennedy avesse fatto un sondaggio per chiedere agli americani se volevano che gli studenti neri viaggiassero sui pullman dei bianchi, la stragrande maggioranza avrebbe risposto no. Invece lui decise, con le leggi per l'integrazione razziale, che questo doveva avvenire. Si arrivò al punto che il governatore reazionario dell'Alabama, George Wallace, andò personalmente davanti all'università di Toscaloosa per bloccare l'ingresso di due studenti neri accompagnati da agenti federali di Kennedy. Le cita una frase bellissima che ii Presidente disse allora (Veltroni sfoglia le pagine del suo libro Il sogno spezzato, ndr). Eccola: "Abbiamo detto al mondo e a noi stessi che il nostro è un Paese libero. Volevamo dire che è libero per tutti fuorché peri neri?"». Bella frase, davvero. Ma la presidenza Kennedy fu costellata anche di errori politici, non crede? «Certo, gli errori ci furono. Lui è l'uomo che trova sulla scrivania il dossier sulla Baia dei Porci e non ha la forza di interrompere quell'operazione. Io non voglio fare ritratti oleografici. Ma poi contano i grandi fatti. Il braccio di ferro tra l'amministrazione Kennedy e i magnati dell'acciaio, la lotta di Robert Kennedy ministro della Giustizia contro il sindacato dei camionisti e, insisto, la lotta contro il razzismo. Non tutti lo ricordano: la marcia dei neri, nel '63 a Washington, si conclude con l'incontro di John Kennedy con Martin Luther King. E quando questi viene ucciso, nel '68, ci sono straordi- nane immagini tivù che mostrano Robert Kennedy unico bianco ammesso naif ghetto nero di Indianapolis». Deve però ammettere che questo è un mondo al passato: oggi gli Stati Uniti sono ricchi e felici, certi conflitti sarebbero inconcepibili. «Ma certo che l'America è cambiata, e per fortuna I Oggi nessuno metterebbe in discussione il diritto dei neri di studiare all'università. Però quel Paese è solcato da gigantesche disuguaglianze, angosce, frustrazioni. E' un posto dove i ragazzi entrano a scuola e sparano ai compagni di classe...». Che c'entra con i Kennedy? «Le rispondo con una frase detta da Robert Kennedy ad Alfredo Todisco nel '68: "La gioventù americana, come la nazione americana, conosce già un benessere che oltrepassa di gran lunga i sogni più audaci degli altri Paesi. Ciò che le manca è sapere a cosa serve questo benessere"» Altra splendida citazione. Però... «Mi ascolti: oggi l'America è governata dai democratici. Ma per i trent'anni successivi all'as¬ sassinio di Kennedy, con l'eccezione scontata di Johnson e poi quella di Carter, al potere sono rimasti i repubblicani. L'assassinio dei Kennedy cambiò di fatto la storia politica e sociale d'America. Che cosa sarebbe stata la storia degli Usa se John non fosse stato ucciso a Dallas? E la storia della guerra in Vietnam se anche Robert non fosse stato ammazzato?». Domanda da un milione di punti. «Le rispondo io: c'è stata un'interruzione. Tutto sarebbe stato diverso. E allora, per capire le ragioni di questo mito,- dobbiamo chiederci: quanti sono in questo secolo i personaggi di cui si potrebbe dire la stessa cosa? Yitzhak Rabin, Olof Palme, Martin Luther King. In generale è la morte dei veri riformisti, di quelli che vogliono realmente cambiare, a mutare il corso degli eventi». Questo discorso potrà valere per John, per Robert. Ma certo non per i rampolli, la nuova generazione... «Sui giovani io sarei meno caustico, più indulgente, perché è difficile immaginare che cosa succede in una famiglia attraversata da una simile quantità di tragedie. C'è una storia, non so quanto ci possa essere di leggenda, sulla sera in cui Bob fu ucciso: il suo portavoce, Frank Mankiewicz, andò in albergo per vedere come stavano i ragazzi. Ne trovò uno davanti alla televisione, che aveva assistito in diretta all'uccisione del padre. E' lo stesso che poi morì nell'84 per overdose». Conosce personalmente i giovani Kennedy? «John John l'ho incontrato una volta sola. Sono amico di Patrick, figlio di Ted e deputato del Rhode Island, di Kathleen, figlia di Bob, di Ethel, moglie di Robert, un temperamento straordinario». Per un osservatore come Sergio Romano, siamo in presenza di un'operazione «di grande retorica politica». «Ripeto: non voglio partecipare né all'agiografia né alla demolizione. Considero i Kennedy una sorgente di pensiero e di azione riformista, un intreccio di realismo e di idealismo che la politica italiana ha conosciuto molto poco. Anche per questa ragione, mi piacerebbe sottrarre la loro vicenda ai riflettori dello star system e riportarla in una zona d'ombra in cui rileggere megjjp, le scelte politiche, ì valori, le idee. Nei Kennedy ci sono una tensione e una passione civile che riterrei sbagliato regalare ai rotocalchi popolari». «Sono una sorgente di pensiero e di azione riformista che la politica italiana ha conosciuto poco» E'sbagliato raccontare le loro vicende come una tragica saga, così si smarrisce la radice di tutto» UALITÀ' DELLA NUOVA FRONTIERA E'sbacome Da sinistra una bandiera e un mazzo di fiori sul molo di Martha's Vineyard per ricordare la morte del figlio dall'ex presidente americano John Rtzgerald Kennedy l'ideatore della nuova frontiera ancora oggi modello per il liberismo riformatore Il segretario dei Ds Walter Veltroni Carolyn e John John Kennedy In una foto scattata pochi giorni prima della tragedia