Da Baldovino la Evita, quasi un obbligo per papi e re di Marco Belpoliti

Da Baldovino la Evita, quasi un obbligo per papi e re A inventare la «moda» furono i faraoni Da Baldovino la Evita, quasi un obbligo per papi e re Marco Belpoliti aldovino I, re di Gerusalemme, si sente morire. Si trova in Egito in mezzo agli infedeli ed è l'an | no 1118 dell'era cristiana. Fa chiamare il suo cuoco e con grande sangue freddo gli insegna le tecniche per conservare e rendere trasportabile il suo cadavere. Il fido cuciniere esegue alla lettera le istruzioni: lo eviscera, lo sala dentro e fuori, lo imbottisce di aromi e lo avvolge in una pelle di bue, poi in un tappeto. Vent'anni più tardi tocca a Enrico I d'Inghilterra, ma qui il salatore è un macellaio. Trascorrono altri trecento anni, papa Alessandro V muore a Bologna. Il suo corpo è imbalsamato da un anatomista locale: il successo dell'operazione è tale che il papa resta visibile otto giorni a viso scoperto. La discussione sulle tecniche per imbalsamare re, papi e principi è tale che alla fine del Cinquecento il chirurgo dei re di Francia sostiene di essere l'unico capace di evitare la putrefazione del cadavere. Segue le tecniche dell'antico Egitto che comandano la «salamoia» del corpo per settanta giorni. La prova? A casa, per studio, tiene il cadavere di un giustiziato, da ventisette anni. Giovanni Ricci, storico dell'Università di Ferrara, ha raccontato queste e altre storie di conservazione dei corpi regali in un libro (Il principe e la morte, il Mulino) imperniato su una vicenda funebre del 1559, il funerale del duca Ercole II d'Este morto all'improvviso. Sepolto il cadavere senza cerimonie, due mesi dopo si celebrano solenni riti alla statua che ne riprende le fattezze. Ricci ha ripercorso la letteratura che si occupa dell'imbalsamazione e dell'estrazione del cuore dei re, per cercare le ragioni di un culto politico. Così facendo espone un'ampia serie di vicende che si apparentano con quelle, all'apparenza para- dossali, narrate da Il'ja zbarskij riguardo alla mummia di Lenin. Marat, l'amico del popolo, è imbalsamato subito dopo il suo assassinio, mentre il corpo deviscerato dell'esploratore Davide Livingstone è trasportato dall'Africa all'abbazia di West min ster. Più vicina a noi è la vicenda del corpo mummificato di Evita l'eron, anzi dei suoi diversi corpi che girano il mondo, come racconta in un romanzo Tamàs Eloy Martìnez [Santa Evita, Guancia). Scrive Ricci che «come ogni prodotto della cultura umana, la politica è incapace di sciogliere i misteri della vita e della morte», ma forse non desidera neppure farlo. Più semplicemente, come nel caso della con¬ servazione del corpo di Lenin inventata da Stalin «è la vita che assedia senza posa la morte». L'idea di sacralizzare il comunismo ripercorre antiche vicende della stòria umana, discusse in un libro decisamente geniale dello storico Ernst Kantarowicz (I due corpi del re, Einaudi) nel passaggio dal Medioevo all'epoca moderna: il corpo naturale, destinato alla morte, e quello immortale, la regalità stessa, che si trasmette al successore: «Il Re è morto. Viva il Re!». Stalin voleva forse costruire attraverso la mummia di Lenin un potere sacrale di cui divenire il sommo sacerdote? O solo compiere un favorevole scambio tra ideologia e fisiologia? Nel suo libro Ricci ipotizza, esaminando il caso del Duca d'Este, che i confini tra «arcaico» e «moderno» siano più labili di quello che pensiamo. Forse dietro alla decisione di Stalin non c'era solo il desiderio di perpetuare un culto, ma anche quello di controllare saldamente il canale di comunicazione tra vivi e morti: il mausoleo come tribuna, il sepolcreto come altare per la gerarchia dello stato socialista. L'ex seminarista sapeva che i morti ritornano, anche sotto forma di doppi, e una semplice sepoltura di Lenin - sia pure molto onorata - non bastava. Nella storia dell'Europa esiste una vera e propria geografia delle salme che si fonda sulla sepoltura differenziata di tre o quattro elementi: testa, cuore, viscere, scheletro. Se dal 1618 al 1878 i corpi degli Asburgo riposano nella celebre Cripta dei Capuccini, che dà il titolo al romanzo di Joseph Roth, i loro cuori si trovano in cinquanlaquattro boccali d'argento nella Cripta degli Agostiniani, mentre le viscere riposano nel Duomo di Santo Stefano. Tutto sommato la conservazione della mummia del capo dei bolscevichi è meno truculenta della polverizzazione dei cuori dei re di Francia ad opera dei rivoluzionari. Di certo l'elaborata sepoltura dei corpi dei Potenti o la loro conservazione nel tempo fa emergere sedimenti culturali profondi ed evidenzia aspetti della psicologia collettiva che la morte degli uomini comuni maschera con più disinvoltura. Un culto legato alla sacralità del potere che ha assunto spesso risvolti paradossali Qui accanto Evita Peron, la storia della conservazione della sua salma ha avuto risvolti rocamboleschi. A sinistra Marat, anche il corpo dell'eroe della Rivoluzione francese fu imbalsamato

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