A Teheran un venerdì senza giovani di Mimmo Candito

A Teheran un venerdì senza giovani A Teheran un venerdì senza giovani Nella città piantonata dai pasdaran armati reportage Mimmo Candito inviato a TEHERAN ALL'UNA e mezzo, ieri pomeriggio, qui il caldo scioglieva le ossa. C'erano 36 gradi all'ombra e questa sterminata città sembrava proprio morta dentro l'afa: era domenica (il venerdì è «la domenica dei musulmani»), e in giro non si vedeva un'auto né una faccia d'uomo; non diciamo poi la rivoluzione, che ieri non riuscivi a scorgerne l'ombra nemmeno da lontano. «Questo l'abbiamo messa per la preghiera», ha detto il Pasdaran in pantofole che stava di guardia al pezzo di corda steso da una parte all'altra della strada; e ha chiesto di controllare il passaporto. Aveva la barba nera d'ordinanza e gli occhi che già sospettavano d'aver trovato l'americano. «No no, Italia», e gli abbiamo mostrato il sorriso del giornalista che finge d'essere amichevole. Lui ha fatto cenno di lasciar perdere, non era aria. I Pasdaran sono gente dura, professionisti; ci vuol altro per ammorbidirli. E poi qui, fino all'altro giorno, si sparava e si menavano legnate da orbi. Nella città morta, ieri il solo posto dove potevi incontrare qualcuno - ma mica tanti, poi - era nel quartiere dell'Università; per questo i Pasdaran lo avevano circondato con quelle funi rosse che se volevi passare loro ti tenevano sotto controllo. Dopo una settimana che era sembrata che fosse la rivoluzione, Teheran ieri se n'è rimasta zitta e quieta come mai l'avevamo vista in vent'anni. A parte la faccenda del caldo, forse era troppo zitta e troppo quieta per èssere vera; e i posti di blocco dei Pasdaran erano rimasti in servizio per tutta la notte. Comunque, per capirlo non c'è nemmeno molto da aspettare: oggi gli studenti hanno annunciato «un sit-in pacifico», e sapremo subito se quella stupefacente pace di ieri era solo la paura o invece segnalava davvero che la prima parte della rivoluzione-bis è da mandare in archivio (aspettiamocene comunque una ripresa, prima o poi). All'Università, ogni venerdì da quando qui hanno vinto i mullah e l'Iran è diventato una teocrazia, c'è il grande raduno del sermone del mezzogiorno. Ci son stati dei venerdì che nel piazzale dell' ateneo non entrava nemmeno una formica, e la gente stendeva i suoi tappetini da preghiera non solo nei viali del campus gomito contro gomito ma anche fuori, oltre il recinto, in tutte le strade che accompagnano il terreno dell' Università. A contarli si arrivava facilmente al milione di fedeli in preghiera, e anche più; una folla immensa, un mare di tensione mistica, con i suoi slogan furenti contro l'America, i pugni battuti sul petto, le braccia in aria a invocare i fulmini di Allah. Bene, ieri non è stato uno di quei venerdì lì. Eppure, c'erano tutte le ragioni perché potesse esserlo: la rivolta studentesca, in questa settimana, era stata vissuta nel resto del mondo come una spallata drammatica che aveva fatto risalire nella memoria del nostro tempo comune le immagini del Maggio '68 e di Tienanmen; il potere dei mullah - un potere assoluto era stato messo in contestazione come mai in vent'anni di storia, e l'Iran aveva mostrato per la prima volta alla luce del sole che in questo Paese convivono ora (ed è difficile dire fino a quando) due società molto lontane tra di loro, anche ferocemente nemiche. Alla rivolta degli studenti aveva risposto l'altro ieri la mobilitazione degli integralisti, che aveva portato in strada mezzo milione di invasati con il loro «no» a qualsiasi cambiamento e con la facce di Khomeini e Khamenei a dare la benedizione. E c'erano stati gli arresti di massa, i morti, i feriti. Insomma, questa sembrava proprio una delle date che fanno la storia di un Paese. E invece il piazzale della preghiera, ieri mattina, non è stato quello delle grandi occasioni. Non era nemmeno tutto pieno, e i fedeli che comunque erano venuti a pregare all'Università - poiché non erano poi una folla immensa hanno potuto badar bene a sistemarsi nei viali in modo che i loro tappetini stessero all'ombra delle vecchie piante, per non doversi cuocere la testa sotto il sole. Un lusso così, in altri tempi se lo sognavano. A fare il sermone, poi, non è venuto nessuno dei due leader che erano stati invocati dai loro rispettivi seguaci e che impersonano le correnti in lotta: né il presidente Khatami, in qualche modo punto di riferimento dei riformisti e ieri dato ufficialmente «in viaggio fuori Teheran», né la Guida Suprema Khamenei, anima e corpo degli integralisti. A mezzogiorno, o comun¬ que poco dopo, sul piccolo palcoscenico della preghiera è salito così l'ayatollah Talleri-Khorramabadi Dim, che conta certamente qualcosa ma evidentemente non conta abbastanza; e questo è sembrato il segno della volontà di ridurre il livello dello scontro. Una volontà che, però, sembra certa soltanto nella parte dove sta la rivoluzione istituzionalizzata (Presidente e Guida Suprema); perché, per quanto riguarda l'altra parte, quella degli studenti, ci sono invece segni di valore incerto. Infatti il «sit-in pacifico» convocato per questa mattina all'Università è un grosso punto interrogativo: ieri sera il ministro degli Interni ha voluto dire nel telegiornale che «io non ho ricevuto alcuna richiesta, e perciò non ho dato alcuna autorizzazione». Parole così non si dicono se non vogliono essere un serio messaggio politico; la frase significa che ogni manifestazione di stamane deve intendersi come illegale, con tutte le conseguenze immaginabili, anche se gli studenti riaffermano che «un sit-in non è un corteo e perciò non dev'essere autorizzato». La cosa comunque strana già ieri, nel campus dell'Università, era che, di studenti, in giro non se ne vedevano proprio; in un Paese dove la gente ha un'età media appena superiore ai 18 anni, e i due terzi dei (54 milioni di abitanti hanno meno di 25 anni di età, lo facce che affollavano i viali e il piazzale della preghiera erano di uomini adulti, pance e storie di uomini ciie a tutto pensano meno che a un libro, c'erano anche un sacco di facce di vecchi. E poiché è da credere che a Teheran il fenomeno dei «fuoricorso» non abbia questi aspetti da Guinness, gli autoconvocati della preghiera stavano dalla parte di Khamenei piuttosto che da ciucila dei ragazzi che chiedono maggiore libertà. Gli slogan scanditi durante il sermone lo confermavano in coro («questo 6 il giorno nel quale abbiamo rialzato la testa», «abbasso Usa e Israele», «Khamenei sei la nostra guida»), anche se l'ayatollah dai tre nomi ha voluto fare il corchiobottista, dicendo che «i nostri cari ragazzi avevano sicuramente delle ragioni che possono essere intese, ma non si deve mai superare il limite della legge islamica». Ma «i nostri cari ragazzi», dov'erano andati? Lasciando l'Università e risalendo lentamente a piedi il viale che porta verso i quartieri a Nord della città, il cronista li ha trovati: erano nel parco Laidi, e stavano giochicchiando a pallavolo su uno dei vialetti all'ombra. Certo, erano soltanto una decina, ma apparivano davvero uno spettacolo straordinario, simbolicamente eccezionale per chi conosce l'Iran di Khomeini e dello rivoluzione islamica: ragazzi e ragazze, infatti, giocavano insieme, ridendo felici della propria libertà, i maschietti in maglietta o camicia a mezze maniche e le femminucce con lo hijab nero lungo fino ai piedi e con il fazzolettone nero annodato sulla testa. In Iran, quella sì era una rivoluzione. Nella dottrina dei khomeinismo la rigida separazione dei sessi e l'ossessiva castigatezza dei costumi pretendono di tenere divisi uomini e donne nello spazio della vitu pubblica; e puniscono anche soltanto il sospetto di una violazione. Mentre Khorran Abbadi predicava a uomini adulti e a facce vecchie una riappacificazione «dentro il confine rosso della legge islamica», a poche centinaia di metri da lui i ragazzi che non erano voluti andare ad ascollarlo avevano cancellato quel confine rosso e disegnavano già l'Iran di domani. Il reporter che si è fermato a chiacchierare con loro ha trovato timidezze e rossori da ventenni, come in ogni parte del mondo; ma anche voglia di vivere, speranze, progetti e desideri. Proprio come in ogni altra parte del mondo. Crediamo fermamente che la rivoluzione-bis, a Teheran, non la fermerà nessun ayatollah; ha già vinto. HERMAN J SUPERFICIE 1.648.000 kmq (oltre cinque volte l'Italia) J POPOLAZIONE 69 milioni di abitanti (Italia 56.778.000) J TASSO DI MORTALITÀ' INFANTILE 43 per mille (in Italia 5,7 per mille) . J SPERANZA DI VITA 67,5 anni (in Italia 77.5) ..) ANALFABETISMO 31,4% (in Italia 2.1) J PIL 156.000 miliardi (in Italia 2.300.0O0 miliardi) J TASSO DI INFLAZIONE 28,9 (in Italia 1,7) J LINGUE Farsi (ufficiale), Curdo, Turco-tataro, Arabo, Armeno J GRUPPI ETNICI PRINCIPALI Persiani 51%, Azeri 24%, Gllaki e Mazandarani 8% Curdi 7% J RELIGIONI Musulmani sciiti 89%, Musulmani sunniti 10%, Zoroastriani, Ebrei, Cristiani e Baha'i 1% mà L'ayatollah Hassan Tahen Khoramabadi durante :.i preghiera del venerdì Il sit-in pacifico annunciato dagli studenti per oggi sarà una prova per capire se la paura ha sconfìtto la rivolta Urta sostenitrice di Khatami in piazza a Teheran con un poster che ritrae it presidente riformista