HEMINGWAY Vero all'alba

HEMINGWAY Vero all'alba Pubblichiamo in esclusiva per l'Italia una parte del romanzo sconosciuto dell'autore di «Fiesta» HEMINGWAY Vero all'alba IN esclusiva per l'Italia pubblichiamo una parte di Vero all'alba, il romanzo ritrovato di Ernest Hemingway, che Mondadori manderà in libreria domani. Scritto tra il 1954 e il 1956, custodito nell'archivio delle opere non consultabili della Kennedy Library di Boston, Vero all'alba è stato recuperato dal figlio di «Papa», Patrick, che ne ha curato personalmente l'edizione. E' un'opera che s'inserisce nel filone africano di Verdi colline d'Africa e delle JVevi del KiVmangiaro. Comincia quando il leggendario cacciatore Pop è costretto a partire, lasciando «Papa» responsabile del campo. E' un momento di tensione. Il gruppo potrebbe essere attaccato da una tribù ostile. Eppure nel campo la vita scorre normale, fra le battute di caccia e le insistenze di Miss Mary, moglie di Hemingway, che vuole a tutti i costi uccidere un leone. Ma c'è un'altra donna, una giovane wakamba che vive alle pendici del Kilimangiaro e pensa di poter diventare la seconda moglie di «Papa», senza che questi la disilluda. Grandi battute di caccia, le memorie di Parigi, la Spagna delle corride... Nell'intreccio di tutte queste vicende, Vero all'alba sembra tratteggiare la sintesi di una carriera, o, come pure è stato detto, un autoritratto. Ernest Hemingway RA una bella mattinata limpida, mentre attraversavo la pianura con alle spalle la Montagna e gli alberi dell'accampamento. Sull'erba verde davanti a noi c'erano numerose gazzétte di Thbnjjscn, che brucavano sventagliando la coda. C'erano anche branchi di gnu e di gazzelle di Grant che si nutrivano vicino alle macchie di cespugli. Raggiungemmo la pista di decollo che avevamo costruito sujuna larga radura aperta andando su giù con la macchina e il camion sulla corta erba nuova e strappando i rami spezzati e sradicando i folti cespugli a un'estremità. L'alto palo ricavato da un giovane albero era inclinato per le violente raffiche d'aria della notte precedente e la manica a vento, ricavata da un sacco di farina, pendeva molle. Fermammo la macchina io andai a tastare il palo. Malgrado l'inclinazione era solido, e la manica avrebbe ricominciato a svolazzare non appena si fosse alzata la brezza. Nel cielo correvano le nuvole ed era bello guardare la Montagna, che oltre il verde della radura sembrava ampia, immensa. «Vuoi scattare qualche foto della Montagna o della pista?» chiesi a mia moglie. «Certe mattine sono perfino più belle di oggi. Andiamo a guardare i licaoni e a cercare il leone». «Non sarà più fuori, ormai. E'troppo tardi». «Potrebbe esserci». E così proseguimmo, seguendo le vecchie impronte di pneumatici che conducevano alla pianura salina. Sulla sinistra si apriva uno spazio interrotto da una fila irregolare di grossi alberi dalle foglie verdi e dal tronco giallo che segnava i confini della foresta dove poteva esserci il branco di bufali. Lungo i margini, c'era l'alta erba arida e c'erano molti alberi caduti, tirati giù dagli elefanti o sradicati dai temporali. Di fronte avevamo la pianura ricoperta dal verde della corta erba nuova, e sulla destra radure irregolari interrotte da isole di folti cespugli verdi e qua e là alti alberi dalle cime piatte. Ovunque c'erano animali che mangiavano. Quando ci avvicinavamo si allontanavano, spostandosi a volte in veloci galoppi improvvisi, a volte in trotti regolari, a volte venendo a mangiare poco lontano dalla nostra macchina. Ma si fermavano sempre per riprendere a nutrirsi. Quando procedevamo a quel modo, con regolarità, o quando Miss Mary scattava qualche fotografia, non ci prestavano maggior attenzione di quanta ne prestassero al leone se non era m caccia. Si tenevano lontano da lui, ma senza averne paura. Mi sporgevo dalla macchina per cercare le tracce sulla strada, come faceva anche il mio portatore d'armi, Ngui, seduto dietro di me dalla parte esterna. Mthuka, al volante, osservava tutta la distesa davanti a noi e sui due, lati. Possedeva occhi acuti e veloci più di tutti noi. Aveva la faccia ascetica, minuta e intelligente, e sulle guance aveva incisi i tagli tribali a punta di lancia del Wakamba. Figlio di Mkola, era sordo « aveva un anno più di me. Non era maomettano, come suo padre. Amava la caccia ed era uno splendido autista. Non avrebbe mai fatto niente di sbadato o di irresponsabile, ma lui, Ngui e io eravamo considerati i tre poco ,di buono. Eravamo amici intimi da molto tempo e una volta gli avevo chiesto quando si era fatto i grandi tagli tribali che nessuno aveva. Quelli degli altri erano poco più che cicatrici a malapena visibili. Lui aveva riso, dicendo «A un grande Ngoma. Sai, per piacere a una ragazza». Ngui e Charo, il portatore d'armi di Miss Mary, erano scoppiati a ridere. Charo era maomettano sinceramente devoto, conosciuto per la sua sincerità. Naturalmente non sapeva quanti anni aveva, ma Pop pensava che avesse superato la settantina. Con il turbante in testa era più basso di Miss Mary di circa cinque centimetri e mentre li guardavo scrutare fianco a fianco oltre la pianura grigia i cobi che s'inoltravano cautamente nella foresta, controvento, con il grosso maschio dalle belle corna che scrutava indietro e attorno mentre entrava anche lui, chiudendo la fila, pensai che strana coppia dovevano sembrare agli animali Miss Mary e Charo. Nessuno di essi dava segno di aver paura dei due. Ci era capitato di verificarlo molte volte. Invece di temere la piccola bionda con la giacca verde foresta, e l'ancor più piccolo nero in giacca azzurra, gli animali sembravano solo interessati. Era come se gli fosse stato permesso di vedere un circo o quantomeno qualcosa di estremamente strano, e soprattutto le bestie feroci sembravano attratte da loro. Quella mattina eravamo tutti rilassati. Nella parte dell'Africa dov'eravamo, accadeva ogni giorno qualcosa, Qualcosa di orribile o qualcosa i meraviglioso. All'alba, quando ci svegliavamo, eravamo sempre eccitati, come se ci aspettasse una gara di discesa sugli sci o dovessimo guidare un bob a tutta velocità. Lo sapevamo, qualcosa doveva ac- «Qeravamosedi disceguidare u cadere, e di solito accadeva prima delle undici. In Africa, non una sola mattina mi era capitato di svegliarmi senza essere felice. Almeno finché non ricordavo le questioni lasciate in sospeso. E quella mattina, nella momentanea assenza di comando, eravamo rilassati in modo particolare e io ero felice percht! i bufali, che rappresentavano il nostro problema principale, dovevano evidentemente essere da qualche parte dove non potevamo raggiungerli. Per quello che speravamo di fare era necessario che fossero loro a venire da noi, e non noi da loro. «Come hai intenzione di procedere?». «Prendo la macchina e giro attorno al lago per controllare le tracce e poi entro nel tratto di foresta che costeggia la palude, controllo anche lì e torno fuori. Saremo controvento rispetto agli elefanti, e chissà che tu non li veda. Probabilmente no». «Possiamo tornare attraverso il territorio dei gerenuk?». «Naturalmente. Mi dispiace che ci siamo mossi tardi. Ma con Pop che se ne andava e il resto...». «Mi piacerebbe andare là dentro, in quel brutto posto. Per vedere che cosa riesco a trovare come albero di Natale. Pensi che il mio leone sia là?». «Probabilmente. Ma non riusciremo a vederlo, in quel tipo di territorio». «Che razza di bastardo di leone intelligente. Perché quella volta non mi hanno permesso di sparare allo splendido leone accucciato tranquillamente sotto l'albero. E' così che le donne sparano ai leoni». «E' così che sparano, e il più bel leone dalla criniera nera mai abbattuto da una donna aveva in corpo una quarantina di colpi. Poi le signore scattano le loro belle fotografie, dopodiché devono continuare a convivere con il maledetto leone e mentire su di lui con i loro amici e con se stesse per il resto della vita». «Mi dispiace di aver mancato quel magnifico leone, a Magadi». «Non dispiacerti. Devi esserne orgogliosa». «Non so che cosa mi ha resa così. Devo abbatterlo e dev'essere proprio quello». «Gli abbiamo dato troppo la caccia, tesoro. E' molto intelligente. Adesso dobbiamo fargli riacquistare la sicurezza e aspettare che commetta un errore». «Lui non commette errori. E' più intelligente di te e di Pop messi insieme». «Tesoro, Pop voleva che tu lo abbattessi o lo perdessi subito. Per fortuna ti vuole bene, se no tu avresti sparato a qualunque tipo di leone». «Non parliamo di lui» disse tu si subito e, ne» Miss Mary. «Voglio pensare all'albero di Natale. Avremo un Natale magnifico». Mthuka aveva spedito Ngui giù alla pista a prendere la macchina. Salimmo a bordo e io feci cenno a Mthuka di andare verso la lingua d'acqua all'estremità della palude. Io e Ngui ci sporgevamo dai due lati per controllare le tracce sul terre no. Dalla palude dei papiri anda vano e venivano vecchi segni di pneumatici e orme di animali C'erano anche tracce di gnu e tracce di zebre e di gazzelle di Thomson. La strada descrisse una cur va e ci trovammo più vicini alla foresta e poi vedemmo le orme di un uomo. Poi di un altro uomo che portava gli stivali. Su queste tracce era piovuto leggermente e io pensai di far fermare la macchina per controllare a piedi. «Tu e io» dissi a Ngui. «Sì» sorrise. «Uno ha piedi CONTINUA A PAGINA 22 PRIMA COLONNA «Quando ci svegliavamo, eravamo sempre eccitati, come se ci aspettasse una gara di discesa sugli sci o dovessimo guidare un bob a tutta velocità» «Tesoro, Pop voleva che tu lo abbattessi o lo perdessi subito Perfortuna ti vuole bene, se no tu avresti sparato a qualunque tipo dì leone» Ernest Hemingway nel 1953 accanto a un leopardo ucciso. La foto fa parte di una «mostra del centenario» che si inaugurerà a Washington il 7 novembre

Luoghi citati: Africa, Boston, Italia, Parigi, Spagna, Washington