Il messia mancato dei vecchi liberal di Gianni Riotta

Il messia mancato dei vecchi liberal Il messia mancato dei vecchi liberal JohnJr. sapeva che il sogno delpadre era tramontato Gianni Riotta Per non diventare un eroe, Achille, il più celebrato degli antichi eroi, volle vestirsi da fanciulla e nascondersi in una specie di harem. Per non diventare un eroe Odisseo, il più contemporaneo degli antichi eroi, volle fingersi pazzo e andava seminando sale sulle zólle. Tutto inutile: il destino li reclutò-entrambi alle sfortune di Troia. •» Come loro, John Kennedy junior non voleva saperne di fama e fede, delusioni e grandi imprese. Aveva visto il padre AJohn ucciso, la madre Jackie spezzata e depressa. Aveva condiviso con la sorella Caroline le lunghe estati alla corte di Onassis, l'armatore greco che - brutto e pieno di vita - dopo la magica cantante Urica Maria Callas aveva conquistato anche Jackie 0'. Jacqueline, nata Bouvier, la donna che come una Signorina d'Avignone della grande tela di Picasso, incarnava la bellezza acuta del secolo. Avevano cercato di persuaderlo in molti, dallo storico Schlesinger all'economista Galbraith, i veterani «liberal» d'America. Fosse entrato lui in politica, si fosse schierato in prima fila, come papà John, come zio Bob, come zio Ted... «Se il gioco preferito dagli americani è ammazzare i Kennedy, allora i miei figli saranno il primo bersaglio», aveva urlato Jackie, nascondendo Caroline e il piccolo John ai paparazzi, a quel Galella cui un giudice impose, con una sentenza che fece epoca, di non avvicinarsi oltre un certo numero di passi ai Kennedy. Aveva ragione mamma Jackie, così bella, ambiziosa, incapace di non essere ricca, vivace. Avevano torto gli ultimi Cavalieri di Camelot, la Tavola Rotonda voluta alla Casa Bianca da John Fitzgerald Kennedy. Arthur Schlesinger, con il suo cravattino a farfalla, lo studio a picco sui fiori della Quarantaduesima Strada. E Galbraith, con la sua veranda di legno sui boschi del Vermont. In cerca di un combattente per il sogno liberal: spesa pubblica per sostenere programmi sociali. Volevano John junior. David, il più vivace dei cugini, il figlio di Bob, era schiattato di eroina in un albergo caldissimo di Palm Beach, in Florida, a pochi passi dal tribunale dove, nel 1991, il cugino William Kennedy Smith fu assolto per un pelo - dall'accusa di stupro. Joseph, primogenito di Bob, aveva solo sedici anni quando, sul treno che portava a casa la salma del padre, strinse la mano a tutti i passeggeri, «grazie per essere venuti». Oggi è un deputato qualunque, irriso quando si presentò alle elezioni come governatore del Massachusetts. «Mamma mia, tutti quei denti», ghignò il suo, vincente, rivale. Resta Robert, l'ecologista dal profilo identico a quello di papà Bob, ma lui preferisce tutelare le acque pulite che non cercare voti in televisione. E Patrick, classe 1967, figlio di Ted, deputato appena maggiorenne, ma ancora un peso leggero. No, i vecchi leoni liberal sognavano lui, John junior. Il suo sorriso contro i darth vader eredi di Ronald Reagan. Il suo fascino contro il clan texano dei Bush repubblicani. Il suo nome per ridare all'America i colori di «American Graffiti» quando i ragazzi sognavano di stringere la mano al presidente Kennedy. Come sbagliano gli Schlesinger e i Galbraith. Quel liberalismo è finito. Nessuno più vuol pagare tasse per programmi sociali. La Guerra Fredda è vinta. A Berlino John Kennedy junior non avrebbe mai potuto gridare «Ich bin ein Berliner», sono un berlinese come voi, come suo papà davanti alla folla felice. La campagna è finita per sempre, nel 1980 quando Ted Kennedy venne sconfitto dal presidente Carter per la nomination contro Reagan. Bill Safire, l'uomo che scriveva i discorsi per il presidente Nixon e oggi penna di destra del «New York Times», insomma un antikennediano feroce, ha incluso il discorso di Ted nella sua antologia della retorica mondiale: «Il sogno non finirà mai». John sapeva che il sogno era finito. Che l'America vuole vip in tv, azioni delle compagnie di Internet più aggressive a Wall Street, politici manager. John aveva incontrato l'inquilino del¬ la Casa Bianca, quel Bill Clinton che adolescente aveva davvero stretto la mano al presidente Kennedy. Non doveva piacergli troppo, visto che, stupendo tutti, John junior aveva accusato i cugini dongiovanni di essere «ragazzi manifesto del teppismo». Ma Clinton è il campione dell'America di oggi, un Paese potente e bellissimo, capace di vivere nella realtà e non nel sogno. John aveva mai creduto allo zio Ted. «The dream shall never die», il sogno non morirà mai. Grazie lo stesso, John preferiva la realtà, tranquilla, amabile, di buona società. Su «George», la sua rivista patinata, metteva in prima pagina modelle con l'ombelico sexy di fuori. Non i poveri cari allo zio Bob, non la middle class cara a suo padre, e neppure i ragazzi dei ghetti, che zio Ted difende in Senato da quarant'anni. Sapeva - in un qualche suo modo segreto ed allegro - che la coalizione del kennedismo, lavo¬ ratori, sindacati, intellettuali, ceti medi e minoranze urbane non basta più ad eleggere un Presidente americano. Che votano più elettori con la residenza fuori città che cittadini. Che il sogno americano non si affida più alla Politica, ma all'Economia, alla Comunicazione, alla Cultura della Comunità. E comprendeva di non poter battere i lupi famelici della politica, Gore con la sua tecnocratica ambizione, George Bush junior, come lui figlio di presidente, con la sua populista ricchezza. Meglio, molto meglio usare il proprio fascino nel jetset per stare tra amici e con la moglie Carolyn. Quasi omonima dell amata sorella Caroline, con cui da bambino s'era difeso dal pazzo mondo dei grandi, violenti, arroganti, e popolato da cameriere pettegole, patrigni riccastri, zìi che predicavano sempre il valore degli eroi del passato. Sono state tre le donne della sua vita. Mamma Jackie, un'esistenza spesa a difendere i figli dalla maledizione del clan Kennedy. La pallida moglie Carolyn, che ha portato con sé nelle acque color acciaio dell'Atlantico, non lontano dal braccio di mare che Fitzgerald definì «il più addomesticato del mondo». E infine lei, la sorella Caroline, l'ultima sopravvissuta della famiglia del presidente Kennedy. La vedete ogni domenica mattina, al Museo, con il marito e le figlie, una mamma qualunque di Manhattan. Anche lei a caccia di normalità. Le resta adesso una vita intera per riflettere sulla verità dello zio Ted: forse i sogni non finiranno mai, ma per lei sono gli incubi che sembrano continuare per sempre. gianni.riotta@lastampa.it Aveva capito che l'economia e la comunicazione hanno preso il posto della nobile politica Si era rifugiato nel jet-set per non dover affrontare duri professionisti come BushJreGore Robert, Ted e John Fitzgerald Kennedy, il trio che ha dato vita al mito della famiglia

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