De Mita: il Ppi riparta dal dialogo con Prodi di Fabio Martini

De Mita: il Ppi riparta dal dialogo con Prodi L'EX LEADER DC «SI COMINCI RACCORDANDO I GRUPPI PARLAMENTARI» De Mita: il Ppi riparta dal dialogo con Prodi intervista Fabio Martini inviato a MARBELLA ALL'HOTEL Don Carlos, il grattacielo della Costa del Sol dove il Ppe tiene il suo conclave, l'europarlamentare Ciriaco De Mita arriva di buona mattina, si mette la cuffietta per le traduzioni e ascolta pazientemente gli interventi. Ma a fine mattinata accetta di raccontare il suo recente colloquio con Romano Prodi, spiega dove può portare il disgelo con l'Asinelio, rivela che si sta lavorando all'ipotesi di una federazione dei gruppi parlamentari non diessini. Negli ultimi anni lei ha avuto parole molto severe per Prodi: era molto tempo che non vi parlavate? «Per la verità con Prodi non parlavo da prima delle elezioni. Ma ci riparleremo e se è per questo, credo che presto ci vedremo». Da qualche giorno, nel Ppi, si è aperta una specie di corsa a chi apre per primo a Prodi... «Ma guardi che l'idea di trovare una forma più consistente di rappresentanza all'area non di sinistra della maggioranza è un problema oggettivo e non recente. Su come risolverlo non ci sono ancora idee convincenti, anche se parlando con Prodi e anche con altri, si coglie una certa disponibilità a costruire». Ma allora e vero che c'è un patto tra lei e Prodi? «Ho sentito questa storia. Ma io di patti non ne ho mai fatti. Diverso se parliamo di una riflessione politica». E allora proviamo a capire come si stanno muovendo i registi della riconciliazione. «Vede, la difficoltà che veniva dal mondo di Prodi, non da lui, era questa idea bipartitica ancor più che bipolare. Io stesso avevo detto che questa idea era al limite della follia. Sia chiaro, non la follia di un matto, una follia visionaria...». Come dire che c'è del metodo nella «follia» ulivista? «In qualche modo c'è lo sforzo, di prevedere un futuro. Anche se il risultato delle elezioni Europee ha allontanato quella prospettiva». Nei colloqui informali che lei ha avuto con Prodi e con gli altri maggiorenti dell'area non diessina, cosa è venuto fuori? «Si sta ragionando se non sia utile un processo che, da una parte faccia maturare una convinzione comune nell'area che è uscita frantumata dalle elezioni e dall'altra dia vita a strumenti operativi immediati». Tipo? «Si può cominciare, raccordando i gruppi parlamentari. Perché se c'è un'idea da far valere, lo strumento parlamentare e importante». Potrebbe essere Enrico Letta il segretario di un Ppi che guarda a Prodi? «Ho letto che io avrei candidato Letta a Paestum. Non è così. Prima dei segretari, bisogna scegliere una linea». Alcuni mesi prima delle elezioni è vero che lei, privatamente, fece una proposta a Prodi? Di cosa si trattava? «E' vero. Ci parlammo e io gli dissi: prendi tu le redini, guida tu una lista di tutto il mondo popolare e in Europa arriverai con una forza maggiore. Fu dato mandato a Marmi di verificare la fattibilità dell'operazione, ma poi Prodi fece sapere gliato tu». Ma intanto l'Asinelio manda segnali equivoci: un giorno Prodi dice che bisogna mettere assieme tutte le forze non di sinistra, l'indomani precisa e l'indomani uno dei suoi indica una terza via... «Non mi sembra che noi Democratici ci sia un'idea unificante attorno ad un progetto politico». Un problema non da poco, non le pare? «Non credo di esagerare o di cogliere solo alcuni aspetti negativi se prendo atto che la convivenza tra Prodi, Di Pietro, Cacciari, Rutelli non produce un'idea univoca. Ma la politica è questo: un'idea, una suggestione, una spiegazione persuasiva». I notabili dell'Asinelio da cosa sono divisi? «A me sembra che la somma di ambizioni anche nobili, non possa costituire il motore di un progetto». Lei, parlando con Prodi, ha capito che tipo di rapporto esiste tra lui e Di Pietro? «Posso soltanto fare delle congetture e pensare che Prodi immaginasse Di Fietro come un rischio controllabile. Ma io a Prodi ho sempre detto: guarda che Di Pietro lo "controlli" quando c'è da scrivere insieme un documento, ma se c'è la guerra in Kosovo e a lui gli viene di fare una dichiarazione, difficile fermarlo». In un'eventuale casa comune tra Ppi e Asinelio non scoppierebbe una «guerra di religione»? «Tra laici e cattolici? Ma questa mi sembra davvero una falsa questione. 1 popolari questo problema l'hanno risolto all'origine: non hanno fatto un partito cattolico». In vista del consiglio nazionale, nel Ppi il vero discrimine sembra uno solo: cambiare il segretario subito o al congresso? «A me la fretta non mi convince. Starei un po' più attento a vedere come matura il dibattito tra noi. Anche se comprendo che il dilemma precipitazionerassegnazione è una miscela esplosiva». Ha visto? E' tornato sulla scena anche Mino Martinazzoli... «Lui non ha mai fatto una battaglia a rischio, ha sempre fatto le battaglie che aveva già vinto. Ma con lui abbiamo recuperato un buon rapporto, quando parliamo ci capiamo al volo». E le pare che i vostri successori siano all'altezza dei "padri"? «Una classe dirigente emerge, non si compra alla Standa». «Cambiare subito il segretario? La fretta non mi convince. E ricordiamo che una classe dirigente emerge, non si compra alla Standa» «Prima del voto gli dissi "guida una lista del mondo ppi e in Europa arriverai con una forza maggiore" Ma lui non accettò» che non se ne faceva nulla. A me disse: probabilmente perdiamo qualcosa nell'immediato pero guadagniamo in prospettiva, Di recente mi ha detto: forse abbiamo sbagliato. E io ho obiettato: forse hai sba-

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