Vigneti, il futuro si chiama robot

Vigneti, il futuro si chiama robot Al Congresso degli enologi-enotecnici le proposte per evitare di perdere aziende Vigneti, il futuro si chiama robot Martelli- adattare le coltivazioni alle macchine Vanni Cornerò LECCE In circa vent'anni il vignetoItalia ha perso circa 380 mila ettari, fatto che, ovviamente, si ripercuote anche sulla produzione di vino, scesa, vertiginosamente. Il problema, comunque come sottolineano gli enologi-enotecnici italiani a Lecce, in occasione del loro 54° Congresso nazionale, non è più tanto quello del calo di quantità, fenomeno comune a tutti i paesi vinicoli dell'Unione Europea, quanto quello dell'eccessivo frazionamento. «In Italia - dice il direttore di Assoenologi, Giuseppe Martelli - abbiamo oltre un milione di aziende con una media di superficie al di sotto dell'ettaro, contro i sei della Francia. In molte zone questa frammentazione, unita alla vetustà di molti impianti ed al progressivo abbandono dello generazioni più anziane, determina la scomparsa dei vigneti. In meno di 10 anni, oltre il 20 per cento di queste piccole en¬ tità, per una ragione o per l'altra, sarà fuori mercato e quindi sulla strada della chiusura». E' chiaro, quindi che, la partita del futuro si giocherà sul vigneto ma in che termini? «Nel vigneto rimane quasi tutto da fare - dice Martelli - se l'Italia vorrà reggere l'impatto concorrenziale proveniente soprattutto dai paesi extracomunitari, nonché quello della globalizzazione dei mercati, dovrà in pochi anni ristrutturare la sua viticoltura». Ma in che modo? «Adattando le coltivazioni alla meccanizzazione: unico modo per ridurre i costi nel rispetto della qualità - spiega Martelli -. Sono fermamente convinto che nell'arco di un decennio alcune lavorazioni in vigneto verranno addirittura robotizzate. Non sono cose da fantascienza ma semplicemente la normale evoluzione». Un esempio? «In Francia oggi sono attive più di quindicimila macchine per la vendemmia meccanica mentre in Italia non arriviamo a ottocento». Poi c'è l'export che ci è decisamente favorevole. «Certo - conferma il direttore generale di Assoenologi - il vino italiano tira sempre di più all'estero, tanto che non conosco Paesi che manifestino significative flessioni. Il 1998 si è chiuso con un incremento, rispetto all'anno precedente di quasi il 9 per cento in volume e di oltre il 14 per cento in valore, con previsioni che danno un ulteriore incremento per il 99». In pratica questi dati dicono che esportiamo qualità e quindi prodotti con sempre maggiore valore aggiunto. Ed in effetti i nostri introiti valutari oggi superano i 4200 miliardi ai lire mentre solo cinque anni fa eravamo a 2000 miliardi: in un lustro abbiamo praticamente raddoppiato. E, secondo i dati dell'associazione, proprio la Francia assorbe il 16 per cento delle nostre esportazioni e compra per la quasi totalità vino sfuso. Ma il futuro è anche dei nuovi mercati come il Giappone. «Ritengo che il mercato del Sol Levante sia il più promettente - fa presente Martelli - in soli tre anni lì abbiamo triplicato i volumi passando da 170 mila unità ettolitri a 530 mila con un introito in valuta schizzato dai novantacinque ai 290 miliardi di lire che continuerà a crescere sensibilmente anche quest'anno. Giuseppe Martelli

Persone citate: Giuseppe Martelli, Vanni Cornerò, Vigneti

Luoghi citati: Francia, Giappone, Italia, Lecce