Ecco l'ultimo Grass: sono un gaio pessimista
Ecco l'ultimo Grass: sono un gaio pessimista Cento racconti, uno per ogni anno. Il nazismo visto attraverso gli occhi di una madre Ecco l'ultimo Grass: sono un gaio pessimista «Il mio secolo» è già un caso, niente politica e tante storie umane JON c'è cronaca politica nella descrizione degli anni bui del nazismo, ma il racconto di una madre che si interroga sulla metamorfosi del figlio in seguito all'ascesa di Hitler, come se improvvisamente non lo capisse più e ciononostante lo amasse proprio per quel nuovo fervore. Non c'è polemica sul tramonto delle ideologie: l'avvento della socialdemocrazia non è visto con gli occhi dell'intellettuale impegnato, ma attraverso i ricordi di un ragazzino, un piccolo operaio, che si trova ad ascoltare, per strada, i discorsi di Karl Liebknecht. Cento anni lunghi un libro: questa l'idea di Mein Jahrhundert, (Il mio secolo), l'ultimo romanzo di Gunter Grass, uscito da pochi giorni in Germania e presentalo in esclusiva dal settimanale Die Zeit, che gli ha dedicalo un intero inserto. Un Grass inedito, poco politico e molto fantasioso, che per ogni anno del Novecento ha scritto una storia diversa. Un libro che è già un caso, non solo in Germania. Anche i suoi critici stenteranno a riconoscere il Grass di sempre: le descrizioni ossessive e nevrotiche della piccola borghesia tedesca, le requisitorie contro il potere e lo stile da polemista hanno lasciato il posto all'immaginazione, alle storie inventate, schizzate più che scritte. Come quella dell'anno 1926, in cui Ernst Jùnger e Erich Maria Remarque parlano della prima guerra mondiale in un caffè di Zurigo, tra realismo e finzione letteraria. «Sono un pessimista gaio», ha detto Grass a Die Zeit. «E se da un lato mi sento un autentico discendente di Sisifo, dall'altro percepisco, come diceva Albert Camus, l'allegria delle pietre che rotolano... Sì, forse avrei preferito vivere nel XVII secolo - nel barocco dei grandi orrori e delle grandi bellezze - ma questo è il mio tempo. Cerco di coglierne la varietà e quando sono stanco penso alle parole di Willy Brandt: "Si fa sempre fatica"», [f. sf.) Gunter Grass ha confessato al settimanale «Die Zeit»: «Avrei preferito vivere nel XVII secolo, quello del barocco»
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