Un americano che ama.»
Un americano che ama.» Un americano che ama.» N IELL'ESTATE del 1956 partecipai a Bruxelles e Anversa a un seminario organizzato dalla Belgian American Educational Foundation. Tra i colleghi italiani c'erano Piero Torriti (che poi divenne direttore della Pinacoteca Nazionale di Siena) e Angiola Maria Romanini (che inseguito ebbe la cattedra di Arte medioevale all'Università di Roma). Alla conclusione del seminario presi il treno per Torino, dove progettavo di vedere, in pochi giorni, quanto più possibile di Guarini, Juvarra e Vittone. Mi ero già convinto, dopo due seminari estivi all'Università di Harvard con Rudolf Wittkower, l'eccelso specialista di barocco italiano, che dovevo lavorare sul Guarini. La visita fu assai più che una conferma del consiglio di Wittkower. Nel 1957-58 una borsa di studio Fulbright mi consenti di passare un intero anno accademico a Torino e in Piemonte. Prendemmo un appartamento in via Francesco Lanfranchi, dietro la Gran Madre. Era un periodo di grande attività architettonica, con la Bottega d'Erasmo di Roberto Gabetti, una delle più interessanti proposte della nuova architettura. Fu un anno di arricchimento, che trascorsi per lo più tra l'Archivio di Stato, Sezioni Riunite, in via Santa Chiara d'ex ospedale San Luigi), il Museo civico di Palazzo Madama (per i disegni), la Biblioteca nazionale, la Biblioteca civica e visitando gli edifici a Torino e in Piemonte. In quell'anno incontrai Andreina Griseri (che mi presentò all'architetto romano Paolo Portoghesi, il quale aveva scritto un libro sul Guarini e lavorava su Vittone), Mario Pas¬ santi, anche lui occupato con il Guarini, Vittorio Viale, che con grande generosità mi offrì allora, e continuò anche negli anni successivi, informazioni e accesso ai materiali, Luigi Malie, Paolo Verzone e Augusto Cavallari-Murat. Anche lo storico britannico Stuart Woolf quell'anno era a Torino intento a scrivere di storia economica e degli archivi delle famiglie piemontesi. Mi presentò a Francis Haskell, anche lui a Torino dove raccoglieva materiale per il suo «Patrons and Painters» (Mecenati e pittori). Fu proprio Woolf a introdurmi agli scritti di Danilo Dolci, Primo Levi e Natalia Ginsburg, così come ad altri scrittori piemontesi. L'anno si concluse con un seminario di tre settimane nel mese di luglio, condotto da Rudolf Wittkower. La Dogana Vecchia era il centro di tutti noi che vi partecipammo. Eravamo in sette, compreso Richard Pommer, che più tardi scrisse un volume sull'architettura piemontese dalla struttura aperta, e Leo Steinberg, che all'epoca scriveva sul San Carlino del Borromini. In vari momenti, Andreina Griseri, Vittoria Maccagatta, Mario Passanti e Cavallan-Murat si unirono al gruppo. Il seminario visitò 47 luoghi fuori Torino e 29 edifici in città. Fu una delle più ricche esperienze che un giovane studente possa immaginare. Nel corso di quel seminario, Wittkower mi presentò Marziano Bernardi, di cui conoscevo e ammiravo il lavoro, ma che non avevo ancora incontrato. Poi trascorsi altri due anni all'Accademia Americana di Roma, con frequenti visite a Torino, e mi dedicai a una dissertazione, originariamente su Palaz-
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