SULL'OTTOVOLANTE EINAUDI UN ROMANZO DI FORMAZIONE

SULL'OTTOVOLANTE EINAUDI UN ROMANZO DI FORMAZIONE SULL'OTTOVOLANTE EINAUDI UN ROMANZO DI FORMAZIONE «Pensare i libri»: trentanni di un'avventura culturale A storia ha inizio nel 1940, quando Leone Ginzburg viene inviato al confino a Pizzoli, in Abruzzo. Tra le cose che lascia interrotte c'è anche il progetto della casa editrice Einaudi, che ha avviato a Torino la sua attività nel 1933 come editrice di riviste e che per i primi volumi si è valsa della collaborazione degli economisti e degli studiosi vicini al padre del fondatore, Luigi Einaudi. Ginzburg, insieme a Cesare Pavese ed altri giovani usciti dal Liceo D'Azeglio di Torino, amici e sodali di Giulio Einaudi, è il vero motóre della casa editrice: ideatore, lettore, traduttore, coscienza critica. La storia di quella che è la più nota e blasonata casa editrice italiana del Novecento è narrata in un libro sterminato, accurato, ricco di dettagli e note a margine, un vero e proprio «romanzo di formazione» che ripercorre le vicende editoriali di un trentennio, dal 1933 al 1963. Ma forse, più che un romanzo, questo è un album sistematico, la raccolta di istantanee fittamente commentate e chiosate, in cui, di volta in volta, al centro del fuoco c'è un libro, una collana, un autore, un consulente, uno studioso. Ritratto di gruppo, Pensare i libri, è un'opera corale che ci aiuta a capire perché l'Einaudi è l'Einaudi, perché molte delle polemiche che riguardano la cultura italiana passata e presente finiscono quasi sempre per diventare polemiche intorno all'Einaudi, alle sue scelte editoriali e culturali. Nella prima pagina Luisa Mangoni, storica della cultura e ricercatrice instancabile (questo libro le è costato otto anni di ricerche d'archivio) definisce in questo modo la centralità dell'Einaudi nella cultura italiana: l'attitudine della casa editrice torinese è quella di «trasmettere la propria memoria interna» e di «intesserla con la memoria storica della società itaiiana>>. E' proprio così? Di certo l'Einaudi raccontata dalla Mangoni attraverso gli epistolari interni, i verbali delle riunioni dei consulenti e dei collaboratori, la storia editoriale dei libri più importanti o significativi, anche quelli mai usciti, non è una casa editrice monolitica ma riflette al suo interno le differenti sfaccettature della cultura italiana tra gli Anni Trenta e Sersanta, non tutta la cultura itab'ana, s'intende, ma quella che partendo dal fascismo ha compiuto un cammino attraverso il Novecento, dal Paese contadino e premoderno alla piena modernità. Questo però non basta a spiegare l'importanza dell'editrice torinese rispetto, ad esempio, alla Feltrinelli o al Saggiatore (le altre due maggiori case editrici del dopoguerra). Vale quindi la pena di inoltrarsi nel libro, un edificio interminabile, cercando di coglierne le strutture portanti, le travi maestre, anche se questo significa sorvolare su un mare di questioni all'apparenza secondarie, ma che sono la vera ricchezza del volume. I fondatori dell'Einaudi, Giulio compreso, sono tutti nati negli Anni 10 del secolo, dunque la loro cultura è datata Anni Trenta, è la «cultura della crisi», quella che si esprime nel «male di vivere» di Montale (pubblicato nel 1939 da Einaudi), nel nome di Kafka, ma anche di Nietzsche, di Rilke o ancora nel titolo emblematico del libro di Huizinga, Crisi della civiltà. Più che Leone Ginzburg, uomo dell'Ottocento trapiantato nel Novecento, questo inizio dell'Einaudi si esprime nella figura di Giaime Pintor, che come un fantasma ritornante segna il primo ventennio di vita dell'editrice torinese. Scrive Luisa Mangoni che mentre «il sigillo posto dal fascismo sul Novecento italiano rendeva quasi impossibile alla cultura d'impronta liberale distinguere tra fascismo stesso e Novecento», il gruppo degli einaudiani (Pavese compreso) sdoganano, per usare un'espressione di moda,.il modernismo, lo sottraggono in qualche modo al fascismo e lo consegnano alla cultura del dopoguerra. L'Einaudi è partecipe ed estranea alla cultura interna al fascismo. Quando Pintor nel suo Doppio diario parla di «superamento definitivo dell'antitesi fascismo-antifascismo» non indica non tanto e non solo un approdo politico, bensì culturale. La guerra, afferma Pintor, ha prodotto la «generazione perduta», quella che ha visto infrante le proprie carriere, ma che ha fornito ai più forti «una massa di materiali grezzi, di nuovi dati su cui crescerà la nuova esperienza». Ecco allora i nomi di autori come Junger, Salomon, i «reazio¬ nari perduti», ma anche Nietzsche delle Considerazioni sulla storia, edita nel 1943, e poi l'idea di acquisire i diritti delle opere di Heidegger, di Cari Schmitt, ma anche della Nausea di Sartre. Questa cultura della crisi - che sarà trent'anni dopo il fulcro dell'Adelphi, nata su iniziativa di Luciano Foà, einaudiano - come matrice è più importante dell'americanismo di Pavese, è una cui tura che contiene grandi im pulsi irrazionalistici, enormi commozioni, oltre che inespresse energie creative. E' questo il crogiolo culturale che si esprime nella «Collana viola» di Pavese e De Martino, ma anche negli apporti di Vittorini e Balbo, in Pintor traduttore di Rilke. Se è il giovane e brillante germanista morto durante la guerra a rappresentare il nome di spicco della «cultura della crisi», sarà invece il Pavese della «casa sulla collina» a fungere da traghettatore verso il dopoguerra. Il libro della Mangoni è importante perché ci permette di superare molti luoghi comuni sull'Einaudi, risalendo alle sue origini, ben prima che s'instauri il mito della casa editrice antifascista, di sinistra e persino comunista, la casa editrice delle opere di Gramsci, tra il 1946 e il 1956, cioè lungo un decennio, certo decisivo, ma anche insufficiente a definire l'identità culturale profonda dell'Einaudi. Quell'eredità degli Anni Trenta attraverserà tutti gli Anni Quaranta e andrà a esaurirsi proprio a metà degli Anni Cinquanta, in corrispondenza della crisi politica della «generazione perduta». Lo stesso «conflitto»' tra Pavese e Vittorini, tra Torino e Milano, all'inizio del dopoguerra è leggibile, almeno in parte, dentro quel quadro della cultura degli Anni Trenta. Vittorini, che ha attraversato a suo modo il fascismo, è il portabandiera della nuova generazione di lettori e scrittori, pensa attraverso «il Politecnico» alla «nuova cultura» e a fare, come scrive ironicamente Pavese, «ciascun libro diverso dall'altro, come canta il cuore». Pavese è invece teso a preservare la struttura di base della casa editrice: artigianale, piemontese, concorrente con gli editori milanesi, legata saldamente al passato. Sara «il Politecnico» a vincere, nonostante la chiusura del settimanale; tuttavia, senza la rivista di Vittorini, l'Einaudi non sarebbe stata l'Einaudi, ma anche senza «la resistenza di Pavese non avrebbe conservato un tessuto sul quale fondarsi». Ecco qui l'altro paradosso: editrice torinese per eccellenza, l'Einaudi ha sempre due fuochi, assomiglia più a un ellisse che a un cerchio: Torino e Roma nei primi Anni Quaranta, Torino e Milano nel dopoguerra, e poi ancora Torino e Roma negli Anni Cinquanta. Nei momenti acuti di crisi culturale ed editoriale, l'Einaudi possiede due* centri in competizione tra loro, ma alla fine è il centro torinese a vampirizzare quello esterno. Il terzo architrave del libro della Mangoni è quello della ricerca del pubblico, di un proprio pubblico: l'egemonia di un editore si fonda su questo. L'Einaudi cercava un suo pubblico con iniziative ad hoc, voleva avere un legame diretto, farlo sentire parte di un suo progetto. Così si spiega anche l'avvicinamento progressivo al Partito comunista nel dopoguerra, rapporto che, come dimostrano le carte studiate dall'autrice, è assai complesso e contraddittorio, e anche la svolta del 1963, quella che anticipa di poco, nei nomi di Renato Soimi, Franco Fortini e Raniero Panzeri, la svolta del Sessantotto, limite temporale di fronte a cui si arresta il libro. Il quarto argomento principe del libro, quello che lo rende interessante, è la storia di un gruppo eteroclito di autori, collaboratori, redattori e consulenti che fa della progettualità continua il proprio emblema permanente e che, nonostante i continui duelli, rivalità, idee divergenti, sente di appartenere a un gruppo capace di agire sulla cultura italiana. Di questo gruppo Giulio Einaudi è il regista più o meno occulto, più simile a un munifico Principe che a Robespierre, ascoltatore, suggeritore, sapiente organizzatore prima ancora di uomini che dia libri e collane. Al timone, in vece sua, di volta in volta Leone Ginzburg, Pavese, Foà, Bollati, Ponchiroli e, per la parte commerciale, Roberto Cerati Ila storia delle ristampe del catalogo Einaudi, sua vera forza, dice la Mangoni, è la storia di una casa editrice dentro la casa editrice). Se è vero che, come nella celebre frase di Bollati, Einaudi è alla guida dell'ottovolante della casa editrice noi siamo la tastiera e lui il pianista - è però anche vero che sono i redattori e i collaboratori a fare l'Einaudi. Leggendo questo indispensabile volume si capisce finalmente una cosa fondamentale: fino agli Anni Sessanta (ma anche Settanta), l'Einaudi è stata una casa editrice di storia e politica, di scienze umane ed economia, più che una casa editrice di letteratura. Può sembrare l'ennesimo paradosso, ma la letteratura, che è l'imprinting, su cui l'Einaudi è nata, non è la sua spina dorsale; semmai la letteratura, come scriveva Calvino nel 1955, la letteratura ha avuto la funzione di anello di congiunzione, nei momenti di bassa o di crisi della politica. Nel Midollo del leone, lo scrittore figure spiega come ia mediazione «metastorica» della lettcrat tira non fosse più necessaria, così come «I gettoni»: si poteva tornare alla politica. Quest'ultimo punto (ma ne ve ne sarebbero altri di importanti) spiega, almeno in parte, il perché dell'accanimento di tanti contro l'Einaudi: è la più politica casa editrice del dopoguerra, di certo, nonostante le sue continue crisi, la più longeva di quelle nate in quei lontani Anni Trenta. Marco Beìpoiitì Una Casa soprattutto di storia e politica, di scienze umane ed economia; la letteratura, secondo Italo Calvino, ha avutola funzione di anello di consunzione // viaggio nello Stnizzo dalyMal'6'à di Luisa Mangoni: una lunga ricerca, tra verbali, epistolari libri usciti e non usciti VOLANTE EINAUDI ZO DI FORMAZIONE ntanni di un'avventura culturale rg viene inviato al nterrotte c'è anche ato a Torino la sua primi volumi si è studiosi vicini al me a Cesare Pavese o, amici e sodali di : ideatore, lettore, he è la più nota e arrata in un libro argine, un vero e icende editoriali di romanzo, questo è mente commentate ma anche Nietznsiderazioni sulla l 1943, e poi l'idea iritti delle opere di Cari Schmitt, ma Nausea di Sartre. a della crisi - che dopo il fulcro dela su iniziativa di inaudiano - come mportante dell'ameavese, è una cui ne grandi im istici, enorni, oltre energie uesto il ale che «Collaavese e a anche i Vitton Pintor ilke. Se è lante gero durante la esentare il nome di ultura della crisi», Pavese della «casa fungere da traghetdopoguerra. Il libro è importante pere di superare molti sull'Einaudi, risaorigini, ben prima il mito della casa scista, di sinistra e ista, la casa editri di Gramsci, tra il 56, cioè lungo un o decisivo, ma ante a definire l'iden profonda dell'Eiredità degli Anni rserà tutti gli Anni andrà a esaurirsi à degli Anni Cinrrispondenza della della «generazione stesso «conflitto»' ittrii t Ti// viaggio nello dalyMal'6'à di Luisa Mangouna lunga ricertra verbali, epislibri usciti e nonDa sinistra Giulio Einaudi in una foto degli Anni 40, e Giaime Pintor, la cui figura, secondo la Mangoni, ha segnato, più ancora di Leone Ginzburg, le origini della casa editrice Da sinistra, Cesare Pavese e Elio Vittorini: il loro fu un conflitto tra due visioni editoriali. L'uno difendeva l'anima piemontese, artigianale dell'Einaudi, l'altro voleva immettervi la «nuova cultura» del Politecnico Italo Calvino, fin dai primi Anni 50 visse da protagonista in casa editrice il dibattito sul rapporto tra letteratura e politica, il passaggio al nuovo «impegno» degli Anni 60 fascismo, è il portabandiera della nuova generazione di lettori e scrittori, pensa attraverso «il Politecnico» alla «nuova cultura» e a fare, come scrive ironicamente Pavese, «ciascun libro diverso dall'altro, come canta il cuore». Pavese è invece teso a preservare la struttura di base della casa editrice: artigianale, piemontese, concorrente con gli editori milanesi, legata saldamente al passato. Sara «il Politecnico» a vincere, nonostante la chiusura del settimanale; tuttavia, senza la rivista di Vittorini, l'Einaudi non sarebbe stata l'Einaudi, ma anche senza «la resistenza di Pavese non avrebbe conservato un tessuto sul quale fondarsi». E i l'lt d ditiMil l d i fine è il centro torinese a vampirizzare quello esterno. Il terzo architrave del libro della Mangoni è quello della ricerca del pubblico, di un proprio pubblico: l'egemonia di un editore si fonda su questo. L'Einaudi cercava un suo pubblico con iniziative ad hoc, voleva avere un legame diretto, farlo sentire parte di un suo progetto. Così si spiega anche l'avvicinamento progressivo al Partito comunista nel dopoguerra, rapporto che, come dimostrano le carte studiate dall'autrice, è assai complesso e tddittri h l lcui si arresta il libro.argomento principe quello che lo rende intè la storia di un gruppodi autori, collaboratorie consulenti che fa detualità continua il propma permanente e che, te i continui duelli, rivdivergenti, sente di apa un gruppo capace di cultura italiana. Di qupo Giulio Einaudi è il o meno occulto, più smunifico Principe chspierre, ascoltatore, susapiente organizzatorecora di uomini che collane. Al timone, indi volta in volta LeoneP Fà Bllti Da sinistra Giulio Einaudi in una foto degli Anni 40, e Giaime Pintor, la cui figura, secondo la Mangoni, ha segnato, più ancora di Leone Ginzburg, le origini della casa editrice Da sinistra, Cesare Pavese e Elio Vittorini: il loro fu un conflitto tra due visioni editoriali. L'uno difendeva l'anima piemontese, artigianale dell'Einaudi, l'altro voleva immettervi la «nuova cultura» del Politecnico Itpderaead Italo Calvino, fin dai primi Anni 50 visse da protagonista in casa editrice il dibattito sul rapporto tra letteratura e politica, il passaggio al nuovo «impegno» degli Anni 60 PENSARE I LIBRI Luisa Mangoni Rollati Boringhieri pp. 976 L 100.000 EDITORIA-