«Il Senatore, storia da scrivere» di Alberto Sinigaglia

«Il Senatore, storia da scrivere» IL GRANDE GIORNALISTA «UN'AZIENDA CHE AFFRONTO' IL MONDO MENTRE GLI ALTRI PENSAVANO IN FUNZIONE AUTARCHICA» «Il Senatore, storia da scrivere» Montanelli: l'Avvocato sa vivere da re intervista Alberto Sinigaglia CORTINA D'AMPEZZO VORREI fare gli auguri alla Fiat per il centenario. Ma quali auguri? - si chiede Indro Montanelli appena arrivato a Cortina sotto una pioggia scrosciante -. Sono vecchio, non so immaginare il mondo futuro. Non lo saprebbe immaginare il grande Giovanni Agnelli, il fondatore, e nemmeno il nipote, l'Avvocato, che nel futuro ha un piede dentro. Come, su quali direttive evolverà o involverà la società di domani? Se non si sa questo, quali auguri si possono esprimere?». Della Fiat e dei suoi cent'anni c'è qualche cosa che abbia interessato di più Indro Montanelli, lo storico? «Mi sarebbe piaciuto conoscere proprio Giovanni Agnelli il nonno, il creatore. Ma non ho fatto in tempo. Morì al tempo della Liberazione, nel dicembre del '45.11 personaggio mi interessava molto perche riassumeva in sé veramente la storia dell'industria italiana. Studiando un po' si scopre che è un fondatore senza un'aneddotica: perché era tipo che non si prestava agli aneddoti e non concedeva confidenza a nessuno. Quello che manca nella storia d'Italia è sempre il personaggio. Ora, io credo che questo grosso uomo davvero abbia riassunto in se tutti i caratteri belli e non sempre belli del capitalismo italiano.,. Cominciamo dai caratteri non belli? «O decisamente brutti. Era anche un uomo spietato con tutti gli altri concorrenti, lavorava per batterli. O diventavano subalterni o li spazzava via. Era il Ford italiano, senza le chiusure del vero Henry Ford, che non capiva moltissime cose. Io l'ho conosciuto il vecchio Ford, di cui Agnelli era grandissimo ammiratore e amico, ma dal punto di vista intellettuale lo superava». Restano gli aspetti belli. «Lo spirito d'impresa: lui l'aveva come nessuno. Ma anche la visione lunga. Perché con tutto il suo spirito d'impresa, che po- teva sfogarsi - e sarebbe stato già molto - nel campo nazionale, seppe invece spingere lo sguardo in un campo europeo e mondiale. Fu l'unico in Italia a fare questo. Gli altri capitani d'industria pensavano tutti in funzione autarchica: come affermare la propria attività nel quadro italiano. A questo li aveva spinti anche il fascismo, che era autarchico. L'unico che guardò oltre, che guardò lontano fu Giovanni Agnelli. Questo è U bello, oltre alla dedizione totale, assoluta e esclusiva alla sua azienda. Di Giovanni Agnelli non si conoscono distrazioni, non lussi, non donne, niente, niente. Era veramente il fondatore e il sacerdote della sua azienda». E di Giovanni Agnelli il nipote, che cosa pensa? «Con lui ho rapporti tra i più piacevoli. A lui, al nipote sì oggi faccio, di cuore, gli auguri: ai chiudere come ha vissuto, perche è nato re, ha vissuto da re è giusto che - fra trent'anni muoia da re». Che rapporti ha avuto Montanelli con la Fiat? «Sono, come tanti, un utente della Fiat. Ma se intendiamo i miei rapporti con l'Avvocato, non dimentico il momento in cui fui costretto a lasciare II Corriere della Sera. Lui contava anche in quel giornale e fece valere tutto il suo peso per far capire che sciocchezze facevano. Ma non potevo fare a meno di andarmene e fu come se mi avessero strappato dal seno di mia madre. Un trauma pesante. Fu Gianni Agnelli che, nell'otto- bre del '73, mi spalancò le porte della Stampa, dove patii un freddo terribile, mi parve di essere entrato in una ghiacciaia. Mentre col pubblico di Torino simpatizzai immediatamente, tant'e vero che il direttore di allora, Arrigo Levi, in un accesso di sincerità mi disse una volta che quando la domenica usciva la mia rubrica "Controcorrente" il giornale vendeva diecimila copie in più. Non credo l'abbia inventato. Però l'ambiente della Stampa mi raggelò. Non sarebbe così oggi, ma allora ero guardato come un estraneo, quasi un appestato. Oggi sono un grande estimatore della Stampa perché è veramente cambiata e, secondo me, in meglio. Quello straordinario guardiano della Stampa che era stato Giulio De Benedetti aveva fatto le carte false perché andassi a tutti i costi con lui, dopo la Liberazione. Ma ero nato al Corriere, ero grato al Corriere che mi aveva tratto in salvo dalle mie disavventure con il fascismo». Perché quel libro sul fondatore non lo scrive lei? «Mi dispiace che gli storici italiani non abbiano mai il senso del personaggio, dell'uomo, dell'aneddoto, che scambiano per pettegolezzo. Fanno della sociologia, quando si direbbe e si capirebbe di più raccontando un personaggio. Guardate il senso della storia che hanno i francesi, gli inglesi. Certo che sul vecchio Agnelli scriverei un libro, se avessi gli elementi. Ma non ine li dà nessuno. Eppure chissà quante cose interessanti scopriremmo anche in un uomo così: chiuso, distaccato, spietato anche con se stesso». «Mi sarebbe piaciuto conoscere il fondatore: riassumeva tutti i caratteri del nostro capitalismo» «Quando fili costretto a lasciare il Corriere l'Avvocato si sforzò di spiegare loro che sciocchezze facevano» Il giornalista-scrittore Indro Montanelli

Luoghi citati: Ampezzo, Italia, Torino