Corteo muto per il gioielliere

Corteo muto per il gioielliere Corteo muto per il gioielliere Milano, in duemila alla veglia funebre Simone Spina MILANO «Sono contro la pena di morte, ma ci vuole il carcere duro, ci vuole la Cayenna». Parole di Mariarosa Bartocci, vedova dell'orefice ucciso martedì durante una rapina nella sua gioielleria. Ieri sera ha partecipato al rosario celebrato in parrocchia, e ha anche detto «non mi lamento delle forze dell'ordine che fanno il loro dovere, ma di questa libertà che i delinquenti hanno grazie a magistrati e avvocati». «Il silenzio certe volte dice più delle parole», ha detto invece don Cappelletti, parroco della chiesa di San Giuseppe, mentre congedava l'assemblea di fedeli. Erano quasi le 22, e si è formato un silenzioso corteo di duemila persone, con le fiaccole accese sono sfilate fino alla gioielleria. Qualcuno ha provato a lanciare degli slogan, «no a questa società senza civiltà». Ma nessuno gli è andato dietro. Ieri Salvatore Marasco, il rapinatore che dopo la rapina ha rischiato il linciaggio, è stato interrogato. «Non ho sparato io; mi hanno coinvolto in una cosa che non avrei mai voluto», ha detto nel tentativo di respingere l'accusa più pesante, quella di omicidio. La sua difesa non si azzarda ad andare più in là, a negare la stessa partecipazione al colpo: «La rapina la volevo fare - dice -. Sapevo di rischiare tre o quattro anni. Però nella gioielleria non sono manco entrato, stavo solo aspettando fuori per la fuga». Chi è stato allora a sparare a Bartocci? «Un mio amico», risponde Marasco. Dunque Luciano Carmeli, l'uomo arrestato poco distante dalla gioielleria? «No, lui no; quello neanche lo conosco». Ecco allora riapparire il «terzo uomo» di cui si era già parlato all'indomani del delitto. Gli inquirenti non escludono potesse esserci anche un altro balordo che è riuscito a fuggire. Come non escludono l'esistenza di una banda di quartiere che, al di là dei singoli colpi, ha comuni punti di riferimento per il rifornimento di anni e la ricettazione della merce rubata. Che fossero due o tre, per gli abitanti perbene di via Padova, fa poca differenza; sono i balordi di quartiere, quelli che «con tutta la droga che hanno in corpo fanno fatica persino a stare in piedi». Il parroco, don Adrio Cappelletti, sta nel quartiere da tre anni, dopo 13 passati alla Bovisasca, altra zona «a rischio» della città. Dice: «In via Padova si vive come nelle altre periferie; disagio giovanile, traffico di droga, molta immigrazione». Le sue parole però poco servono a tranquillizzare gli animi, soprattutto quel senso di abbandono che si percepisce tra i commercianti della zona convinti che, finiti i titoli sui giornali, tutto tornerà come prima. «Anche a gennaio, quando hanno ucciso U tabaccaio in via Derna, - dice uno di loro - c'è stato un gran movimento di carabinieri e polizia. Passata la bufera, niente di niente». Dà fastidio vedere «quei balordi che, fatta una rapina, sono già qui liberi due giorni dopo». Il vicesindaco Riccardo De Corato sollecita il ministro ad avviare un'ispezione. Cosa che Diliberto aveva già pensato per conto suo, visto che mercoledì ha fatto lavorare fino a sera gli uffici giudiziari milanesi per ricostruire la «carriera» di Marasco. La tensione ieri era palpabile sul volto di Enrico Impru- dente, il magistrato che aveva mandato Marasco agli arresti domiciliari: «Chi poteva pensare sarebbe successo tutto questo? Io non ho fatto che applicare le || norme, con quel margine di discrezionalità che ci è concesso. A volte è capitato di mandare in carcere persone malate, che si sono uccise. Ogni scelta di questo tipo presenta rischi». 11 procuratore generale Francesco Saverio Borrelli invita «a non farsi prendere dall'emotività per un caso singolo, seppur molto doloroso», si preparano i funerali del gioielliere. Si terranno domattina alle 11, a spese del Comune, e saranno celebrati da monsignor Erminio De Scalzi, vicario episcopale e abate di Sant'Ambrogio. || Una manifestazione degli abitanti del quartiere di Milano dove è stato ucciso il gioielliere

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