D'Alema: «Cari amici della Fiat... » di Maurizio Tropeano

D'Alema: «Cari amici della Fiat... » Il premier: qui a Torino si sono incrociati i destini del movimento operaio e della grande impresa D'Alema: «Cari amici della Fiat... » «Non c'è modernizzazione del Paese senza di voi» Maurizio Tropeano TORINO «Caro Avvocato, cari amici della Fiat». Queste parole, che Massimo D'Alema, pronuncia all'inizio del suo discorso sono il simbolo più evidente della «pace» scoppiata tra il governo e la Fiat dopo le polemiche e le frecciate della scorse settimane. Un disgelo che passa attraverso il riconoscimento del fatto che «l'Italia sa di poter contare sulla Fiat, su questa grande impresa, sul suo prestigio». Ma non solo. E così se la Fiat è passata da «un sistema industriale fortemente autocentrico ad un assetto più equilibrato tra grande impresa, un indotto che via via si è aperto a nuovi mercati e nuovi produttori, un terziario industriale e tecnologico avanzato», D'Alema immagina per l'Italia un futuro «neo-industriale, dove il saper fare, le competenze e le risorse - prime, e decisive, quelle umane - dovranno maggiormente concorrere, in un mix di vocazioni industriali, terziarie, produttive e finanziarie». Insomma, «è cambiata la Fiat, è cambiata Torino, è cambiata l'Italia». Un passo importante, quello del primo ministro, che però, subito dopo rivendica con forza le scelte fatte dal suo Governo: «Puntiamo a un patto sociale nuovo, non a una lacerazione che vanificherebbe gli stessi risultati acquisiti». Poi, aggiunge, anche rivolto ai vertici Fiat: «L'auspicio è che nessuno si sottragga alla responsabilità di immaginare e costruire il futuro». Poi D'Alema puntualizza: «Il governo ha compiuto, con il Dpef, alcune scelte di fondo tese a sostenere la crescita e a porre le condizioni per la creazione di nuova occupazione. Per la prima volta dal 1992 l'Italia non è costretta ad assumere decisioni complesse e socialmente difficili». Ribadisce, ancora una volta, che «è una nostra scelta di rispettare U patto di stabilità senza tagU ma affrontando i principali nodi strutturali dell'economia e della società italiana. Lo abbiamo fatto con la consapevolezza che su questo potrà per- dersi o vincersi la sfida della crescita e dell'occupazione». Una sfida non certo facile che passa anche attraverso un nuovo ruolo internazionale - dall'ingresso nell'Euro alle crisi dei Balcani - che «l'Italia si è conquistata sul campo, superando crisi difficili, evitando il rischio di una bancarotta finanziaria e di una crisi morale che avrebbe potuto travolgere non soltanto i vecchi partiti ma l'intero sistema politico-istituzionale». Adesso non resta che fare un passo successivo, quello delle riforme. Spiega D'Alema: «Ora dobbiamo essere conseguenti, portando la lunga transizione italiana allo sbocco riformatore delle grandi democrazie dell'alternanza». Ma non solo. Ci sono altre sfide, quella dell'immigrazione, ad esempio, che «nel nuovo sistema internazionale, la quinta potenza industriale del mondo è chiamata ad affrontare in termini invertiti, rispetto a quelli vissuti da grandi masse di meridionali in questa città». Già, Torino, terza città raeridionale d'Italia*." Le migliala di meridionali arrivati dal Sud per entrare in fabbrica come Alfonso Leonetti, arrivato sotto la Mole da Andria alla vigilia del biennio-rosso. D'Alema cita <in passo del suo libro - «Torino era per me come entrare in una vasta officina, in cui l'apprendista meridionale e rurale che ero stato fino ad allora, diveniva operaio, scoprendo a poco a poco i misteri della fabbrica e del capitale e i reali rapporti di classe...» - per ricordare come «qui a Torino è stata fondata la prima Camera del lavoro operaia, e qui è stata istituita la prima Unione degli Industriali. Si sono incrociati i destini del movimento operaio e della grande impresa». Ma non c'è solo l'intreccio dei rapporti tra operai e padroni. Per D'Alema, infatti, la storia della Fiat «è una storia che coincide largamente con quella dell'Italia moderna. C'è stato chi ha letto, ancor più con le lenti del tempo, l'atto redatto dal cavaliere Emesto Torretta, 1' 11 luglio 1899, come l'unione di destini: quasi un matrimonio tra la Fiat e l'Italia». Aggiunge il premier: «Come tutti i matrimoni, anche il rapporto tra la Fiat e il Paese, è stato complesso: ricco e tormentato, comunque una relazione resa solida dalle alterne prove del tempo». Poi un riconoscimento a Torino: «Molto ha contato il legame con il luogo d'origine, fin quasi l'identificazione con questa città. Torino è l'unica, vera factory town del nostro Paese. Per generazioni intere la Fiat ha significato lavoro e certezza». Aggiunge il primo ministro: «Una identità a volte accettata, a volte combattuta e sofferta, ma pur sempre una identità che ha profondamente segnato questa città e ha costituito l'incubatrice ideale per far nascere e sviluppare anche le forme associative e sindacali». Ma se sono cambiate la Fiat e l'Italia è cambiata anche Torino «aprendosi alle nuove opportunità produttive, economiche e finanziarie, coniugando in modo originale la sua antica identità industriale con un profilo sociale e cultura• le nuovi:). Insomma, la città è ricca di' «potenzialità che potrebbero essere immense. E già cominciano a dispiegarsi, come con la decisione del Ciò di premiare^Torino con l'assegnazione delle Olimpiadi Invernali del 2006». «La storia di questa azienda coincide largamente con quella dell'Italia moderna: è come un matrimonio ricco e tormentato, comunque una relazione resa solida dalle alterne prove del tempo» «Questa città è ricca di potenzialità che potrebbero essere immense. E che cominciano a dispiegarsi, come con l'assegnazione delle Olimpiadi Invernali del 2006» 1899 1999 t fck «dpicdcdLcMaIE

Persone citate: Alfonso Leonetti, D'alema, Massimo D'alema