In viaggio con Amleto per capire il Novecento
In viaggio con Amleto per capire il Novecento RADIO & RADIO In viaggio con Amleto per capire il Novecento APPROSSIMANDOSI la fine del secolo s'infittiscono i tentativi di raccontare il Novecento. Oliviero Ponte di Pino, per farlo adotta una chiave singolare e in apparenza stravagante: analizza ì modi con i quali d teatro, il cinema e la critica hanno interpretato i principali personaggi del teatro di Shakespeare. E lo fa in maniera accattivante, da testimone diretto di molti degli spettacoli di cui parla, raccontando e non leggendo un testo scritto. Le 13 puntate di «Shakespeare Suite» vanno in onda su Radio 3 Rai tutti i venerdì alle 20 circa a partire dal 25 giugno, per la regia di Alberto Donatelli. I primi quattro appuntamenti sono dedicati al personaggio di Amleto. Partendo da un acuta osservazione di Virginia Woolf («Mettere per iscritto le proprie impressioni dell'Amleto rileggendolo anno dopo anno significa virtualmente stendere la propria autobiografia, poiché noi diventiamo sempre più esperti della vita, e cosi Shakespeare sembra contenere ciò che abbiamo appreso») Ponte di Pino ci fa compiere un vertiginoso viaggio Ero questo specchio nero che .te le nostre inquietudini. A Bruno Gambarotta partire dal 1899, anno in cui la 55enne Sarah Bernard rappresenta il suo Amleto, fino agli ultimi, di Carmelo Bene, di Federico Tiezzi, di Kenneth Branagh e di Nekrosius. Un uso accorto e intelligente del repertorio ci consente di riascoltare grandi interpretazioni, compresa quella del mitico Alexander Moissi che recita il celebre monologo in tedesco «Se in oder nicht se in». A proposito dell'«essere onon essere» ascoltiamo dalla voce di Roberto Trifi rò la nuova emozionante traduzione che ne ha fatto Mario Luzi Perlo spettacolo «Studi su Amleto» di Federico Tiezzi; Tiezzi usa brani di tutte le traduzioni, compresa la prima di Michele Leoni (1814-1822) in versi che a noi suonano buffi come un libretto d'opera. Per Thomas Stearns Eliot l'opera di Shakespeare non rispondeva a nessuno dei canoni della classicità. Ma un'opera diventa un classico quando stimola gli uomini di ogni epoca di reinventarla. E sopporta ogni sberleffo come quelli qui documentati di Petroli- ni, di Achille Campanile e di Leo De Berardinis. E, poiché lavori come questo sono un pungolo per la memoria, ricorderei anche Erminio Macario in «Io, Amleto» del 1953, per la regia di Giorgio Simonelli, dalla rivista «Follie d'Amleto». Pensando al Gassman di oggi, a questo grande attore che esibisce al mondo le disperate piaghe di una vecchiaia oltraggiosa, è commovente ascoltarlo mentre, non ancora trentenne proclama: «Come tedioso, vuoto, stantio, sterile mi è il mondo, con tutti i suoi usi», affiancato da un Memo Benassi che aveva l'ambiguo fascino di un letto sfatto. Di tutte le letture critiche passate in rassegna da Ponte di Pino la più convincente sembra ancora quella di August Strindberg il quale sostiene che Amleto è l'uomo che dall'infanzia entra nella giovinezza. Come non ricordare che Cesare Pavese mise a epigrafe del suo diario una citazione del Macbeth («La maturità è tutto») che già Herman Melville aveva messo a inizio del suo «Moby Dick» («Ripeness is ali»)? Forse il nostro secolo è ossessionato dalla figura di Amleto perché mai come nel Novecento e stato così difficile diventare adulti cosi J
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