FANTASCIENZA
FANTASCIENZAE' mai esistita la fantascienza in Italia? Di solito la risposta che viene data è negativa: la cultura italiana ha una tradizione realistica, quando diventa surreale si dirige comunque verso la metafora nei confronti dei costumi o della politica, se si vuole vedere qualcosa che parli di mondi futuri bisogna andare in America, perché quella società per noi e già fantascienza. Insomma, tanti luoghi comuni. Gli stessi luoghi comuni che hanno per anni accompagnato scrittori o registi che proprio di fantascienza volevano occuparsi: dando per scontato che il successo commerciale sarebbe stato molto ridotto, si sono sempre trovati di fronte editori e produttori che erano disposti solo a investire cifre minime. E così i romanzi uscivano in collane strapopolari e a basso costo, mentre per i film bisognava arrangiarsi con il poco che c'era. In questa situazione nel 1964 un regista poco noto, Ubaldo Ragona cercò un finanziatore italiano per realizzare un film tratto da un romanzo di un grande autore di fantascienza quale è Richard Matheson. Ragona portava in dote un coproduttore americano (l'AIP, all'epoca molto attiva nel produrre gli horror di Roger Corman) e un grande attore che con grande divertimento si prestava ad interpretare quei film, e cioè Vincent Price): sulla carta, l'operazione non sembrava quindi particolarmente rischiosa. Ma ciononostante nessuno si dimostrò interessato al progetto: la risposta era sempre improntata da scetticismo, in Italia non ci sono scenari adatti per quel tipo di film, il pubblico va a vedere la fantascienza solo se è americana, e così via. Ragona però si incaponì e girò lo stesso il film. Non aveva soldi per le scenografie e scelse il posto più surreale mai pensato da un architetto italiano fino a quell'epoca, e cioè il quartiere romano dell'EUR. Siccome il romanzo (intitolato «I am Legend», io sono una leggenda) era ambientato in futuro post disastro atomico, con feroci sopravvissuti zombie che si muovono solo di notte e vogliono uccidere l'ultimo uomo sopravvissuto (e il film si intitola appunto «L'ultimo uomo sulla terra»), Ragona ebbe cura di girare nel quartiere ispirato da De Chirico solo nottetempo, quando l'aspetto surreale della zona era accentuato dalle tenebre: quanto alle scenografie, visto che non c'erano i soldi per ricostruire alcunché, Ragona ritenne sufficienti un paio di macchine incendiate e qua e là qualche copertone che fumava lentamente. Il film, così povero e scassato, non ebbe grande successo e a .lungo fu ritenuto perduto («Chi 1 ha visto»?, scriveva Goffredo Fofi nella sua «Storia del cinema di fantascienza»): oggi Baldo Vallerò, responsabile della programmazione del Massimo, lo fa uscire dagli archivi e lo presenta lunedì 5 luglio al Massimo 3, per la gioia dei cinefili che sicuramente riconosceranno nello zombie cattivissimo Giacomo Rossi Stuart, papà del bel Kiin. Stefano Della Casa
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