«Ma la religione resterà al potere»

«Ma la religione resterà al potere» fi DIFFICILE SCENARIO DEGLI INTEGRALISMI «Ma la religione resterà al potere» I cattolici di fronte alla crisi che sconvolge l'Iran analisi Pierluigi Battuta ROMA Scrutano con attenzione le mosso dello cancellerie europeo e le reazioni americane ai fatti dell'Iran. Seguono con apprensione i dispacci che riportano dettagli e risvolti dei moti di Teheran. Nel mondo cattolico si studia in questi giorni di convulsioni e di violenza il laboratorio iraniano dove, come sostiene Andrea Riccurdi, uno dei leader di quella comunità di Sant'Egidio (oramai ribattezzala «l'Oini di Trastevere») che ha lanciato in questi anni molto sondo noi mondo a dominanza islamica, si giocano i delicati rapporti in un regime «in cui si mescolano democrazia e teocrazia. Riflesso di una cautela che imrponla di sé anche lo preoccupazioni della Chiesa cattolica su ciò che sta accadendo a Teheran, nell'universo cattolico italiano si guarda all'Iran corno a un terreno infuocato in cui si determineranno i rapporti nel prossimo futuro tra religione e modernità, identità culturale e tecnologia, tradizione e capitalismo. Ma anche, e soprattutto, i rapporti tra Islam e cristianità. «E' difficile decifrare i fatti iraniani e ancor più perforare l'opacità di una società complessa come quella iraniana», dice Riccardi, «ma non si può non mettere ciò che sta accadendo in questi giorni a Teheran con la vicenda dei 13 cittadini ebrei perseguitati in Iran: un'avvisaglia importante di ciò che scuote come un terremoto quelle repubblieu islamica». Certo, nelle diverse «famiglie» del mondo cattolico italiano è pressoché impossibile, se non in ulcune frange lunatiche ossessionate dal tradizionalismo integralista, trovare sostenitori dei pasdaran che a Teheran, brutaiizzano gli studenti. «Comunque», sostiene Gianni Baget Bozzo che non ha mai guardato con pregiudiziale ostilità l'offensiva culturale «antimoderna» del khomeinismo, «bisogna stare dalla parte del riformista Khatami e contro il conservatorismo di Ali Khamenei». Sembrerebbe una scelta netta di interlocutori, una convergenza di opinioni, una concordia di valutazioni. Ma è nelle sfumature che affiorano differenze e sensibilità divergenti.«Una cosa è corta», afferma por esempio Baget Bozzo: «è profondamente sbagliato parlare delle agitazioni studen tesene di Teheran come di una Tien An Man iraniana. Nella società iraniana, intrisa di islamismo sciita, gli elementi di dinamismo accompagnano una crescita economica, una tecnicizzazione produttiva che crea tensioni ma non va a urtare le fondamenta dell'identità culturale assicurata in Iran dall'elemento religioso». Anche per Riccardi il paragone con la Tien An Mon non regge, perché a Teheran «non viene messa in discussioni! la cornici; islamica: caso mai ó in discussione il rapporto complicato e conflittuale tra Islam e democrazia». Ma invece, nelle stanze vaticane, c'è chi temo che sia proprio l'esempio cinese a costituire il precedente tragico di ciò che potrebbe accadere in Iran. Il cardinale Achille Silvestrini, prefetto della Sacra Congregazione per le Chiese orientali, si informa con molta preoccupazione sui fatti iraniani per capire, spiega ai suoi più stretti collaboratori, «se un moto studentesco che scutena le ire degli integralisti conservato- ri e aspira a una liberalizzazione che non rinneghi l'Islam» possa finire «malo come è accaduto in Cina con i moli della Tien An Men». Perché nel mondo cattolico si fa sentire il timore che, accanto all'incendio balcanico che rischia di scatenare conflitti religiosi incontrollabili, un'altra miccia venga a minacciare il mondo cristiano. Finora, dicono gli esporti, i rapporti tra l'islamismo khomoinista e la comunità cristiana non sono stati pessimi: e si ricorda il grande rispetto per la figura di Cristo nel testo coranico e il fascino del sacrificio di Gesù esercitato in una cultura potentemente attratta dai simboli del martirio. Però, sostiene con una coita inquietudine il docente dell'Università cattolica Stefano Alberto, molto vicino a don Luigi Giussani e molto autorevole nell'ambiente culturale che ruota attorno a un movimento ecclesiale come Comunione e Liberazione, i fatti di Teheran dovrebbero indurre «tutto l'Occidente ad affrontare finalmente la natura dell'islamismo con unu sroità e un rigore che finora sono clamorosamente mancati». Per esempio, precisa Stefano Alberto, «finora abbiamo voluto analizzare l'islamismo più per ciò che avremmo voluto che fosse che non per ciò che esso è realmente, baloccandoci con categore di moda come "integralismo" e "fondamentalismo" che vogliono dire pochissimo. La rivolta degli studenti di Teheran ci costringe a una svolta nel nostro atteggiamento nei confronti di quel mondo». Cautele, appunto. Prudenze e circospozioni che spiegano come mai l'Avvenire, il quotidiano della Gei, si sente in dovere di richiamare i governi occidentali: «l'Occidente dovrebbe evitare di intervenire pesantemente sul governo iraniano». La grande apprensione per i fatti di Teheran rischia di diventare, tra i cattolici, la grande paura dell'ignoto. Il cardinale Silvestrini «Si cerca una liberalizzazione che non rinneghi la fede ma si rischia una Tienanmen» Andrea Riccardi: la vicenda dei tredici ebrei perseguitati è stata una avvisaglia importante Il cardinale Achille Silvestrini e qui a destra Andrea Riccardi ur.o del responsabili della Comunità di Sant'Egidio