PAVESE vorrei la pelle nera

PAVESE vorrei la pelle nera La recensione al romanzo americano «Ragazzo negro» "dimenticata" dal corpus dello scrittore PAVESE vorrei la pelle nera Cesare Pavese IL nuovo libro che Einaudi pubblica, Ragazzo Negro, di Richard Wright, è forse la prima voce negra che ci giunge dall'America con un serio messaggio umano, liberata finalmente da ogni esotica compiacenza coloristica. I primi a interessarsi della singolarità di questo popolo accampato in mezzo alla civiltà nordamericana erano stati, si capisce, i bianchi, che si fermarono - com'era naturale - a quanto di più vistoso e insolito la razza presentava, e nel gusto improvviso per la «negreria» diedero la preferenza al colore, alla barbarie, ai residui di primitivismo, che più li colpirono. Quello che accadde, insomma, nei secoli andati, quando la civiltà europea entrò in contatto con l'antica Cina o l'India, o la Polinesia. Ma stavolta - al principio di questo secolo - l'errore è più grave. Non si trattava in questo caso di una diversa civiltà, di forestiere istituzioni e parole. Nel corso del Sette e Ottocento i negri, schiavi, erano stati inseriti nella vita sociale americana, e con la liberazione del 1865 indirizzati, sia pure approssimativamente e tra gravi contrasti, a uniformarsi con questo mondo. Ne era uscito un tipo, semi-cittadino, operaio agricolo o industriale, che negro non era più e uomo moderno nemmeno. Il suo primitivismo aveva perduto ogni concreta istituzione e diventò semplicemente ottusità, testardaggine o sofferenza. Gli sfoghi - musicali, poetici, pratici che i negri americani trovarono furono sempre qualcosa di molto spurio e in genere un ambiguo riflesso delle parallele attività dei bianchi. Questi, quando - negli anni dopo la guerra mondiale - si accorsero della informe vitalità che fer¬ mentava nel Sud - «scoprirono» ciò che in quei conati era diverso, bizzarro, spettacolare e crearono cosi il tipo del negro canterino o buffone, buon servitore o delinquente egregio, bestione nostalgico e primordiale, che tutti conosciamo. Molti negri, va detto, accettarono nel loro sforzo per darsi uno stato sociale queste sofisticate approssimazioni e le autorizzarono come si mette una maschera. Ora, il dramma dei negri degli Stati Uniti è più semplice e più tagliente. Nascono in un mondo che di loro vuol sapere soltanto fino al punto che se ne può servire, e intende servirsene per i lavori più umili e sacrificati. Non sono cattivi i bianchi, ma sono i padroni. 11 buon negro deve imparare al più presto a conoscere il suo posto, la sua sfera di sfacchinaggio e di buffoneria, e limitarcisi di buon union!. Se qualcuno vuole uscirne - se qualche «ragazzo negro» intende capirli, i suoi bianchi, intende gareggiare con loro, aspirare alla loro cultura e alla loro attività, dimenticando la sua pelle scura - allora viene la sanzione; la durezza, l'ostracismo, la morte. Questo il vero «terrore» in cui vivono i negri, la loro atmosfera quotidiana, e non c'è nulla in essa dei sognati ti primitivi terrori della giungla pagana. La storia di ogni negro abbastanza intelligente e cosciente da contare qualcosa ai suoi occhi, è oggi questa. lì' la storia che il protagonista di Ragazzo negro racconta di sé, in una precisa e drammatica autobiografia che da cima a fondo rende il sapore della genuinità del sangue autentico. A quanti vogliono rendersi conto del massimo problema degli Stati Uniti, e insieme far conoscenza di un vivo narratore americano, non si può raccomandare altra lettura. Un inedito? Non proprio, ma un caso letterario si, perchè la recensione di Cesare Pavese a Ragazzo negro di Richard Wright usci il 1 maggio del 1947 sulla Gazzetta di Parma ma non compare in nessun corpus delle opere pavesiane. A riproporre il testo, che pubblichiamo, sarà nel prossimo numero il quadrimestrale parmense di letteratura Palazzo Sanvitale diretto da Guido Conti. La preziosità della riscoperta sta proprio nel fatto che la recensione a un testo importante come quello di Wright sia stata «dimenticata» dai vari curatori delle opere dello scrittore piemontese. Scrittore che, a quasi cinquant'anni dal suicidio, suscita ancora un vivo interesse. Tanto che l'Osservatore Romano, tradizionalemente critico in passato con Pavese per la sua militanza politica di sinistra e il laicismo professato pubblicamente, ne rivaluta oggi la figura: «al di sotto del laicismo - scrive il quotidiano della Santa Sede - c'era un'intima spiritualità». Cesare Pavese in una celebre fotografia di Ghitta Carell. A lato la copertina della prima edizione del libro di Wright

Luoghi citati: America, Cina, India, Stati Uniti