GIAGOMETTI scultore del vuoto

GIAGOMETTI scultore del vuoto GIAGOMETTI scultore del vuoto Marco Vallerà BOLOGNA. OMINC1AMO col dire che questa non si può considerare una mostra di Giacometti e basta. |Ma per il luogo stesso in cui si svolge, il Museo Morandi, e per i profumati, non assopiti fantasmi che evoca intorno a sé, non può non suggerire un inevitabile confronto, e soprendente, tra due artisti tanto lontani nelle loro radici e nei loro risultati «filosofici». Se così possono definirsi. Ed invece, curiosasmente, il legame è qui provocato e sottolineato, annunziando anzi l'avvento'in seriei TlhTf là Ttìsihga del Duemila!Idi una trilogia un po' azzardata, giustificatissima nel tandem Morandi-Cézanne, ma assai meno congrua nel confronto con Klee. Del resto il catalogo stesso Mazzotta non recede da quell'azzardo, e si avvale anzi di un prezioso saggio del «biografo dell'opera» di Giacometti, il sottile poeta Bonnefoy, che ha scritto appositamente un saggio di confronto tra i due. Grande, intoccabile Bonnefoy, Eer carità: ma questa volta isognerà pur ammettere che il saggio, che tenta sensatamente di inserire i due cantori del vuoto entro uno stesso orizzonte (che vuol contrastare l'avanzata dell'insensatezza dei segni dell'arte d'avanguardia) si rivela poi insolitamente un po' fragile e imbarazzato nello svolgere fin in fondo il «compito in classe»: che è quello di vedere le analogie tra ì due. E non ci basterà certo sapere che Bonnefoy si accontenta della risposta di molti giovani artisti interpellati che affiancano spesso i due nomi nelle loro preferen ze, o di sapere che entrambi abbracciano «il rifìu to moderno della pittura come racconto» o che ancora, come sacerdoti, si so- no accaniti lungo tutta l'esistenza per ottenere un risultato finalmente soddisfacente (perché allora al nome di Morandi si potrebbero sostituire indifferentemente quelli che so di Fautrier o di De Stael, di Vieira da Silva o di De Kooning). Troppo poco, davvero. E del resto anche la curatrice Marilena Pasquali, quando tenta di rafforzare questo confronto, ci pare usare delle armi impari, che contraddicono la sua stessa convinzione: se davvero il nome tormentato di Grunewald può funzionare per quelle fisionomie macerate e sofferte di Giacometti (per cui inventa il neologismo di «strenuanti»: forse a metà tra strenue ed estenuanti) ma siamo poi certi che il nome dell'artista tardo gotico-espressionista si possa trapiantare indolormente anche dalle parti attutite dell'atelier di via Fondazza? E che in Morandi risuonasse una «delicata violenza»? E non è forse forzato, come fa Bonnefoy, sprecare il nome di Beckett per le Nature Morte foderate e intangibili di Morandi, che non potrebbero mai attendere nessun Godot dell'avanguardia? C'è un aneddoto illuminante a proposito: quando Beckett e Giacometti si ritrovarono, per studiar© insieme Tunica scenografìa per Eri attendant Godot, che era poi un rabbrividente tronco con poche foglie e un accenno di luna, ebbene, i due, uno dopo l'altro, non finirono che sottrarsi a vicenda foglia dopo foglia, lasciando 10 scheletro nudo. Ecco: Giacometti è il paradossale scultore del vuoto, come ci ha insegnato Sartre in pagine bellissime: artista del togliere radicale, dello scarnificare. Certo, anche Morandi il metafisico sottrae, astrae, depura, ma per arrivare a «toccare il fondo, l'essenza delle cose». Per Giacometti 11 vero dramma è «l'impossibilità di mettere le mani sul visibile» (Soldini), quella discesa abissale che i suoi ritratti drammatizzano (non a caso Morandi dipinge le sue Nature Morte come ritratti, Giacometti vorrebbe i suoi modelli fermati come cose, arrestati per un attimo sul patibolo della seggiola di posa. Come Cézanne che diceva alla moglie:«Ah, se stessi ferma, se fossi nata mela»), Morandi è sì ossessionato anche lui dalla ripetitività, ma perché crede nella verità di quanto ha veduto, crede nella «natura, che è il mondo visibile, ed è la cosa che maggiormente mi interessa». Giacometti, avvicinandosi troppo a quel «Sahara illimitato» che è il volto umano, sacrificando, non sa vedere più: deglutisce. Per lui «f.arte è solOMnUrfczzo per vedere. E' la verità che mi interessa*. Per Morandi il vedere è strumento sacrale per giungere all'Arte. Le sue sono «elegie luminose» come dice Lunghi, nostalgia miope di una primarietà assicurata, di un primo sguardo innocente, che la vita ha sporcato e allontanato, ma che si deve ritrovare. Anche quando preludia degli schizzi come un pianista, conduce poi sempre all'ovile delle forme note il suo sguardo di bove rassicurante. Mentre il presbite, «cieco» Giacometti, che «riduce» e succhia le forme sino a cancellarle, è troppo filosofo, inquieto, per sapere che ormai quell'essenza è svanita dall'orizzonte dell'uomo:«Un cieco avanza la mano nella notte./ I giorni passano e io m'illudo di afferrare, di fermare quello che fugge». Così, per tutta la sua lacerante via crucis dovrà inse- guire quello svanente fiato della vita, quel rumoroso fantasma intangibile di esistenza. Morandi, se valgono ancora queste definizioni facili, è invece un poeta che cerca di trovare, che «tocca» quella sua vita impolverata di silenzi, che pone l'ultima pennellata storica alla possibilità di evocare. Giacometti, loico disperato, anche di vitalità, affamato di realtà, non crede più a quella possibilità di rappresentare: lui «presenta» come dice Sartre, fa accadere sulla tela il dissolvimento della figura. Là dove scatta, paradossale, la rassomiglianza. E lo intuisce un poeta come Genet: «Ogni giorno Alberto guardava per l'ultima volta, registrava l'estrema immagine del mondo». Un po' arditamente la curatrice definisce la mostra:«Certamente non convenzionale, ma "giacomettiana" nel taglio, intenta com'è a seguire mille piste, curiosa di tutto pur senza sapere esattamente dove il cammino la porterà. E' una mostra sradicata, apparentemente senza fissa dimora». Non neghiamo che la messa in scena sia anche sapiente, affettuosa: ma è possibile, oggi, disporre ancora insieme, indiscriminatamente, una scultura surreale come YObjet désagreable, à jeter del '31, rifiuto della figura, immotivatamente accanto al tradizionalissimo ritratto in gesso di Fanciulla con treccia del '23, che è quanto di più gradevole ci sia? E se il vero criterio della mostra è la preminenza del disegno in Giacometti, ma è davvero possibile farlo, senza nemmeno mostrare un olio uno, laddove veramente e paradossalmente il disegno, l'arruffato graffire perenne, lascia una traccia indelebile, una stigmate, persino sulla guancia della pittura? AlMorandi di Bologna disegni e opere in bronzo dell'artista svizzero che incantò Sartre e Genet Scrisse: «I giorni passano e io m'illudo difermare quello che fugge» di Bologna permette di carriera dello scultore accanto «Femme nue debout», 1955 sNC1AMO col dire questa non si può derare una mostra acometti e basta. er il luogo stesso in , il Museo Morani profumati, non ntasmi che evoca sé, non può non n inevitabile conprendente, tra due lontani nelle loro loro risultati «filosì possono definir, curiosasmente, il provocato e sottounziando anzi l'avriei TlhTf là Ttìsihga !Idi una trilogia un ta, giustificatissiem Morandi-Cézan meno congrua nel on Klee. il catalogo stesso on recede da quelsi avvale anzi di un ggio del «biografo di Giacometti, il a Bonnefoy, che ha ositamente un sagfronto tra i due. occabile Bonnefoy, ma questa volta ur ammettere che e tenta sensatamenre i due cantori del uno stesso orizzoncontrastare l'avansensatezza dei see d'avanguardia) si nsolitamente un po' imbarazzato nello in fondo il «compie»: che è quello di nalogie tra ì due. basterà certo sapenefoy si accontenta ta di molti giovani rpellati che afesso i due noo preferen pere che bracu o o AlMdisegndche incnstto(prainsoVGqs A sinistra «Buste de Yanai barai» realizzato dall'artista ne1961. Sotto «L'homme qumarche II» deI960, una delle opere più famose dGiacomett cenda folasciando o. Ecco: radossale , come ci rtre in artista le, delrto, antafisico epura, toccaza delometti «l'imttere le (Soldiabissaitratti on a cange le come i vordelli , arimo egme va se sui come dice Lunghi, nostamiope di una primarassicurata, di un prsguardo innocente, chvita ha sporcato e allonato, ma che si deve ritrore. Anche quando preludegli schizzi come un pista, conduce poi semall'ovile delle forme nosuo sguardo di bove rassrante. Mentre il presb«cieco» Giacometti, cheduce» e succhia le fosino a cancellarle, è trofilosofo, inquieto, per sre che ormai quell'esza è svanita dall'orizte dell'uomo:«Un cavanza la mano nnotte./ I giorni passe io m'illudo di affere, di fermare quche fugge». Così, per tutsua lacerantecrucis dovrà i La mostra di Bologna permette di ripercorrere la carriera dello scultore svizzero. Qui accanto «Femme nue debout», 1955 A sinistra «Buste de Yanai barai» realizzato dall'artista nel 1961. Sotto «L'homme qui marche II» del I960, una delle opere più famose di Giacometti Alberto Giacometti Bologna. Museo Morandi. Da martedì a domenica dalle 10 alle 18. Chiuso lunedi Fino al 6 settembre. Catalogo

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