Nei gulag di Kolyma abominio senza redenzione

Nei gulag di Kolyma abominio senza redenzione Nei gulag di Kolyma abominio senza redenzione IL fatto fondamentale è la corruzione della mente o del cuore, quando l'enorme maggioranza delle persone si persuade di giorno in giorno, in modo sempre più netto, che si può vivere senza carne, senza zucchero, senza vestiti, senza scarpe, ma anche senza onore, senza coscienza, senza amore, senza dovere, Tutto viene messo a nudo, ma l'ultimo denudamento è terribile»: così scriveva Varlam Salamov a Boris Pasternak l'ii gennaio 1956, e così vanno letti i suoi «Racconti di Kolyma», una parabola dell'abominio senza epica e senza redenzione. «Un senso di penetrante compiutezza» - scrive Irina Sirotinskaja nella prefazione - «che con difficoltà si apre la strada verso il pensiero, verso il linguaggio, qualcosa che è appena traducibile in parole»: un «consummatum est» nell'apatia del mondo. £ perciò nessun riscatto nella scrittura, verso il tragico, il sublime, il redento nella memoria: «A volo radente / giro attorno alla terra» detta una dello sue ultime poesie. Neppure la memoria vediamo bene oggi nello «riscriti.uro» filmiche a lieto fine dei Lager - si preserva; il linaio amaro di uno dei Racconti ammonisce: «C'è un racconto di Anatole Franco intitolato II procuratore della Giudea. In quel racconto Ponzio Pilato dopo diciassette anni non riesce più a ricordarsi di Cristo». L'uomo non può ricomporre la libertà di coscienza, quando tutto viene gettato, corpo, anima, sentimenti, educazione, su piani diversi, sparso su varie superfici che obbediscono a controlli terribili, blandi, pigri, derisori, nauseanti, Ciò che più colpisce, ed è la Grandezza asciutta e terribile ella prosa di Salamov, è la lenta decomposiziono della coscienza di sé: «La questione del pudore, ad esempio. [...IPersone la cui vita è distrutta, il cui futuro e passato sono stati calpestati, di punto in bianco si trovano in balia di qualche futile pregiudizio, di una fola qualsiasi che, chissà come, non sono in grado di superare, di respingere. 1...1A1l'ospedale ci fu il caso di un infermiere (.„] al quale avevano ordinato di radere le detenute di un gruppo in trasferimento. Per divertirsi un po', le autorità ordinavano talvolta che fossero delle donne a radere gli uomini c degli uomini le donne. Ognuno si eli - verte come; ••■ può. Quando si trovo in presenza del la prima cliente, l'improvviso tonsuro supplicò la donna di voler eseguire essa stessa quella cerimonia di normale profilassi, e non gli passò neppure per la testa T'idea che era la vita stessa ad essere ormai perduta, che tutti quegli spassi dei capoccia del lager erano sono la schiumatura sporca di un paiolo in ebollizione dove cuoceva a morte la sua stessa vita» («I lebbrosi»). Ed il racconto intreccia il «non senso» da una parte e dall'altra dei l'orzati di Kolyma: spesso mantenendo, sino al grottesco, la prospettiva dei «detentori della razionalità» del cam- RECENCaOsL'EDIZIONE INTEGRALE DEI «RACDEGLI ORRORI COMPIUTI IN NODI CORPI E ANIME VITTIME DI Upo: «C'erano dei malati con delle contratture - simulate - del ginocchio oppure del gomito ai quali le articolazioni venivano raddrizzato a viva forza sotto anestesia. Ma accadde in un paio di casi almeno con le contratture, le saldature patologiche fossero reali, e il medico, cui la prospettiva di smascherare un simulatore moltiplicava le forze, lacerasse tessuti vivi nel tentativo di raddrizzare un ginocchio. Neanche si immaginava di essere così forte, avrebbe poi raccontato»(«L'accettazione»). Lo stillicidio del male, non nei suoi punti estremi: condanna, agonia, morte, ma nel suo quotidiano insinuarsi, nel suo incessante rumorìo di fondo, nel cigolio di una tortura mai perfetta, SIONE o la sempre attiva e mai esausta: «In questa baracca i tavolacci a • due piani erano sospesi, assicurati a cavi metallici. I detenuti pendevano a grappolo, a gruppi di quattro, come marinai nelle stive. [...] Questo faceva si che al più piccolo movimento, anche di un solo inquilino della baracca, tutti i tavolacci cominciassero a dondolare contemporaneamento. E poiché a muoversi erano sempre diverse persone insieme, i tavolacci sospesi erano in continuo movimento e cigolavano, cigolavano, non molto forte ma distintamente. L'oscillazione e il cigolio non cessavano un solo istante nel corso delle ventiquattr'ore. Solo CONTI» DI SALAMOV, MEMORIA E DEL COMUNISMO: L'AGONÌA A TRAGICA «RIEDUCAZIONE» durante gli appelli serali i tavolacci mobili si fermavano, come un pendolo stanco, e tacevano» («L'eco delle montagne»). «E presto inizio l'epidemia della «perekovka», la rieducazione: di questo insaziato ricominciamento di pena - che è il più acuto e doloroso leitmotiv di Salamov - fu attento testimone proprio Primo Levi che nella sua recensione «Dai Lager di Stalin» (Tuttolibri, 25 settembre 1976), in questi giorni spesso a sproposito rievocata nella speditiva gazzarra che ha preceduto l'uscita dei Racconti nei «Millenni», osservava: «Da ogni pagina appare evidente come il lavoro coatto, le condanne arbitrarie e decenni di deportazione, la lacerazione delle famiglie, non siano inciden- ti marginali, non una frangia numericamente esigua entro la Russia di Stalin: da esse non si può prescindere, hanno definito un'epoca e prostrato una generazione, sono state di modello (perfettibile come tutti i modelli) a tutti i regimi concentrazionari successivi, e stendono la loro ombra, purtroppo, su tutte le carenze, le incertezze, le inerzie e i silenzi dell'Unione Sovietica di oggi. Duole dirlo, e non è una scoperta: il terrore e l'isolazionismo staliniani trasmettono la loro infezione paralizzante anche ai loro testimoni ed ai loro contestatori». Lungi dal ridurre la portata dei Gulag staliniani o dal soffermarsi sulla «debolezza» di Salamov, Primo Levi concludeva: «questa debolezza [...) dimostra come mezzo secolo di disinformazione forzata possa snervare un'opposizione più del ben più feroce ed efficace terrore hitleriano, che non aveva avuto né il tempo né il modo di recidere i vincoli culturali secolari che legavano la Germania col resto dell'Europa» (ora in «Opere», Einaudi, 1997, voi. I, pp. 1199-1201). Questi «Racconti di Kolyma» testimoniano di chi «ha avuto il tempo c il modo» per «degradare» senza fine: per questo, in un moto biblico di estrema disperazione, Primo Levi - quasi invocasse alla sua coscienza, alla sua memoria: «averte ostuum» s'aggrappa a coloro che «oggi denunciano i delitti compiuti in Asia e in Africa dalla civiltà occidentale», perché non venga meno, mai, r«istanza del testimone». Ma è la più smarrita desolazione, quella che non solo vede incancellabile ma «sempre ricorrente» quell'unico principio di realtà: lo sterminio, come in termini analoghi evoca Elie Wiesel: «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata» («La notte»). Bene a proposito, dunque, l'Einaudi pubblica nella loro interezza i «Racconti di Kolyma», e mi auguro che siano letti da capo a fondo nelle loro 1300 pagine: perché il processo che dovrà essere istruito sul secolo che finisce convochi tutti i testimoni, e con Salamov e Pasternak e Solzenicyn siano ascoltati e riletti anche «Buio a mezzogiorno» di Koestler (che è già del 1940) e «1984» di Orwell (che è del 1949), non meno che tutti i testimoni di Auschwitz e di Buchenwald, da Levi a Jorge Semprùn, «La scrittura o la vita». Perché il secolo è stato breve, ma infiniti gli orrori: e molti testimoni devono ancora deporre. L'EDIZIONE INTEGRALE DEI «RACCONTI» DI SALAMOV, MEMORIA DEGLI ORRORI COMPIUTI IN NOME DEL COMUNISMO: L'AGONÌA DI CORPI E ANIME VITTIME DI UNA TRAGICA «RIEDUCAZIONE» RECENSIONE Carlo Ossola Un autore da leggere insieme con Koestler e Orwell, Semprùn e Primo Levi che nel 1976 su «Tuttolibri» definiva i lager di Stalin un modello per tutti i regimi concentrazionari, tragedia che infettò i suoi stessi oppositori I gulag di Kolyma: una parabola dell'abominio senza epica e senza redenzione. I racconti di Salamov testimoniano di chi «ha avuto il tempo e il modo» di degradare senza fine Varlam Salamov I racconti di Kolyma acura di IP. Sirotinskaja, trad. diS. Rapetti, Einaudi, pp. 1314, L. 140.000. TESTIMONIANZA

Luoghi citati: Africa, Asia, Europa, Germania, Russia, Unione Sovietica