La politica e la moschea
La politica e la moschea Tra Islam e democrazia un rapporto ancora irrisolto La politica e la moschea Fiamma Nlrsnstein Ni ON sarà la grande manifestazione governativa messa in scena dagli ayatollah a confonderci: la rivolta universitaria che nei giorni scorsi andava contagiando il Paese non lascia spazio alle diatribe sui clerici buoni e cattivi. E' una scossa di realtà che racconta un Paese disperato per la sua situazione economica, in cui più dell'80 per cento della gente vive al di sotto della linea di povertà, dove una famiglia con cinque figli guadagna 50 dollari al mese. Una bomba a tempo, in cui la repressione del regime è direttamente proporzionale all'insopportabilità della vita misera e repressa. E poiché l'Iran è un grande Paese, da qui possono uscire immense novità per tutto il mondo musulmano. La rivoluzione del '79 oltre a protestare contro la corruzione del regime dello Scià intendeva rifiutare per sempre i suoi lega¬ mi con l'Occidente: l'Iran ristabilendo il predominio dell'Islam, aveva inteso esprimere la rabbia di un mondo immenso che per il solo fatto di essere musulmano si era sentito considerato di seconda categoria proprio dalla civiltà vista come corrotta e corruttrice. La svolta di Khomeini introdusse nel suo intento rigeneratore una novità strutturale nell'intera storia dell'Islam. Perché, benché l'Islam al contrario del Cristianesimo non abbia mai distinto tra Trono e Altare, tuttavia non conosce l'istituzione ecclesiastica. La moschea è solo un edificio di incontro e di preghiera. Khomeini, ha scritto il grande storico del Medio Oriente Bernard Lewis, attuò una cristianizzazione delle istituzioni islamiche iraniane, la sua figura nel ruolo di quella del papa, contornata dall'equivalente di una gerarchia di arcivescovi, vescovi e preti. A questa nuovissime qerarchia andò tutto il potere temporale come nei secoli passati alla Chiesa. Con la rivoluzione di Khomeini e la sua presa del potere si creò una identificazione dunque del tutto nuova fra potere spirituale e potere temporale nel mondo islamico. Né Arafat, né Assad, né Abdullah, benché fedeli musulmani, sono clerici. Ora, è vero che le parole «secolare» e «laico» nell arabo moderno altro non sono che neologismi. Questa dicotomia non esiste: Maometto era il Profeta e insieme il vittorioso condottiero. Il fatto è, però, che invece oggi è una realtà in potenza. Khatami, nel suo distaccarsi dalla folla dei sostenitori e chiamandola violenta, si è messo dalla parte della gerarchia, anche se è un moderato. La Chiesa e la società sembrano non coincidere più. Non è credibile alla gente quella libertà di cui Khatami parla spesso, ovvero il praticare alla lettera la propria religione in pieno rispetto e dignità: una libertà sacrosanta, ma che, nelle mani di una gerarchia con funzioni politiche di domi nio istituzionalizzato, diviene per forza contraddittoria. Così è sempre stato nella storia. E nella religione stessa e nella sua pratica, dunque, il vero nodo di questa rivoluzione, che appar tiene a una generazione che partecipa di una cultura che traduce la parola «citoyen» solo come «compatriota», e che non è storicamente portata alla de mocrazia, e per la quale una rivoluzione per così dire demo cratica e costituzionale è oggi impensabile. Ma si può decisamente immaginare che il mon do musulmano avendo contratto in Iran una malattia cristiana, come la chiama Lewis, si possa figurare di adottare un rimedio cristiano: la separazione della Chiesa dallo Stato. Se siamo, come appare piuttosto evidente, ai primordi di un simile processo, l'intero mondo islamico ne godrebbe l'usufrut to in una immensa salvifica rivoluzione culturale tutta sua
Luoghi citati: Iran, Medio Oriente
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