«Meno carcere e più lavoro Così cambierà il codice penale»

«Meno carcere e più lavoro Così cambierà il codice penale» «Meno carcere e più lavoro Così cambierà il codice penale» intervista Alberto Caino ABBIAMO cercato di prospettare un codice penale ispirato al massimo garantismo, e poi abbiamo lavorato a lungo e con particolare attenzione al tema delle sanzioni penali. Il più delicato perché sappiamo tutti che grandissima confusione c'è oggi attorno alla pena. Se ne parla sempre di più come un fantasma per l'assenza di un qualsiasi criterio logico nella sua determinazione, per l'attribuzione stessa di un amplissimo potere discrezionale al giudice. Per come, infine, la maggior parte delle pene inflitte restano virtuali». Il professor Carlo Federico Grosso racconta il lavoro di otto mesi della commissione ministeriale che ha presieduto e di cui ha consegnato giovedì il rapporto conclusivo al Guardasigilli. Commissione importante perché ha affrontato il compito di tracciare i solchi per la riforma del codice penale che si è via via cercato di rivedere e si è finito soltanto per rabberciare qua e là. L'impianto è ancora quello del 1930 che va sotto il nome di «codice Rocco». Oggi ci sono la volontà e la forza politica di cambiare, dopo tanti, troppi tentativi finiti nel nulla? «Indubbiamente, negli ultimi ottonove anni si è discusso soltanto di procedura. Ora il lavoro della nostra commissione offre indica- zioni per una riforma». Professore, lei insegna all'università, fa l'avvocato da 30 anni ed è stato vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura: quale deve essere la prima mossa verso la riforma? «L'obiettivo di disboscare il codice. Finalizzato a far lavorare meglio e più in fretta i magistrati sui processi che ora si concludono sovente con la prescrizione dei reati determinando la crisi della giustizia». Purtroppo, è diventata una litania questa storia dei processi eterni e delle pene incerte. «Ripartiamo da queste ultime. Noi abbiamo impostato la questione così: rendere le pene prevedibi¬ li e certe. Per cominciare, i margini edittali sono molto estesi e, nell'applicazione del meccanismo delle circostanze attenuanti e aggravanti, il giudice finisce per avere un enorme potere discrezionale. L'esempio più banale è quello del furto: oggi punibile dai 15 giorni ai 10 anni di carcere, secondo la fattispecie del reato e le modalità di esecuzione, d'accordo, ma pur sempre in base a meccanismi che trasformano il giudice nell'arbitro della pena». Come avete impostato il problema? «Con l'indicazione di ridurre il ventaglio fra pene minime e massime e con la proposta di una modifica radicale del calcolo delle circostanze attenuanti-aggravanti. Nel senso che siano sempre calcolate, e non che sia lasciata alla discrezionalità del giudice, come avviene ora, la scelta di far prevalere le attenuanti sulle aggravanti o viceversa. Le decisioni di politica criminale sull'entità e sul tipo di sanzioni spettano al Parlamento e non devono essere delegate ai giudici». Il Parlamento ha sovente reagito all'allarme sociale su questo o quell'altro tipo di reato alzando semplicemente il tetto delle pene. «Ma l'effetto non è stato quello di disincentivare i reati e di avere pene certe. Allora, noi abbiamo pensato di ridurre quei tetti e di prospettare pene meno severe ma più concretamente applicabili. La soluzione del carcere l'abbiamo prevista solo per i reati di allarme sociale: concussione, corruzione, furti aggravati, rapine, usura, sequestri, violenze sessuali, criminalità organizzata.... Ovvio che i reati più gravi dovranno sempre e solo essere scontati in carcere. Ma per tutti gli altri, per cui in realtà la pena finisce per essere solo virtuale, prevediamo alternative. Che vanno dalla detenzione domiciliare all'interdizione da attività professionali, all'obbligo di lavori socialmente utili». Il medico condannato per omicidio colposo potrà essere sospeso e il truffatore costretto a lavorare per una casa di riposo. Così si tuteleranno le vittime? «Abbiamo anche previsto di contenere gli effetti della sospensione condizionale della pena. Che non sia sempre concessa, ma solo in base a concreti requisiti (fra cui il risarcimento del danno). In modo che, a pena sospesa, il condannato abbia la consapevolezza di essere sotto osservazione. Le indico un altro esempio: per le pene pecuniarie c'è un orientamento ad escludere la sospensione condizionale». Ma già oggi quasi nessuno le paga. «Questo è vero. Uno studio ha accertato che dal 1990 al 1997 lo Stato ha incassato solo 84 dei 2257 miliardi di sanzioni pecuniarie irrogate. La soluzione: imporre il pagamento in tempi rapidi e, in caso di inadempienza, la trasformazione in pena di tipo diverso». Voi avete lavorato molto su un codice più garantista: può farci un esempio significativo? «Il concorso morale. Noi lo abbiamo circoscritto all'istigazione a compiere un reato, concretizzatasi attraverso comportamenti ben individuati. Le semplici e generiche adesioni di pensiero non dovrebbero essere assolutamente pu nite». I PUNTI DELLA RIFORMA QLa «Commissione Grosso» prevede un codice penale più snello & I magistrati dovrebbero vedersi ridurre il potere discrezionale con un impianto di calcolo più rigido delle circostanze attenuanti e aggravanti e la riduzione del ventaglio che oggi esiste fra massimi e minimi di pena ® In carcere dovrebbero finire solo i condannati per i reati medio-gravi. Per tutti gli altri sono previste pene alternative: detenzione domiciliare, sospensione da un'attività, obbligo di svolgere lavori socialmente utili @ La sospensione condizionale della pena non dovrebbe più essere automatica *Nìie*wa/i*w& iim .i»f.Nl.U.|M,'.l'^W Carlo Federico Grosso «Ci siamo ispirati al massimo garantismo L'obiettivo è quello di rendere le pene prevedibili e certe»

Persone citate: Alberto Caino, Carlo Federico Grosso