«Oggi chiedono solo lavoro» di Andrea Di Robilant

«Oggi chiedono solo lavoro» «Oggi chiedono solo lavoro» L'ex ostaggio Usa : i giovani sono cambiati Andrea di Robilant corrispondente da WASHINGTON «Come vorrei essere a Teheran in questi giorni! Come vorrei essere un topolino nascosto nel sancta sanctoruin del regime degli ayatollah per capire dove vogliono portare il Paese!». Bruco Laingen era il chargé d'affaires americano a Teheran il 4 novembre 1979, quando gli studenti iraniani presero d'assalto l'ambasciata. E per la durata della crisi, cioè fino al 20 gennaio del 1980, divenne l'ostaggio più in vista (era il diplomatico più alto in grado). Sono passati vent'anni, Laingen ha lasciato la diplomazia attiva (è presidente dell'American Academy of Diplomacy) e i suoi giorni di prigionìa sono ormai solo un ricordo. Ogni anno si riunisce con gli altri ex ostaggi che vivono a Washington per celebrare l'anniversario della loro liberazione. «Ma è solo un'occasione per ritrovarsi: non rivivo quell'esperienza ogni giorno della mia vita». E nonostante tutto prova «un grande affetto» per l'Iran. «E' un Paese che continua ad affascinarmi e sono ansioso di sapere come andrà a finire». Cosa vorrebbe sapere se lei fosse quel topolino? «Quale patto segreto è stato raggiunto tra il presidente Khatami e gli uomini attorno all'Ayatollah Khamenei. I fautori della linea dura hanno sicuramente offerto delle concessioni a Khatami, altrimenti il duro discorso che ha fatto l'altro giorno per spegnere la rivolta degli studenti non si spiegherebbe». Esiste un filo che lega gli studenti di vent'anni fa a quelli che hanno dimostrato nei giorni scorsi? «Solo nel senso che oggi come ieri gli studenti iraniani si considerano protagonisti del cambiamento. Ma i giovani che hanno protestato in questi giorni non ce l'hanno con gli Stati Uniti. Sono preoccupati dalla qualità della vita nel loro Paese, dalla mancanza di libertà in una società globale, dalle scarse prospettive economiche. Da tempo il Grande Satana non agita più i loro sonni. Oggi il loro pensiero dominante è: lavoro, lavoro, lavoro». E' una rivolta che mira a sovvertire la repubblica islamica? «Direi proprio di no. Non vedo come la protesta possa allargarsi. Non si tratta di una sfida alla rivoluzione in quanto tale anche se ci sono sicuramente elementi minoritari che puntano a quell'obiettivo. La sfida, semmai, è rivolta al presidente Khatami, che hanno eletto a grandissima voce». In che senso? «Chiedono che chiarisca le promesse che fece quando venne eletto. Che cosa intendeva dire quando si schierò a favore del diritto, della libertà, della trasparenza? Vogliono risposte a queste domande. Non vogliono trascinare il Paese nel caos». E Khatami è ancora in grado di dare risposte? «Le prossime settimane saranno decisive. Ma sono abbastanza convinto che Khatami non è stato messo a tacere dagli oltranzisti, che ne verrà fuori. E' un uomo di grandissime risorse, un monarca-filosofo molto intelligente e molto capace. Ma da qui alle elezioni di marzo dovrà fornire risposte più chiare alla gente». All'inizio gli Stati Uniti hanno dato l'impressione di voler appoggiare la rivolta. Poi hanno fatto marcia indietro. Qual è la linea giusta da tenere? «C'è una sola cosa da fare: chiudere il becco. Meno diciamo e meglio è. Molti in Iran rimangono convinti che il Grande Satana si muove dietro le quinte contro la rivoluzione. La verità è che non avendo un'ambasciata sappiamo molto poco di ciò che succede sul terreno. Sapete molto di più voi italiani». y Ikelairi Bruce Lalngen era chargé d'affaires a Teheran il 4 novembre 1979 quando gli studenti iraniani presero d'assalto l'ambasciata americana. Il personale dell'ambasciata fu tenuto prigioniero fino al 20 gennaio del 1980

Persone citate: Khamenei, Khatami, Laingen

Luoghi citati: Iran, Stati Uniti, Teheran, Usa, Washington