emana di Giovanni Arpino
emana emana OSTERIE SCOMPARSE Un quartino, due colpi al biliardo o a chiacchierare sotto la topia TEMPO fa ho letto su tuia' rivista - scrìve Francesco Brunetti - un breve articolo di Giovanni Arpino dal titolo «Osterìe». E' stato come aprire un finestrino sulla soffitta ove ammuffiscono i miei ricordi. Le parole di Arpino mi hanno riportato alle osterìe che ho visto e frequentato nei miei anni giovanili e mi hanno ricordato quel curioso odore che le distingueva. Un misto di umidità e di chiuso, dovuto forse alla segatura che usavano per pulire i pavimenti, mescolato con l'odore del vino. Queste osterie hanno costellato importanti momenti della mia vita nei verdi anni. La prima di cui serbo un triste ricordi), fu quella situata in via Aosta, su lato destro, quasi all'angolo con corso Novara. Era condotta, come tante altre in Torino, da un monferrino, nostro compaesano. In un pomerìggio del 1929 il mio nonno materno, Stivolin, l'unico nonno che ebbi la ventura di conoscere, mi salutò e partì per andare a trovare un suo paesano,..Alcune ore più tardi mia madre, senza dire nulla, mi vestì, mi prese per mano e ci incamminammo; passammo dietro alla rimbombante fabbrica dove si costruivano i grossi motori marini, e giungemmo in via Aosta. In una camera vicina all'osterìa, in quella casa che solo un anno fa è stata abbattuta, su un enorme lettone, vi era il mio nonno Stivolin, morto. Un'altra osterìa, era gestita dalla cugina di mia madre, la buona Margherita; ed era in via Santa Chiara. Si entrava salendo tre scalini e vi era il classico banco foderato di zinco con le cannelle per far giungere il vino dalla cantina, il locale esiste ancora ma è un anonimo bar. In via Leinì, vicino al negozio di alimentari gestito da mia madre, vi era una osterìa nel cui cortile, durante l'estate si poteva bere un buon quartino all'ombra dell'immancabile «topia,.. Qui, nel 1931, sotto quella «topia», si svolse il pranzo per le seconde nozze di mia madre. Purtroppo, con il passare del tempo, le osterìe diventarono il mio incubo, il mio patrigno le frequentava troppo volentieri e mia madre mi inviava a recuperarlo quando l'ora diventava tarda. Fu così che conobbi l'osterìa di via Bra, una via vicina parallela alla via Cuneo di Gipo. Un ulteriore trasferimento di abitazione mi fece conoscere altre piole. Una di queste, all'angolo di via Teramo con corso Verona, fu un punto di ritrovo abituale; la sua proprietaria era una gigantessa ben proporziona - ta che sicuramente non aveva problemi a cacciare gli avventori ritardatari quando era ora di chiudere bottega. In questa osteria, durante la guerra, potei fare la conoscenza di due soldati tedeschi che venivano a bersi il loro quartino, quasi ogni sera. Uno di questi raccontava che era austriaco, arruolato per forza nonostante la sua età piuttosto avanzata. Poi estraeva il portafoglio e mi faceva vedere le fotografie della moglie e dei figli. Sui gradini di quell'osterìa, una sera del 1944, mi trovai con alcuni ragazzi più o meno della mia età. Era uscito il bando per l'arruolamento obbligatorio nelle file della neonata repubblica di Salò; questi ragazzi discutevano sul da farsi; sentii parlare di partigiani, di fuga sulle montagne ed il giorno dopo seppi che erano partiti per non arruolarsi. Non sono più tornati; una retata, eseguita da truppe tedesche, li sorprese a Giaveno, nascosti in una cantina e fu la fine. Ad altre osterie sono legati ricordi più lieti. Non esiste più la fumosa osteria, all'angolo di via Rossini con via Giulia di Barolo, nella quale giocavo a biliardo con i miei compagni di scuola durante le ore di intervallo fra due lezioni non consecutive. Il tavolo del biliardo era, sporco e rappezzato in mille punti a1 causa dèi nostri colpi falliti e, quando la stecca strappava il tappeto verde, sorgeva il problema di sparire veloci prima che il proprietario si accorgesse del fattaccio. Un altro leale era in c. S. Maurizio, a metà fra via Montebello e via S. Ottavio, sul lato ove si trova l'Istituto Avogadro. Sotto la sua «topia» noi studenti festeggiammo l'agognato diploma, dopo aver letto i risultati alla bacheca dell'istituto P. Deipiano, ora Avogadro. Credevamo fossero finiti i nostri problemi. Illusi. Stavano cominciando tempi che più duri non potevano essere. Ho ritrovato, infine, una fotografia, che risale all'incirca al 1938, nella quale è ritratta la proprietaria dell'osteria allora situata in corso Regio Parco di fronte allo scomparso stabilimento Ceat. E' una figura tipica; porta il grembiuIone nero che era quasi ima divisa per chi si dedicava a questo tipo di lavoro e per le commesse in genere. Donna, simpatica ed affabile, ascoltava con pazienza i lunghi discorsi dei clienti un po' bevuti e portava una nota di gentilezza in quell'ambiente. In braccio ha la sua figlia. Chissà dov'è ora la graziosa bambina¬ tat** Qui sopra la padrona dell'osterìa di corso Regio Parco fotografata con in braccio lafiglioletta
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