Il fantasma di un'altra Tienanmen

Il fantasma di un'altra Tienanmen L'ORTODOSSIA CORANICA ASSEDIATA DAGLI INNOVATORI Il fantasma di un'altra Tienanmen L'ala moderata teme di essere travolta dalle folle che la sostenevano analisi Igor Man SONO tre le adunate di oggi, a Teheran, chiamate da altrettanti gruppi, fra di lor diversi: la Lega studentesca, protagonista di queste ultime giornate al calore bianco; la cosiddetta «nuova classe» dei Rastignac in versione iraniana, colletti bianchi e borghesi, intellettuali e tecnocrati che si riconoscono nel cauto riformismo di Khatami; e infine gli ortodossi inquadrati nel Consiglio del Seminario di Qom, cuore dell'islamismo radicale, fi clima di isteria collettiva che avvolge Teheran come una camicia di forza squarciata dalla furia degb ultimi accadimenti, farebbe temere il peggio. Ma comunque vadano le cose, oggi e nei giorni a seguire, non sarebbe realistico immaginare che la presente «rivolta culturale» si trasformi in una «rivoluzione.culturale». Almeno in tempi brevi. L'Iran dà piuttosto l'impressione di arrancare sulla lunga strada d'un malessere oramai annoso, in cerca di uno sbocco liberatorio. Il disagio della gioventù, dei figli dei Rastignac persiani che si schierarono vent'anni fa con Khomeini per cacciare lo Scià, è «essenzialmente culturale», nel senso intimo, completo e complesso che Karl Popper dava alla sua oramai classica definizione. Ma dev'esser chiaro come la protesta popolare, timida sinora, limitata ma incisiva, non metta in discussione l'islam, il primato della religione né la stessa forma di governo, cioè la Teocrazia. E' la lettura che del Corano fanno i radicali di Qom, gli ultimi epigoni del vecchio imam, ad esser contestata. I figli dei Rastignac rifiutano l'ermeneutica strumentale di Khamenei volta a dare una interpretazione del Libro Sacro riduttiva, angusta, buona per quei falsi studenti chiamati Talebani (membri incolti di una delle 77 sette coraniche del Pakistan), non per ima gioventù scolarizzata egregiamente e diffusamente qua! è quella iraniana. Cosa ha spinto il 69 per cento della popolazione, giovanissima nella sua stragrande maggioranza, a plebiscitare Khatami? Semplicemente il fatto ch'egli annunciasse una «rivoluzione copernicana» tale da consentire una sorta di rinascita nazionale operando dentro la Teocrazia in quanto tale. Attenzione: non dentro il «sistema» ch'è tutt'altra cosa, retrogrado e intrallazzatore sino al furto proposto come scorciatoia della accumulazione, grimaldello della affluent society. La «classe nuova», cioè gli studenti e i Rastignac, ritiene che senza che sia risolta la «questione morale» non abbia senso parlare di riforme. I contestatori odierni nell'Iran che vent'anni dopo la grande speranza si mostra stanco di nuove delusioni esistenziali sono affascinati dal Corano ma nelia rilettura operata da Ali Shariati (il giovine filosofo profetico, fatto fuori dallo Scià) ne1 solco della interpretazione che ne diede, al principio del secolo, Jamal Eddin Afghani, e sono, i contestatori, al tempo stesso consapevoli della necessità di separare il sacro dal profano (la Chiesa da Cesare, diremmo noi), e altresì di sfumare l'intransigenza etica al fine di ritrovare un islam che sia mediazione e non scolastica. Su questo sfondo terribilmente alto nelle sue motivazioni ragionate, il braccio di ferro tra Kamenei e Khatami finisce con l'assumere un'importanza assolutamente contingente, davvero momentanea. La «rivolta culturale» iraniana è scandita da slogan brucianti e impensabili sino a ieri: «Morte a Khamenei», «Morte agli affamatori»: impensabili poiché la Legge punisce chi solamente contesti la Guida Suprema, l'erede spirituale di Khomeini. Codesta è una «novità» drammaticamente importante, ma il fatto nuovo, sul quale converrà riflettere, è rappresentato da uno slogan udito per la prima volta 48 ore fa a Teheran: «Do v'eri, tu, Khatami, quando i nostri fratelli morivano nel campus per mano dei fanatici? Dov'eri, voghamo saperlo, dov'eri?». Ancorché sinora scandito episodicamente, segna (forse) una svolta in questo scorcio di cronaca storica in quel paese indoeuropeo segnato dal culto della protesta alimentata dal credo sciita. Sarebbe incauto, peraltro, scrivere o peggio pensare che Khatami sia fuori giuoco, o ci finisca prima o poi, a causa della sua cautela giudicata eccessiva dagli impazienti figli della classe media. Per costoro la strumentalizzazione della Parola di Maometto da parte dei radicali pilotati da Kbamenei (ovvero da coloro che fanno di lui, oltranzista, visceralmente antioccidentale, la loro mosca cocchiera) è «moralmente indecente o politicamente suicida». Ha ragione Bani Sadr, l'ex presidente della Repubblica già pupillo di Khomeini, costretto a fuggire da Teheran vestito da donna per non finire sul patibolo, quando parlando dal suo modesto alloggio di esule in Francia (veramente tenace nel suo culto pragmatico dei diritti dell'Uomo, questo grande nostro Paese amico), dice non senza commozione: «11 cambiamento è possibile perché gli studenti non hanno piti paura di gridare "vergogna" a Khamenei», che per Bani Sadr è un religioso di settima fila, sprovveduto culturalmente, ma pericoloso perché intossicatodall'odio tipi• co degli ignoranti. Val la pena notare come il discorso di Bani Sadr coincida, nella sostanza, con le argomentazioni di quell'islamista particolare (per intelligenza e sapienza) ch'è Maxime Rodinson. Perché e come mai gli studenti fanno paura alla nomenklatura? Perché sono animati da uno spirito «costruttivamente critico» che contempla la letteratura del Corano in chiave postmoderna. Per Rodinson i radicali hanno perso la partita. La loro sconfitta dovrà, tuttavia, esser sancita dal non impossibile affermarsi della presente «rivolta culturale». Ci vorrà tempo, forse parecchio, ma il lungo cammino di mille miglia è già cominciato e con un passo tutt'altro che piccolo. Rodinson sembra non escludere danni perversi a causa d'una ancora possibile (ma forse per poco) repressione brutale, ma appare davvero persuaso che oramai per l'establishment di Qom, per Khamenei e i suoi burattinai, alla fine risulterà impossibile comprimere il moto popolare. Non fosse altro perché «viene dal basso», è «prepolitico» e appunto perciò estremamente pervasivo. Sciupivi: he, beninteso, il pool radicale non voglia mettere in conto un vero e proprio bagno di sangue. Ma è giustappunto il timore di una nuova Tienanmen a moltiplicare la prudenza di Khatami, che rimane pur sempre un uomo del veccho sistema. Durante la turpe stagione degli ostaggi americani, l'albergo lntvnxmlinentul, dove alloggiavano i giornalisti stranieri, veniva ironicamente chiamato da noi stessi «nest of hacks» (nido di mezzemaniche) per distinguerlo dal «nest of spies», l'edificio dell'ambasciata americana. Si telefonava, ricordo, e dall'altra parte, in inglese, una studentessa fedele alla linea dell'imam, rispondeva: «Qui il nido delle spie, chi parla?». Ebbene quella voce, quell'inglese appartenevano a colei che chiamavamo Mary, la ragazza diciottenne che distribuiva i comunicati sugli ostaggi. Mary si chiama Massoumeh Ebtekar, ed è quella bella e severa signora che ricopre la carica di vicepresidente della Repubblica. Anche Khatami era molto vicino agli studenti sequestratori. Aveva vissuto a lungo in Amburgo, un mezzo esilio, il suo, che gli aveva fatto imparare le lingue e leggere e tradurre Tocqueville, in farsi. E un altro dei protagonisti della presa dell'ambasciata è quell'Abbas Abdi che dirige Salem, il più aperto dei quotidiani sospesi dalla censura di Khamenei. Un altro eccellente esemplare del «brain-trust» di Khatami è il signor Mohammad librali ini Asghazadeh, eletto di recente consigliere comunale. E' ammirevole che Khatami e i suoi vecchi amici studenti predatori di inermi funzionari americani, abbiano operato una svolta di 360 gradi, proponendosi come innovatori all'interno e aperturisti verso l'Occidente, Grande Satana in testa. Rimane l'interrogativo se lui, Khatami, paragonabile per certi versi al vecchio Mossadeq, e non certamente a Deng Xiao Ping, riesca a liberarsi dal complesso del Palazzo. Quel Palazzo dove abita monaco tra i più mistici, ma arrabbiato nella sua pochezza intellettuale, la Guida Suprema, vale a dire quel religioso di settima fila che, dicono, complice il figlio di Khomeini, Ahmed, scippò il posto più alto grazie a un falso testamento dell'imam. Ma codeste, a ben vedere, sono piccole storie. Di Palazzo, giustappunto. Il grande problema è il futuro dell'Iran, la libertà di riscatto dei giovani, studenti e non. Vent'anni fa Khomeini vinse anche perché grazie al Tudeh (il pc iraniano) i proletari si ricordarono di esser tali e scioperarono, trascinando nella protesta un po' tutti, giorno dopo giorno, soldati compresi. Oggi è diverso. Non c'è un suiTogato del Tudeh, non esisto un sindacato, ancorché piccolo come allora, non c'è una forza trainante simile al poderoso locomotore khomeinista. Oggi la partita si svolge fra una mezzacalzetta del clero radicale, Khamenei, e un ex fedelissimo di Khomeini, Khatami, cheterne di far la fine di Gorbaciov, travolto dalla sua stessa pere strojka, e non riesce ad avere quel coraggio politico, condito con un pizzico di incoscienza, cho contraddistinse, appunto, Mossadeq. E' tornata in voga una vecchia barzelletta: «Dov'è la rivoluzione islamica? In Paradiso», laddove per Paradiso si intende Behesht e-Zhara (il Paradiso di Zhara), cioè il cimitero monumentale di Teheran, forse il più grande e il più affollato del mondo (affollato di morti ammazzati) Ì\MHU[ \tìni= irZ3CBÌZ3( loroa penar. ratei» UNIVERSITÀ', CUORE DELLA RIBELLIONE Un ferito negli scontri, curato dai compagni nella moschea del campus per evitare che, ricoverato in ospedale, possa essere arrestato dalla polizia I PALAZZI DEL POTERE Cortei di manifestanti hanno circondato la sede del giornale -Kayhan», organo del clero conservatore, e i ministeri-chiave dell'Interno e della Cultura, oltre al palazzo del presidente Khatami LA PIAZZA SIMBOLO Piazza della Rivoluzione, il luogo simbolo della rivolta che vent'anni fa rovesciò lo scià, anche ieri è stato il cuore degli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. I cortei dei dimostranti hanno cercato ripetutamente di occuparla, ma poliziotti e squadre paramilitari dell'ala dura del regime hanno fatto ricorso a lacrimogeni, bastoni e raffiche di mitra ^RMtMHRiHMMMRIHMI intimidatorie per allontanare i manifestanti dalle barricate fané con pietre e mattoni. In questa piazza, a sera, si è svolto anche il primo controcorteo degli studenti antirivolta, fedeli alla linea della Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei. Nella foto, uno studente tento da una pietra viene soccorso da amici LA PERIFERIA IN RIVOLTA Molavi c il quartiere cosiddetto -dei povci l'.un angolo dell'immensa periferia della capitale dove si ammassano I S milioni di abitanti. A sera e diventalo l'epicentro del confronto più duro tra manifestanti e forze di sicurezza PAURA AL BAZAR Vent'anni (a il bazar era stato il grande elemosiniere della rivolta contro lo scià, ora i commercianti sfilano insieme agli studenti e chiudono le botteghe per evitare i saccheggi, mentre code di cittadini si allungano ai distributori di benzina, ai pochi negozi aperti