S'è iniziato con JFK il mito tragico di una famiglia che rappresenta il Paese di Boris Biancheri

S'è iniziato con JFK il mito tragico di una famiglia che rappresenta il Paese S'è iniziato con JFK il mito tragico di una famiglia che rappresenta il Paese Un archetipo americano Boris Biancheri Nel cimitero militare di Arlington, vicino a Washington, quasi alla sommità del pendio che degrada verso il Potomac, c'è la tomba di John Fitzgerald Kennedy. E' un semplice spazio semicircolare lastricato di marmo dove i visitatori si fermano e guardano di là dal fiume i profili delle azzurre colline della Virginia. Sul muretto che delimita la piazzola è incisa una frase, una tra le frasi più famose che Kennedy abbia pronunciato: «Non chiederti cosa il tuo Paese possa fare per te, ma chiediti cosa tu possa fare per il tuo Paese». E' una bella frase che a noi disincantati europei di fine millenio suona forse retorica ma che ha tutta l'ingenuità, la semplicità e la forza che l'America ha quando dà il meglio di sé. Milioni di americani l'hanno imparata nei Libri scolastici e sono pochi coloro che vengono ad Arlington e non provano un groppo di emozione nel ripeterla lì, tra tutti quegli infiniti filari di croci bianche. Un giorno che accompagnavo ad Arlin¬ gton un importante visitatore italiano di cui non ricordo il nome, mi venne fatto di pormi una domanda irriverente. E lui, Kennedy, che ha fatto? E oggi aggiungo: questa grande, splendida, tragica famiglia che ha fatto per il suo Paese? John Fitzgerald Kennedy, il primo presidente cattolico degli Stati Uniti e il più giovane, ha lasciato un'eredità che non è senza ombre. La tentata invasione di Cuba finita nell'avventura della Baia dei Porci è uno degli episodi più infelici della storia politico-militare americana del secolo. E l'illusione di Kennedy di intervenire nella vicenda del Vietnam del Sud per aiutare il Paese a diventare una democrazia di modello occidentale quando già vi si era infiltrata la guerriglia comunista fu una delle cause del progressivo, fatale coinvolgimento dell'America nella palude vietnamita finito come sappiamo una dozzina di anni dopo. 1 suoi progetti di una «Alleanza per il Progresso» nel continente americano e di un «Corpo per la Pace» erano generosi ma non cambiarono né l'America né il mon- do. Neppure sul piano interno i mille giorni di Kennedy videro mutamenti significativi della società americana: fu Johnson, che John Fitzgerald ebbe l'intuito di scegliere come vice presidente, che ne raccolse il messaggio e diede corpo alla visione di una «Great Society» più solidale e più giusta. Forse la scommessa più coraggiosa Kennedy la fece quando promise che un'americano avrebbe messo piede sulla luna entro il decennio: e così fu, anche se poi non fu lui a celebrare l'evento. Eppure, la sua giovinezza, la sua eleganza, la sua ricchezza e la sua bella moglie ne fecero un simbolo irripetibile, un modello per tutte le presidenze che seguirono. Io lo incontrai una volta, nel Giardino delle Rose della Casa Bianca. Il Presidente non aveva fatto, sino ad allora, nulla di memorabile e non disse nel nostro incontro nulla di diverso da ciò che avrebbe detto qualsiasi altro uomo politico americano: ma io e quelli che erano con me fummo certi - e forse lo siamo ancora - di aver incontrato un grande statista, di aver sfiorato il più grande mito politico dei nostri tempi. Su Robert Kennedy occorre sospendere il giudizio: si era battuto con coraggio contro Mac Carthy nella commissionedel Senato sui servizi investigativi, condusse bene la campagna elettorale del fratello e fu un onesto ministro della Giustizia: ma la stessa notte in cui vinse le elezioni primarie in California fu assassinato e non sapremo mai cosa gli avrebbe riservato il futuro. Quanto a Ted, una lunga e dignitosa carriera parlamentare non è stata sufficiente a far dimenticare agli americani l'incidente di Chappaquiddick quando condusse la sua automobile in un fiume dove una giovane segretaria perse la vita. Ai tanti lutti della casata dei Kennedy si aggiunge ora la morte di John Jr, che fu il più ambito e attraente scapolo d'America fino alle sue nozze con la più elegante e diafana delle mogli. La fama gli veniva dal nome, dal garbo dei suoi modi e dalla vanità di coloro che lo frequentavano. Non abbastanza per lasciare un segno nella storia; lo ricorderemo in futuro forse solo per il fatale volo verso Martha's Vinyard, Tutti loro, a partire dal presidente John Fitzgerald Kennedy fino a John Kennedy Junior, incarnano il destino delle icone del nostro tempo: che è quello di essere tali non per ciò che si è fatto ma per ciò che si può fare, non per ciò che si è detto ma per ciò che gli altn dicono di noi. Di essere dunque i simboli di una dimensione utopica dove potere, successo e felicità si mescolano e che poi la sorte, non a caso, si incarica di distruggere. «Il clan incarna la sorte delle icone del nostro tempo, simboli di una dimensione utopica»