UN FANTASMA VENTANNI DOPO di Igor Man
UN FANTASMA VENTANNI DOPO UN FANTASMA VENTANNI DOPO Igor Man L«) IFtAN è in fibrillazione, apparentemente come nel tempo corrusco e tuttavia eroico della rivoluzione a mani nude di Khomeini. Un vecchio in ciabatte, uscito diritto dal medioevo, costrinse il Re dei Re, Reza Pahlevi, a fuggire incalzato dallo scontento popolare che lui, l'ayatollah Khomeini attizzò prima dall'esilio, e infine nella stessa Teheran dove l'accolsero cinque milioni di esultanti, il 1° di febbraio del 1979, 12 Bahaman 1357. Sensibile agli umori delle masse, Khomeini rifiuta ogni compromesso, plagia l'esercito finché la «sommossa delle 48 ore» non travolge l'ultimo ostacolo: l'esercito imperiale con gli Immortali (i moschettieri dello Scià) che si arrendono in mutande, i pantaloni ripiegati sul braccio: li ho visti. Vent'anni dopo ci si chiede se i moti attuali abbiano qualcosa in comune con quella rivoluzione che partorì l'islamismo radicale. Anche oggi è lo scontento la molla della protesta contro un potere oscurantista, ma la similitudine finisce qui. Vent'anni fa, la rivoluzione nasce dalla rivolta degli intellettuali gauchisti che fanno dell'ayatollah Khomeini, esiliato brutalmente dallo Scià, l'antagonista immacolato d'un imperatore accusato di rubare, di stravolgere i connotati culturali d'un antico paese indoeuropeo, intrinsecamente ribelle poiché calato da innumerevoli secoli nello Sciismo ch'è contestazione perenne. Oggi è diverso. Innanzitutto Khamenei non è lo Scià: alla morte di Khomeini venne scelto quale Guida Suprema dai potenti ayatollah del Consiglio dei Saggi {Velayute-Faghi) per la sua pochezza coniugata con un odio fosco per l'Occidente in genere, per il Grande Satana (americano) in particolare. Predicatore violento, offeso nel fisico per un attentato e quindi «martire», è in fatto il portavoce del nocciolo duro d'una Teocrazia dominata dalla corruzione la più sistematica. Khatami, il presidente, è stato plebiscitato dai giovani (il 70 per cento della popolazione ha meno di 25 anni) presi nella tenaglia della recessione economica e del bigottismo della mullahcrazia. L'ex studente fedele alla linea dell'imam (compagno di quelli che occuparono l'ambasciata americana prendendone in ostaggio il personale), lui, Khatami, è solo un cauto neo-riformista dal sorriso accattivante. Non è un nuovo rivoluzionario, semmai è il punto di riferimento di quei quarantenni, sorta di Rastignac in edizione iraniana, che vogliono «ricominciare da capo». Chiedono riforme che tuttavia non penalizzino il Bazar, fulcro della «classe nuova» maritre i giovani in altalena tra la/;peranza e la furia vogliono tutto e subito. Cioè un paese dove la libertà di parola s'accompagni col pieno impiego. Tutti i poteri forti sono nelle mani dei conservatori e Khatami è forte sì del consenso giovanile, popolare, ma quanti sarebbero disposti a morire per lui? Sono due debolezze a scontrarsi, oggi, in Iran. Entrambe infojate dall'odio, entrambe però terrorizzate dallo spettro dell'implosione frutto d'una perestrojka che non guarda al futuro. Poco prima di dire: «Spegnete la luce», per definitivamente addormentarsi, Khomeini ammoni: «Se l'Iran sarà diviso, precipiterà fatalmente nel baratro della confrontazione armata». Vent'anni dopo, l'Iran è davvero diviso e una volta ancora l'esercito rimane la chiave di tutto. Epperò dovremmo ricordarci come i «rivolgimenti islamici» non vadano visti con gli occhi dell'Anno Duemila, bensì, al massimo, con gli occhiali di Averroè.
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