I leghisti: né a destra né a sinistra

I leghisti: né a destra né a sinistra IL POPOLO DEL CARROCCIO RIFIUTA L'AUTOCRITICA I leghisti: né a destra né a sinistra Ma Bossi sta pensando alle «alleanze strategiche» reportage Fabio Polettl MILANO SOGNAVANO di essere l'ago della bilancia e si sono persi nel pagliaio elettorale. Avrebbero tutte le ragioni per piangere e invece sono pronti a far festa. Eccoli qui, i leghisti inossidabili, i militanti e i simpatizzanti, lo zoccolo duro che sfida anche le zanzare per questa tre giorni sul doppio prato della cascina Anna, Milano Bruzzano, così in cima alla città che più a Nord non si può. «Noi non abbiamo perso le elezioni, sono stati i lombardi ad aver mancato un'occasione», giura l'Osanna - e non chiamatela con la erre iniziale - seduta davanti al banchetto delle donne padane dove tra mille gadget vendono anche la foto dell'Umberto incorniciata nella radica. «Quelli che poniamo noi sono problemi politici ed economici, quelli che toccano il portafoglio della gente. Smettiamola di dire che siamo solo contro i terroni, non facciamone un problema etnico», assicura Silvia, occhialoni neri, dirigente d'azienda e camicia verde d'ordinanza. Davanti all'arena di pietra - «Ristrutturata da Formentini quando ora sindaco, sa», racconta l'Osanna - si consuma l'ennesimo rito. Sotto ai gazebo ci sono le damigiane del vino di San Colombano, le salamoile e tutto il resto. Sul palco, dopo i Cantamilano, la Musical Center Orchestra e il Teatro Sdea che propone addirittura George Feydeau, sabato sera arriverà il segretario. A spiegare ancora una volta dove hanno sbagliato, dove bisogna andare, come fare a ripartire. «Partiamo da qui, dalle nostre idee», giura Ettore Palli, geologo, avanti e indietro lungo il sentierone di ghiaia che sbatte davanti a questa villa bianca a tre piani. «Sento parlare di alleanze strategiche, con la Sinistra o con la Destra. Ma qui c'ò solo il Nord contro il Sud. E noi siamo il Nord», dice. E allora deve essere questa l'identità padana, il cuore e il fegato di questo partito tradito dagli elettori, dalle strategie politiche ai ballottaggi, magari anche da qualche dirigente come Vito Gnutti - «Un grande uomo, sì», lo ricorda Silvia - che da quando ha sbattuto la porta ne parlan già tutti al passato. Massimiliano Orsatti come tutti quelli della sua età porta il cappellino con la visiera all'indietro. Dove al posto del nome di una squadra di basket spicca il sole celtico padano. E' l'unico, che fa autocritica convinto: «Abbiamo sbagliato noi, Non ci siamo spiegati abbastanza. Le nostre idee le conosco¬ no tutti, ma qualcuno pensava che i voti sarebbero arrivati da soli. Adesso il problema è non buttare questo milione e quattrocentomila di elettori». Domanda legittima in un partito che in soli dieci anni, dopo aver conquistato le Alpi si è fermato alla Pedemontana. E adesso non ha più nemmeno quella. Spazzato a Bergamo per un pugno di voti, cancellato o quasi nelle amministrazioni del Nord Est, ridimensionato in quelle del Nord Ovest. «Ma non ci sono solo le poltrone. E poi in certi posti, dove i sindaci non hanno pensato solo a fare della buona amministrazione, ma hanno guardato anche alla nostra identità, i risultati si sono visti», assicura lui che, dopo aver citato Alessandria, passa ai puntini sempre più piccoli sulla carta geografica, da Alassio a Jesolo, da Acqui Terme a Lazzate, giù giù fino a Broni, alla prima linea sempre più arretrata. «Nè con la Destra nè con la Sinistra. Vogliamo solo la secessione. E se quel nome non piace più, ci diano almeno l'autonomia, almeno un federalismo fortissimo», si accontenta la signora Mariella, che su quell'avverbio è pronta a sfidare tattiche e strategie politiche. «Per un futuro padano», dice, mentre racconta che a Milano tre bambini su quattro che nascono sono extracomunitari. «E glielo dico io che sono assistente sociale da trentacinque anni», spende il suo nome, la sua professione, la sua identità. Non c'è spazio, per i ripensamenti tra i gazebo della cascina Anna. Niente autocritica, forse anche poco realismo, considerando com'è finita, con il partito ripiegato, gli elettori che se ne sono andati, i dirigenti che litigano tra di loro e Umberto Bossi che è pronto ad andare con chiunque in cambio del Nord alle prossime regionali. Quasi un'utopia, per gli analisti della politica. Ma è un'illusione che diventa realtà, in questo angolo di Milano dove il ballo liscio si mescola con la politica. «Il fatto è che i lombardi ai sono addormentati perchè hanno anco¬ ra troppi soldi in tasca...», fa previsioni fosche l'Osanna. «Ma come fa la gente a non capire certe cose... Prendiamo la storia delle tasse. Noi lo diciamo da sempre che il Nord è strangolato. Poi lo dice Berlusconi e zac, si prende valanghe di voti. Ma si sa che dette da lui sono un'illusione», guarda al profondo della politica il geologo Palli, freddato - «Ma non negli ideali», precisa - dal risultato elettorale. Tutti dicono che bisogna pestare duro contro Roma e il Sud, che quei 60 italiani su 100 sono terra di conquista, che il partito può farcela ancora. Solo Silvia, si lascia prendere dal dubbio della sconfitta: «Ma perchè ce l'hanno tutti con noi?». «Noi non abbiamo perso queste elezioni ^ sono invece stati i lombardi ad aver mancato un'occasione» A sinistra il segretario della Lega Umberto Bossi: domani terrà a Milano il primo comizio dopo il ko elettorale amo zioni ^ stati aver one» A sinistra il segretario della Lega Umberto Bossi: domani terrà a Milano il primo comizio dopo il ko elettorale IL POPOLO DEL