«Ds seduti sull'orlo di un vulcano»

«Ds seduti sull'orlo di un vulcano» I risultati elettorali scatenano la base Ds: lo scontro coi sindacati è stato un errore drammatico «Ds seduti sull'orlo di un vulcano» Veltroni avverte D'Menta Maria Teresa Meli ROMA Effetto palazzo Chigi al contrario: i ds danno questa lettura del voto. Una lettura quasi univoca da parte delle diverse componenti della Quercia, dove ognuna privilegia un aspetto di questo fenomeno, ma tutte, benché per motivi differenti e, a volte, persino opposti tra loro, scaricano sulle spalle di Massimo D'Alema la responsabilità della sconfitta elettorale. La sinistra interna accusa il presidente del Consiglio per lo scontro con i sindacati. L'ala ti li vista punta l'indice contro di lui per la sua «testarda resistenza a non vedere la necessità di rinnovare le forme della politica». E il segretario, in uno 'sforzo di sintesi, raccoglie questi rilievi e li fa propri. Sulle pensioni, innanzitutto. Giacché dalla settimana scorsa, i centralini del gruppo, alla Camera dei deputati, erano intasati dalle telefonate dei militanti che protestavano per l'atteggiamento del governo, mentre in alcune federazioni del Nord - in Lombardia, per esempio - si presentavano gruppetti di simpatizzanti per restituire i certificati elettorali con motivazioni analoghe a quelle di chi si attaccava ululante alla cornetta. Tutto ciò é ben presente nell'analisi che fa ora del voto Veltroni. All'indomani deUa batosta elettorale, il segretario si sfoga con i compagni di partito e dice: «Sono stati fatti molti errori». Quali? Il leader non si fa pregare. «La storia delle pensioni», spiega. Quindi sbotta così: «Ma e mai possibile che per una questione del genere si sia voluta aprire tutta quella polemica con i sindacati?». La «questione del genere», secondo autorevoli fonti di Botteghe oscure, sarebbe quella che riguarda «solo 1500 miliardi e coinvolge appena 350 mila persone». Già. E' «mai possibile»? Per Veltroni, evidentemente, no, perchè subito dopo il segretario della Quercia osserva: «C'è bisogno di un cambio di strategia del partito e del governo. Nel rapporto con l'esecutivo non è più possibile an- dare avanti in questo modo. Siamo arrivati al Dpef senza nessun confronto preventivo con il partito». E' talmente amareggiato, il leader, che persino in un'intervista all'Unità non nega che quella storia abbia inciso sul voto: «Negli ultimi giorni di campagna elet- torale - dice - abbiamo sentito questo problema: non so misurarlo e non voglio neppure farlo. Sinceramente non ho capito bene la ragione per la quale si sia aparta una discussione di questo genere a 48 ore dal ballottaggio. Così come non ho apprezzato certi toni che sono stati usati, non da D'Alema, nei connfronti del sindacato». D'altra parte, nella Quercia, la convinzione di aver pagato un obolo troppo oneroso al governo è comune a tanti. Osserva Gloria Buffo: «La differenza con la destra va resa più visibile nell'azione di governo nazionale». Commenta Famiano Crucianelli: «La guerra aveva già demotivato il nostro elettorato, il braccio di fer¬ ro con la Cjjil è stato il colpo del k.o.». E Giorgio Mele dice: «Palazzo Chigi ci ha dato una bella mano a perdere». Ma il segretario va oltre nella sua crìtica, mai diretta, a D'Alema. A cui ricorda, per esempio, qual era lo stato della Quercia quando gliel'ha consegnata: «Vogliamo fare - osserva Veltroni • un partito molto diverso da quello che abbiamo trovato: molto aperto, molto 'più società'. Se riusciremo bene, se non riusciremo...». Come a dire: sono disposto anche a lasciare se non mi verrà permesso di fare un nuovo pds, così come lo immagino io. Non solo: il leader diessino sottolinea che «nel cuore della stagione dell'Ulivo», il centro sinistra ha sempre vinto. E allora questo significa che bisogna imboccare la strada da lui indicata, mettendo da parte le polemiche che, ancora la settimana scorsa, D'Alema faceva con i Democratici. Il che sigifica che «per far rinascere l'Ulivo» occorre «immaginare forme nuove, non solo una somma di partiti». Quindi la via è quella di dare una struttura all'alleanza che obblighi le forze politiche a fare un passo indietro e a cedere quote di sovranità all'Ulivo. «Siamo seduti sull'orlo di un vulcano», ammonisce a questo proposito il segretario per far capire che scorciatoie e manovre dilatorie non sono più possibili. Persino sull'analisi del voto del 13 giugno, Veltroni entra in rotta di collisione con D'Alema. Il numero uno ds, infatti, sottolinea che è stato un errore «minimizzare» quel risultato e fare Inequazione più partiti uguale più consenso». Indubbiamente, è una presa di distanze dal presidente del Consiglio. Ma la situazione del segretario è delicata. Come fa a spingere più di tanto nei confronti di un governo a guida ds? Non può, e infatti, alle orecchie di Arturo Parisi a cui Veltroni, in mattinata, propone di tenere un'assemblea degli eletti del centro sinistra prima della verifica parlamentare, quell'ipotesi suona come l'offerta di una rete di protezione preventiva nei confronti di D'Alema, in vista di quell'appuntamento. Per questo risponde di 'no', e attaccando il telefono si rivolge al coordinatore dell'esecutivo dei Democratici Willer Bordon, rìdendo, per dire: «Sembra quasi che Walter e D'Alema lavorino in coppia: uno ci tiene fermo, blandendoci e l'altro ci mena». Ma i Democratici hanno intenzione di farla sul serio quella verifica: «Discutendo - spiega Bordon - senza bloccarci per la preoccupazione delle elezioni anticipate: noi siamo per la stabilità, però il voto non può essere un tabù». Dunque, è tra l'incudine D'Alema e il martello dei prodiani che Veltroni deve muoversi, sapendo che dopo il voto di domenica tirarsi indietro potrebbe avere effetti dirompenti per il centro sinistra. Il segretario dei Ds Walter Veltroni

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